Parrocchie di Santo Stefano e San Leonardo
Casalmaggiore
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Ancora viva!

 

 

L`ateo Jannacci: allucinante fermare le cure

MILANO - «Ci vorrebbe una carezza
del Nazareno» dice a un certo
punto, e non è per niente una frase
buttata lì, nella sua voce non c`è
nemmeno un filo dell`ironia che da
cinquant`anni rende inconfondibili
le sue canzoni. Di fronte a Eluana e
a chi è nelle sue condizioni - «persone
vive solo in apparenza, ma vive»
- Enzo Jannacci, «ateo laico
molto imprudente», invoca il Cristo
perché lui, come medico, si sente
soltanto di alzare le braccia: «Non
staccherei mai una spina e mai sospenderei
l`alimentazione a un paziente:
interrompere una vita è allucinante
e bestiale».
È un discorso che vale anche nei
confronti di chi ha trascorso diciassette
anni in stato vegetativo?
«Sono tanti, lo so, ma valgono per
noi, e non sappiamo nulla di come
sono vissuti da una persona in coma
vigile. Nessuno può entrare nel loro
sonno misterioso e dirci cosa sia davvero,
perciò non è giusto misurarlo
con il tempo dei nostri orologi. Ecco
perché vale sempre la pena di aspettare:
quando e se sarà il momento, le
cellule del paziente moriranno da sole.
E poi non dobbiamo dimenticarci
che la medicina è una cosa meravigliosa,
in grado di fare progressi straordinari
e inattesi».
Ma una volta che il cervello non
reagisce più, l`attesa non rischia di
essere inutile?
«Piano, piano... inutile? Cervello

morto? Si usano queste espressioni
troppo alla leggera. Se si trattasse di
mio figlio basterebbe un solo battito
delle ciglia a farmelo sentire vivo.
Non sopporterei l`idea di non potergli
più stare accanto».
Sono considerazioni di un genitore
o di un medico?
<do da medico ragiono esattamente
così: la vita è sempre importante,
non soltanto quando è attraente ed
emozionante, ma anche se si presenta
inerme e indifesa. L`esistenza è
uno spazio che ci hanno regalato e
che dobbiamo riempire di senso,
sempre e comunque. Decidere di interromperla
in un ospedale non è come
fare una tracheotomia...».
Cosa si sentirebbe di dire a Beppino
Englaro?
«Bisogna stare molto vicini a questo
padre».
Non pensa che ci possano essere
delle situazioni in cui una persona
abbia il diritto di anticipare la propria
morte?
«Sì, quando il paziente soffre terribilmente
e la medicina non riesce
più ad alleviare il dolore. Ma anche
in quel caso non vorrei mai essere io
a dover "staccare una spina": sono
un vigliacco e confido nel fatto che ci
siano medici più coraggiosi di me».
Come affronterebbe un paziente
infermo che non ritiene più dignitosa
la sua esistenza?
«Cercherei di convincerlo che la
dignità non dipende dal proprio sta-
to di salute ma sta nel coraggio con
cui si affronta il destino. E poi direi
alla sua famiglia e ai suoi amici che
chi percepisce solitudine intorno a
sé si arrende prima. Parlo per esperienza:
conosco decide di ragazzi meravigliosi
che riescono a vivere, ad
amare e a farsi amare anche se devono
invecchiare su un letto o una carrozzina».
Quarant`anni fa la pensava allo
stesso modo?
«Alla fine degli anni Sessanta andai
a specializzarmi in cardiochirurgia
negli Stati Uniti. In reparto mi
rimproveravano: "Lei si innamora
dei pazienti, li va a trovare troppo
di frequente e si interessa di cose
che non c`entrano con la terapia: i
dottori sono tecnici, per tutto il resto
ci sono gli psicologi e i preti".
Decisero di mandarmi a lavorare in
rianimazione, "così può attaccarsi a
loro finché vuole"... ecco, stare dove
la vita è ridotta a un filo sottile è
traumatico ma può insegnare parecchie
cose a un dottore. C`è anche
dell`altro, però».
Che cosa?
«In questi ultimi anni la figura
del Cristo è diventata per me fondamentale:
è il pensiero della sua fine
in croce a rendermi impossibile anche
solo l`idea di aiutare qualcuno a
morire. Se il Nazareno tornasse ci
prenderebbe a sberle tutti quanti.
Ce lo meritiamo, eccome, però
avremmo così tanto bisogno di una
sua carezza».
Fabio Cutri

Corriere della Sera, 6 febbario 2009


 

 

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