Dio dice: “Non uccidere!”
(Es 20,13). E questo comandamento è al tempo stesso
il principio fondamentale e la norma del codice della moralità,
iscritto nella coscienza di ogni uomo.
Se si concede diritto di cittadinanza all’uccisione
dell'uomo, quando è ancora nel seno della madre,
allora ci si immette per ciò stesso sulla china di
incalcolabili conseguenze di natura morale. Se è
lecito togliere la vita ad un essere umano, quando esso
è più debole, totalmente dipendente dalla
madre, dai genitori, dall’ambito delle coscienze umane,
allora si ammazza non soltanto un uomo innocente, ma anche
le stesse coscienze. E non si sa quanto largamente e quanto
velocemente si propaghi il raggio di quella distruzione
delle coscienze, sulle quali si basa, prima di tutto, il
senso più umano della cultura e del progresso dell'uomo.
Coloro che pensano e affermano che questo
è un problema privato e che bisogna difendere, in
tal caso, il diritto strettamente personale alla decisione,
non pensano e non dicono tutta la verità. Il problema
della responsabilità per la vita concepita nel seno
di ogni madre è problema eminentemente sociale. E
contemporaneamente è problema di ciascuno e di tutti.
Esso si trova alla base della cultura morale di ogni società.
E da esso dipende l'avvenire degli uomini e delle società.
Se accettassimo il diritto di togliere il dono della vita
all’uomo non ancora nato, riusciremmo poi a difendere
il diritto dell’uomo alla vita in ogni altra situazione?
Riusciremmo a fermare il processo di distruzione delle coscienze
umane?
GIOVANNI
PAOLO II, ANGELUS
(5
aprile 1981)