Nella notte tra il venerdì e il sabato 13-14
ottobre, l'arma dei Carabinieri ha dato vita a Casalmaggiore
ad una grande operazione che ha portato, tra l'altro, all'arresto
di alcune persone. I reati imputati erano connessi con le
sostanze stupefacenti. Il fatto ha suscitato un certo dibattito
in città. Don Alberto, su richiesta del giornale,
così si esprimeva lunedì 16 ottobre 2006 su
"La Cronaca".
Quanto è avvenuto a Casalmaggiore e dintorni è
il segno di una profonda patologia che sta intaccando la
nostra società: è lo smarrimento del senso
del vivere, che genera apatia, accidia e dunque, oltre che
illegalità, soprattutto immoralità e violenza.
L’emergenza – da anni lo stiamo dicendo – è di tipo
educativo. Certo, occorrono le leggi, occorrono la politica
e l’economia. Ma occorre, anzitutto, una ripresa dell’educazione:
e non solo dell’educazione alla legalità (del tutto
insufficiente) ma dell’educazione alla vita, alla persona
e al suo incontro con gli altri. Dai nuovi pulpiti – scuole
e università, giornali e televisioni – si va predicando
da anni che la libertà è il diritto di fare
ciò che si vuole, che la libertà è
assenza di vincoli e di storia, è fuga da ogni responsabilità
e da ogni impegno stabile e duraturo. Si va predicando che
si può diventare grandi senza appartenere a niente
e a nessuno, semplicemente inseguendo il proprio gusto o
inseguendo il miraggio del potere e dei soldi a tutti i
costi. Si va predicando che non esiste alcuna verità,
anzi che la pretesa della verità è socialmente
pericolosa per la democrazia. Si va predicando che tutto
ha lo stesso valore, che tutto è opinione, che non
esiste più alcuna differenza fra bene e male, fra
verità e menzogna. E così i nostri giovani
sono sempre più soli: affettivamente, culturalmente,
esistenzialmente. I nostri giovani sono sempre più
abbandonati a se stessi, senza padri e madri, senza maestri
e testimoni: incapaci di articolare un giudizio, di formulare
un pensiero logico, di rispondere alle domande fondamentali
sul senso della vita, su che cosa è la gioia, su
come affrontare il dolore, sul come accogliere gli altri…
Appaiono sempre più annoiati. E questa noia si trasforma,
a volte, in violenza.
Ma la loro noia e la loro violenza sono figlie della nostra
noia e della nostra violenza, figlie di una cultura che
ha sistematicamente e luciferinamente abbattuto le condizioni
e i luoghi stessi dell’educazione: la famiglia, anzitutto,
e poi la scuola e infine la Chiesa. Si va predicando sempre
più una emarginazione dell’esperienza religiosa,
confinandola nel privato e quindi rendendola, o volendola
rendere, socialmente irrilevante: e proprio in un momento
in cui si sta passando da un forte discredito del fatto
religioso (qualcuno, nei decenni scorsi, ne profetizzava
addirittura la scomparsa) al riconoscimento generalizzato
del suo interesse pubblico e sociale. Si sta comprendendo
sempre più che il fenomeno religioso è parte
integrante di ogni cultura, perchè una cultura privata
delle sue dimensioni religiose ha il fiato corto ed è
sottomessa alle ideologie di turno e ai poteri più
forti.
Ecco perché ritorna con forza sempre maggiore il
problema della identità di un popolo, compreso il
nostro popolo italiano. Che ne abbiamo fatto, che ne vogliamo
fare del nostro splendido patrimonio sapienziale, della
nostra ineguagliabile tradizione umanistica, che ha ricevuto
dal cristianesimo tanta energia e tanta forza, espresse
anche nell’arte, nella musica, nella letteratura, e soprattutto
nella vicenda di tanti santi e di tanti testimoni che hanno
fecondato la nostra storia? E’ in atto, ed è inutile
negarlo, un’azione di discredito nei confronti del cristianesimo,
della Chiesa, del Papa… in un momento in cui, nella crisi
generale delle idee e nella povertà di pensieri di
oggi, la Chiesa è rimasta quasi sola – con le sole
armi della predicazione e della testimonianza – a ricordarci
alcune cose essenziali sulla vita dell’uomo: e ce le ricorda
non per conquistare un’egemonia, non per ricevere applausi
e consensi, ma solo perché le sta a cuore, appunto,
l’uomo e la sua vita concreta.
Qui sta il problema: siamo ancora capaci di educare? E ci
rendiamo conto che l’educazione è sempre un rapporto
fra due libertà, quella dell’adulto e quella del
giovane, che affondano in una tradizione viva e concreta?
E siamo convinti che una educazione senza le “ali della
trascendenza” è antropologicamente monca? Un’educazione
che voglia “partire da zero” e che, in nome di un presunto
progresso, voglia costruirsi sulle ceneri dell’esperienza
di vita delle generazioni passate, è destinata alla
sconfitta.
Sì, quel che sta accadendo nella nostra Casalmaggiore
ha bisogno, certo, delle leggi e ha bisogno anche dell’intervento,
lodevole, delle forze dell’ordine. Ma una società
non può solo curare le falle: se vuol vivere e crescere,
deve ritrovare il senso di un cammino, deve tornare ad un
“pensiero forte”, lasciando il “pensiero debole” ai necrofori
e ai necromani di turno.
Don Alberto Franzini
Casalmaggiore, 15 ottobre 2006
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