Parrocchie di Santo Stefano e San Leonardo
Casalmaggiore
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Il 9 aprile 2006, Domenica delle palme, si è costituito l'UFFICO STAMPA della parrocchia attraverso il quale il parroco e gli organismi parrocchiali manifestano le proprie valutazioni e riflessioni sui maggiori temi della vita ecclesiale e civile.

 

COMUNICATO DEL 28 OTTOBRE 2009

In data 27 ottobre 2009 il parroco don Alberto Franzini ha inviato al settimanale diocesano La Vita Cattolica la seguente riflessione sul caso Marrazzo, il governatore della Regione Lazio, dimissionario dopo che è stata resa pubblica la sua frequentazione presso ambienti trans a Roma, con relativo ricatto.

Da tempo assistiamo, come cittadini, a scandali di tipo sessuale, che pare emergano ad orologeria (ovviamente ciascuno ha il proprio orologio) con la compiacenza dei mass media che contano: qualche anno fa, il caso Sircana (il sottosegretario di Prodi), poi le escort e i festini di Berlusconi, poi la vicenda di Dino Boffo, ora i (o le) trans di Marrazzo. E i giornali spandono riflessioni moralistiche o giustizialiste o buoniste di ogni genere: si va dalla condanna senza se e senza ma, alla separatezza radicale fra pubbliche virtù e vizi privati, alla distinzione fra reato e peccato, e così via. Chi ha un po’ di memoria, si ricorderà come Ezio Mauro, il direttore di Repubblica, difese qualche anno fa la scappatella di Clinton, dichiarando che il presidente degli Stati Uniti andava giudicato per il suo operato pubblico e non per la relazioni intime consumate con la Lewinsky nella stanza ovale della Casa Bianca. Ciascuno dunque si fa una propria opinione, soprattutto in base ad una propria morale o, più spesso, in base all’appartenenza o alla simpatia politica verso l’uno o l’altro schieramento, cedendo a un doppiopesismo che rasenta la schizofrenia o forse più semplicemente una tragica superficialità.
Mi domando, perché non mi ci raccapezzo più: quando si agita la “questione morale”, soprattutto nelle pubbliche istituzioni e quindi negli uomini pubblici, che cosa si intende esattamente dire? Che c’è una decenza da rispettare? Ma da rispettare dove e quando? Solo nella sfera pubblica? O anche in quella privata? Siamo tutti (o quasi) d’accordo che un uomo politico deve avere le “mani pulite” e giustamente la legge deve punire coloro che sfruttano la carica pubblica per interessi personali o privati. Ma se passiamo alla vita privata? Dove comincia poi la vita privata? Dove mettere i paletti? Quand’è che si raggiunge l’indecenza e il degrado? E in nome di quale morale si può e si deve parlare di indecenza e di degrado?
La mia domanda non è affatto retorica. Da anni ci sentiamo dire che ogni orientamento sessuale ha diritto al rispetto (perché non anche l’incesto? e non anche la pedofilia?). Ci sentiamo predicare che il matrimonio fra un uomo e una donna è un retaggio della tradizione cattolica, e dunque il matrimonio, secondo il verbo progressista, deve essere legittimato anche fra persone di sesso uguale. Da tempo viene rivolta l’accusa di omofobia a chiunque si azzardi a criticare il comportamento sessuale fino a ier l’altro chiamato trasgressivo. Diamine! Non c’è più nulla di trasgressivo oggi, se vogliamo difendere ad oltranza il principio di non discriminazione! L’aborto, ormai, viene considerato, nella cultura corrente, come un “diritto alla salute”, anzi fa parte dei “diritti civili”, come l’eutanasia. Perfino all’adolescente potrà essere somministrata la pillola abortiva senza il consenso dei genitori. E forse che le pubbliche istituzioni, dal Parlamento ai reality show televisivi (TV pubblica compresa) non sono state decorate da trans, che diventano il simbolo della nuova Italia e della nuova morale? E forse che perfino le più alte istituzioni politiche e giuridiche della Repubblica non hanno convalidato la logica di qualsivoglia desiderio soggettivo, visto ormai come un assoluto al quale sacrificare l’altra logica, costituzionalmente fondata, della solidarietà sociale, del rispetto della vita, del valore relazionale della persona umana (vedi il caso Englaro)?
E allora: Sircana, Berlusconi, Boffo, Marrazzo… non dovrebbero sentire l’orgoglio di assurgere a simboli (e proprio in quanto persone pubbliche) della nuova società laica, che finalmente rompe con i legacci etici e si incammina verso il sole radioso della nuova moralità, che consiste nella realizzazione dei diritti civili, nell’adempimento del principio di non discriminazione e del principio dell’autodeterminazione, nella condanna di ogni atteggiamento omofobico e di ogni disciplina etica, soprattutto in campo sessuale? Marrazzo ha parlato, con coraggioso imbarazzo, di “debolezze personali”: è, questa, una ammissione di debolezza di coscienza, una sorta di rimorso infantile, che lo fa regredire ad una concezione bigotta della vita? Perché non ci si dovrebbe vergognare di comportamenti che hanno una così diffusa predicazione sul piano della cultura mediatica e un così largo consenso negli schieramenti politici del nostro Paese (non sempre, però, da parte della gente comune). O, la espressione di Marrazzo, non tradisce l’esistenza di una “coscienza etica naturale” che si può certo annebbiare, ma che rimane in ogni persona umana come segno e simbolo di ciò che rende profonda e nobile la nostra dignità umana? La quale, prima ancora di essere infangata dal “reato”, aspira a non essere macchiata dal “degrado” (se non vogliamo chiamarlo “peccato”).
Insomma: trovo contraddittorio fare prediche morali e, tanto peggio, moralistiche da parte di coloro che da anni propongono una sorta di indifferentismo etico, di libertarismo morale ad oltranza, di conformismo culturale fatto passare per progressismo. Il problema non è l’uomo “pubblico”: che non è un extraterrestre, e dunque è sottoposto a debolezze come tutti. Il problema è l’uomo, l’uomo di tutti i giorni, chiamato ad una vita bella e compiuta, il più possibile. Ci sono, sul piano di un’etica umana, comportamenti giusti e comportamenti sbagliati? O un comportamento vale l’altro? Esiste un bene e un male, ben più profondi di quello che le leggi possono comandare o proibire? O bene e male sono nomi impronunciabili, perché ritenuti, dal neoilluminismo laicista odierno, espressione dell’oscurantismo papista? Forse è tempo di riprendere in mano la passione educativa e la riflessione antropologica. Le debolezze umane ci saranno sempre, ma almeno chiamiamo le cose col loro nome. E diamoci una mano a vivere e a trasmettere alle giovani generazioni la nostra umanità con maggior dignità, senza rapidamente passare – troppo ideologicamente, troppo utilitaristicamente, troppo stupidamente – da atteggiamenti di indulgente e bonaria impunità a voglie condannatorie e a propositi giustizialisti.

Don Alberto Franzini


 

 

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