Caso Eluana
Le riflessioni del parroco
Da cittadino comune, che cerca di capire come sono andate
le cose nella brutta pagina scritta dal nostro Paese nella
vicenda di Eluana, mi rimangono alcune perplessità:
certo di natura etico-antropologica soprattutto (Eluana non
è morta di morte naturale, ma è stata lasciata
morire di sete, di fame e di abbandono relazionale, dopo il
suo trasferimento a Udine da Lecco, dove era amorevolmente
curata dalle suore misericordine), ma anche di natura ideologico-giuridico-procedurale,
E su questo secondo aspetto che vorrei proporre due
serie di riflessioni.
La prima riguarda il percorso giuridico. Attraverso un iter
giuridico contraddittorio e altalenante risulta, per chi ha
onestà intellettuale, che le ultime pronunce dei vari
tribunali hanno di fatto introdotto, a colpi di sentenza e
in assenza di una legge, leutanasia nel nostro sistema
sanitario. E leutanasia è un corpo estraneo rispetto
allimpianto della lettera e dello spirito della nostra
Costituzione. Se si ha la pazienza di ripercorrere tutto liter
giuridico, si nota che ad un certo punto la magistratura -
contraddicendo le sette sentenze precedenti che si collocavano
nella tutela costituzionale del diritto alla vita e quindi
ritenevano inammissibile la richiesta del padre Englaro di
interrompere lalimentazione e la idratazione della figlia
Eluana cambia radicalmente linea. Gli stessi principi
contenuti nella nostra Carta e per anni ritenuti validi per
negare al padre lautorizzazione a sospendere lalimentazione,
vengono improvvisamente capovolti nel pronunciamento della
Cassazione dellottobre 2007, che riapre il caso, rinviandolo
alla Corte dAppello di Milano. Da notare: la stessa
Corte dAppello di Milano, ancora nel decreto del novembre
2006, confermava tutta limpostazione precedente, dichiarando
che nel caso di un paziente non più in grado
di intendere e di volere, occorre verificare la sua pregressa
volontà. Qualora questa non sia certa, deve essere
effettuato un bilanciamento tra diritto allautodeterminazione
e diritto alla vita che, in base a dati costituzionali
e normativi deve risolversi a favore del diritto alla vita
e non della morte del soggetto. La novità arriva
il 16 ottobre 2007, quando la Cassazione, annullando il precedente
decreto della Corte dAppello di Milano del 2006, rinvia
tutto a un nuovo processo, sostenendo ecco la novità
che il giudice può autorizzare la sospensione
in presenza di due precise circostanze: laccertamento
della condizione di stato vegetativo irreversibile della paziente
e laccertamento della volontà pregressa della
paziente a respingere, nel caso di grave malattia menomatoria,
la continuazione del trattamento medico. Saranno esattamente
queste due condizioni a costituire, nel caso risultassero
positivi gli accertamenti richiesti, la base giuridica che
porteranno alla sentenza che in realtà è
un decreto, e come tale è revocabile ove venissero
meno le condizioni richieste del 9 luglio 2008 della
Corte dAppello di Milano, che autorizza la sospensione.
Tale decreto sarà ribadito il 13 novembre 2008 anche
dalla Cassazione, chiamata in causa dal ricorso contro tale
decreto dalla Procura di Milano. E ciò prepara il percorso
che, attraverso un protocollo, per altro, pare,
non correttamente seguito, avvierà alla morte Eluana.
Sorgono a questo punto alcune perplessità. La prima:
diversi giuristi hanno fatto notare che il modo di determinare
la volontà di morire di Eluana, con testimonianze lontane
nel tempo e a senso unico, è unanomalia, dato
che nella nostra giurisprudenza la forma scritta che
manca nel caso di Eluana è lunica garanzia
per la certificazione della volontà. La volontà
di interrompere le terapie deve essere non solo presunta,
ma anche formalmente dichiarata (la presunzione non ha alcun
valore perfino nelle questioni patrimoniali! La vita è
un patrimonio ben maggiore). La seconda: anche nel caso fosse
risultata chiaramente certificata tale volontà di Eluana,
su quale base giuridica un tribunale può ritenere la
volontà di morte una delle due famose condizioni
per consentire linterruzione delle cure, dato che in
Italia non esiste ancora nessuna legge circa il fine vita?
