In data 27 ottobre 2009 il parroco don Alberto Franzini
ha inviato al settimanale diocesano La Vita Cattolica la seguente
riflessione sul caso Marrazzo, il governatore della Regione
Lazio, dimissionario dopo che è stata resa pubblica la
sua frequentazione presso ambienti trans a Roma, con relativo
ricatto.
Da tempo assistiamo, come cittadini, a scandali di tipo sessuale,
che pare emergano ad orologeria (ovviamente ciascuno ha il
proprio orologio) con la compiacenza dei mass media che contano:
qualche anno fa, il caso Sircana (il sottosegretario di Prodi),
poi le escort e i festini di Berlusconi, poi la vicenda di
Dino Boffo, ora i (o le) trans di Marrazzo. E i giornali spandono
riflessioni moralistiche o giustizialiste o buoniste di ogni
genere: si va dalla condanna senza se e senza ma, alla separatezza
radicale fra pubbliche virtù e vizi privati, alla distinzione
fra reato e peccato, e così via. Chi ha un po
di memoria, si ricorderà come Ezio Mauro, il direttore
di Repubblica, difese qualche anno fa la scappatella di Clinton,
dichiarando che il presidente degli Stati Uniti andava giudicato
per il suo operato pubblico e non per la relazioni intime
consumate con la Lewinsky nella stanza ovale della Casa Bianca.
Ciascuno dunque si fa una propria opinione, soprattutto in
base ad una propria morale o, più spesso, in base allappartenenza
o alla simpatia politica verso luno o laltro schieramento,
cedendo a un doppiopesismo che rasenta la schizofrenia o forse
più semplicemente una tragica superficialità.
Mi domando, perché non mi ci raccapezzo più:
quando si agita la questione morale, soprattutto
nelle pubbliche istituzioni e quindi negli uomini pubblici,
che cosa si intende esattamente dire? Che cè
una decenza da rispettare? Ma da rispettare dove e quando?
Solo nella sfera pubblica? O anche in quella privata? Siamo
tutti (o quasi) daccordo che un uomo politico deve avere
le mani pulite e giustamente la legge deve punire
coloro che sfruttano la carica pubblica per interessi personali
o privati. Ma se passiamo alla vita privata? Dove comincia
poi la vita privata? Dove mettere i paletti? Quandè
che si raggiunge lindecenza e il degrado? E in nome
di quale morale si può e si deve parlare di indecenza
e di degrado?
La mia domanda non è affatto retorica. Da anni ci sentiamo
dire che ogni orientamento sessuale ha diritto al rispetto
(perché non anche lincesto? e non anche la pedofilia?).
Ci sentiamo predicare che il matrimonio fra un uomo e una
donna è un retaggio della tradizione cattolica, e dunque
il matrimonio, secondo il verbo progressista, deve essere
legittimato anche fra persone di sesso uguale. Da tempo viene
rivolta laccusa di omofobia a chiunque si azzardi a
criticare il comportamento sessuale fino a ier laltro
chiamato trasgressivo. Diamine! Non cè più
nulla di trasgressivo oggi, se vogliamo difendere ad oltranza
il principio di non discriminazione! Laborto, ormai,
viene considerato, nella cultura corrente, come un diritto
alla salute, anzi fa parte dei diritti civili,
come leutanasia. Perfino alladolescente potrà
essere somministrata la pillola abortiva senza il consenso
dei genitori. E forse che le pubbliche istituzioni, dal Parlamento
ai reality show televisivi (TV pubblica compresa) non sono
state decorate da trans, che diventano il simbolo della nuova
Italia e della nuova morale? E forse che perfino le più
alte istituzioni politiche e giuridiche della Repubblica non
hanno convalidato la logica di qualsivoglia desiderio soggettivo,
visto ormai come un assoluto al quale sacrificare laltra
logica, costituzionalmente fondata, della solidarietà
sociale, del rispetto della vita, del valore relazionale della
persona umana (vedi il caso Englaro)?
E allora: Sircana, Berlusconi, Boffo, Marrazzo
non dovrebbero
sentire lorgoglio di assurgere a simboli (e proprio
in quanto persone pubbliche) della nuova società laica,
che finalmente rompe con i legacci etici e si incammina verso
il sole radioso della nuova moralità, che consiste
nella realizzazione dei diritti civili, nelladempimento
del principio di non discriminazione e del principio dellautodeterminazione,
nella condanna di ogni atteggiamento omofobico e di ogni disciplina
etica, soprattutto in campo sessuale? Marrazzo ha parlato,
con coraggioso imbarazzo, di debolezze personali:
è, questa, una ammissione di debolezza di coscienza,
una sorta di rimorso infantile, che lo fa regredire ad una
concezione bigotta della vita? Perché non ci si dovrebbe
vergognare di comportamenti che hanno una così diffusa
predicazione sul piano della cultura mediatica e un così
largo consenso negli schieramenti politici del nostro Paese
(non sempre, però, da parte della gente comune). O,
la espressione di Marrazzo, non tradisce lesistenza
di una coscienza etica naturale che si può
certo annebbiare, ma che rimane in ogni persona umana come
segno e simbolo di ciò che rende profonda e nobile
la nostra dignità umana? La quale, prima ancora di
essere infangata dal reato, aspira a non essere
macchiata dal degrado (se non vogliamo chiamarlo
peccato).
Insomma: trovo contraddittorio fare prediche morali e, tanto
peggio, moralistiche da parte di coloro che da anni propongono
una sorta di indifferentismo etico, di libertarismo morale
ad oltranza, di conformismo culturale fatto passare per progressismo.
Il problema non è luomo pubblico:
che non è un extraterrestre, e dunque è sottoposto
a debolezze come tutti. Il problema è luomo,
luomo di tutti i giorni, chiamato ad una vita bella
e compiuta, il più possibile. Ci sono, sul piano di
unetica umana, comportamenti giusti e comportamenti
sbagliati? O un comportamento vale laltro? Esiste un
bene e un male, ben più profondi di quello che le leggi
possono comandare o proibire? O bene e male sono nomi impronunciabili,
perché ritenuti, dal neoilluminismo laicista odierno,
espressione delloscurantismo papista? Forse è
tempo di riprendere in mano la passione educativa e la riflessione
antropologica. Le debolezze umane ci saranno sempre, ma almeno
chiamiamo le cose col loro nome. E diamoci una mano a vivere
e a trasmettere alle giovani generazioni la nostra umanità
con maggior dignità, senza rapidamente passare
troppo ideologicamente, troppo utilitaristicamente, troppo
stupidamente da atteggiamenti di indulgente e bonaria
impunità a voglie condannatorie e a propositi giustizialisti.
Don Alberto Franzini
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