E difficile non accogliere la critica, sollevata da
più parti e a livelli di alte competenze, di prevaricazione
del potere della magistratura sul potere legislativo. Al potere
giudiziario non spetta fare le leggi, bensì solo curarne
la corretta applicazione e sanzionarne linosservanza.
La terza: appare molto discutibile linterpretazione
dellart. 32 della Costituzione, laddove dice che nessuno
può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario
se non per disposizione di legge, per sostenere il principio
della autodeterminazione: anche per il motivo che subito dopo
si afferma che la legge non può in nessun caso
violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana
e subito prima si afferma che la Repubblica tutela la
salute come fondamentale diritto dellindividuo e interesse
della collettività. Dunque il principio di autodeterminazione
che sul piano culturale sta diventando la questione
centrale di tanti nodi odierni e che è alla base del
pensiero radicale e libertario per la soluzione di tante problematiche,
a partire dallaborto non può essere univocamente
radicalizzato, ma va bilanciato tenendo conto, appunto, del
rispetto della persona umana e del valore sociale
e comunitario della persona stessa. Che, tradotto, può
significare che la libertà del singolo ha un limite,
ma anche un ampliamento, nel fatto che il rispetto per la
persona umana passa per il favor vitae che deve
ispirare ogni intervento sanitario (e non credo che far morire
una persona di fame e di sete sia compatibile con tale rispetto)
e nel fatto che il principio della libertà individuale
deve coniugarsi con il principio del valore sociale della
persona, soggiacente a tanti articoli della nostra Carta:
il che giustifica la prassi del legislatore di non dover trasformare
in legge o di dare consenso legale ad ogni desiderio individuale,
compreso il desiderio di morte. Lasciar morire Eluana di fame
e di sete su una sua presunta volontà vuol dire aprire
il varco ad una radicalizzazione del principio di autodeterminazione
che porterebbe inevitabilmente, in un prossimo futuro, alleutanasia
attiva e al suicidio assistito. Insomma, la lettera e lo spirito
dellart. 32 della Carta non giustificano alcun delirio
soggettivistico in materia di salute e ben difficilmente possono
prestare il fianco a visioni eutanasiche. La quarta perplessità:
chi può dichiarare che lidratazione e lalimentazione
sono terapie, e dunque cure sanitarie di cui uninterpretazione
restrittiva dellart. 32 potrebbe autorizzare la sospensione,
e non invece diritti inviolabili, da garantire ad ogni persona
sana e malata? Sulla base di quale norma la suprema Corte
e la Corte dAppello di Milano hanno potuto identificare
il trattamento medico a cui una persona potrebbe
legittimamente rinunciare con la sospensione del cibo e dellacqua?
Come può essere definito accanimento terapeutico
il sondino naso-gastrico, usato in altre migliaia di casi
in Italia? Per tutti questi motivi, il sospetto che alcuni
settori della magistratura siano influenzati ideologicamente
e si credano nellobbligo di surrogare la funzione legislativa,
che spetta unicamente ai rappresentanti liberamente eletti
dal popolo sovrano, è fondato.
Una seconda riflessione riguarda lo scontro istituzionale
fra il Presidente della Repubblica e il Governo nella sua
interezza (e non il solo Berlusconi) circa il potere della
decretazione di urgenza, un potere che nella nostra Repubblica
parlamentare lart. 77 della nostra Costituzione attribuisce
solamente alla responsabilità del Governo. Il decreto,
predisposto dal Governo per bloccare la morte per fame e per
sete di Eluana, aveva anche lo scopo di accelerare una legge
sul fine vita che impedisse un altro caso Eluana, legge che
poteva contare su un vasto consenso in Parlamento. Si è
gridato alla strumentalizzazione politica del caso Eluana
da parte del Governo. In realtà, è stata iniettata
nel nostro sistema istituzionale una dose inattesa di interventismo
presidenziale, attraverso due gesti quanto meno discutibili.
Il primo, con la richiesta preventiva, da parte del Colle,
al Consiglio dei ministri di non varare il decreto. Il secondo,
dopo che il Governo aveva deciso di procedere unanimemente
e legittimamente allapprovazione del decreto, con il
rifiuto di emanarlo, a Consiglio dei ministri ancora in corso.
Napolitano ha accompagnato il suo rifiuto con una lettera
molto articolata, nella quale sostanzialmente motiva la sua
decisione nella mancanza dei presupposti di necessità
e urgenza e nella necessità di attenersi alle decisioni
giudiziali. Fior di costituzionalisti, fra cui due ex presidenti
della Consulta, Cesare Mirabelli e Antonio Baldassarre, hanno
invece dichiarato che il decreto governativo era ineccepibile,
perché aveva i caratteri della necessità e della
urgenza, e dunque non poneva problemi di costituzionalità;
anche per il motivo che rivestiva una funzione in qualche
modo dilatoria, non si contrapponeva alle decisioni giudiziali,
semplicemente proponeva una sorta di moratoria giustificabile
nel caso di Eluana, che da 17 anni era in quelle condizioni
e dunque si poteva attendere ancora qualche giorno: la fretta
di farla morire appariva, quella sì, disumana e incostituzionale
in attesa che il Parlamento varasse una legge sulla
materia. Mirabelli ha dichiarato che i rilievi del Colle non
erano tali da escludere un provvedimento di urgenza,
anche per il motivo che il decreto governativo introduceva
un elemento di precauzione e di garanzia, che, nel caso di
una vita da salvare, deve avere la priorità su tutte
le altre pur fondate argomentazioni giuridiche. Insomma, il
decreto del Governo si configurava come una norma transitoria
e prudenziale, in attesa di una precisa legge. Il presidente
Napolitano ha scelto una strada formalmente corretta dal punto
di vista delle procedure giuridiche, ma poteva sceglierne
unaltra, altrettanto rispettosa del diritto, ma più
attenta alla sostanza della posta in gioco, che era quella
di impedire che Eluana morisse in quel modo, ponendo in essere,
tra laltro, un pericoloso precedente, che di fatto potrebbe
nelle future discussioni parlamentari e nel dibattito
culturale costituire una sorta di pressing autorevole
circa lintroduzione delleutanasia nel nostro Paese.
Il vecchio adagio summum ius, summa iniuria poteva
e doveva essere tenuto presente anche dal sommo magistrato,
che rappresenta lunità nazionale e presiede il
Consiglio superiore della magistratura: tanto più che
si era in presenza non di una materia di carattere economico
o di sicurezza e ordine pubblico, bensì di una questione
etica, di una visione della vita e della morte, per la quale
lo stesso Napolitano aveva saggiamente investito il Parlamento
qualche tempo fa, affinchè ne facesse materia di riflessione
per la messa a punto di una legge condivisa sul fine vita.
In tal modo il Presidente, dietro alla giustezza delle procedure
formali, anziché essere super partes e
consentire una momentanea moratoria che non annullava le sentenze
giudiziali, ma semplicemente ne permetteva la dilazione, di
fatto può aver ceduto a ragioni ideologiche, tornando
ad essere, anziché il garante di tutta la Costituzione,
il promotore di alcune parti di essa, a danno di altre: e
dunque un uomo di parte. E comunque fuorviante, e non
comprensibile al senso comune della gente, che una persona
possa morire di fame e di sete in nome di un protocollo,
in nome di procedure giuridiche, addirittura in nome della
Costituzione.
Alberto Franzini
19 febbraio 2009
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