Parrocchie di Santo Stefano e San Leonardo
Casalmaggiore
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COMUNICATO DEL 22 APRILE 2009

Scisma nella Chiesa cremonese?
Pubblicato sul supplemento della Pasqua 2009 del settimanale diocesano La Vita Cattolica

Non sono in grado di rispondere al quesito se nella nostra Chiesa cremonese gli ultimi decenni abbiano visto o no il sorgere di uno "scisma sommerso", un'espressione che lo stesso nostro Vescovo ha fatto propria nelle Linee pastorali del 2007-2008, parlando di un senso di appartenenza debole alla Chiesa da parte di non pochi cristiani di oggi. Certo, gli ultimi decenni registrano, nella grande storia della Chiesa, alcuni fatti rilevanti di aperta contestazione e di disobbedienza, quali ad esempio quelli avvenuti nel 1968, all'epoca di Paolo VI: la reazione, talvolta anche virulenta di teologi e di vescovi, all'enciclica Humane vitae; la controversia sul Nuovo Catechismo olandese ; la teologia della liberazione . Si tratta di avvenimenti che hanno sostanzialmente messo in discussione il principio di autorità nella Chiesa e che hanno talvolta stravolto il depositum fidei della Chiesa su punti rilevanti. Tanto che Paolo VI si sentì in obbligo, il 30 giugno 1968, di professare solennemente il "Credo del popolo di Dio", con cui riaffermava le verità irrinunciabili della fede della Chiesa, "cosciente - come ebbe a dire - dell'inquietudine che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede" in un mondo in profonda trasformazione, "nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione". Lo stesso Paolo VI aveva parlato, verso la fine del suo pontificato, del "fumo di Satana" che era entrato nelle mura del tempio e, in una famosa conversazione con l'amico e accademico di Francia, Jean Guitton, gli aveva confidato un suo turbamento, in quanto "all'interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico".

Il disagio, in questi ultimi anni, non si è affatto smorzato e, come in un fiume carsico, non è assente neppure nella nostra terra diocesana, che pur si caratterizza per la laboriosità pastorale e per la fedeltà dottrinale, tipiche della tradizione cattolica lombarda, della stragrande maggioranza del clero e dei fedeli. Ma il disagio c'è. Soprattutto sul tema del Concilio Vaticano II, sempre più interpretato come spartiacque tra tradizione e progresso, tra "continuità" e "discontinuità" (per usare le espressioni di un celebre discorso di Benedetto XVI), tra "Chiesa preconciliare", ritenuta chiusa, incapace di dialogo con la modernità, perché arroccata su posizioni difensive, soprattutto succube di un certo dogmatismo dottrinale, e "Chiesa conciliare" o "postconciliare" ritenuta invece aperta al dialogo e alla riforme, progressista, in grado di guardare con più simpatia al mondo perché dotata di uno sguardo più pastorale che dottrinale.

Da questa posizione mentale, che agisce prevalentemente a livello inconscio, discendono alcuni atteggiamenti, che non sono infrequenti tra il popolo cristiano, o meglio fra le élites del popolo cristiano. Provo ad elencarne qualcuno.

Anzitutto un atteggiamento relativista. Il quale, largamente diffuso nella mentalità odierna, negando l'esistenza di una verità oggettiva o dichiarandone l'inafferrabilità da parte dell'uomo, finisce per ridurre tutto a un cumulo di opinioni. Sul versante cristiano, tale mentalità produce una sorta di "liquidità" anche delle dichiarazioni dottrinali del magistero della Chiesa, le quali hanno cessato di essere, per tanti cristiani, punti di riferimento e indicazioni normative, per assumere semplicemente il valore di opinioni in mezzo a tante altre: opinioni rispettabili e forse anche autorevoli per la fonte da cui provengono, ma pur sempre opinioni, e dunque prive di forza veritativa e delegittimate sul piano di una pretesa normativa, accolte sempre più spesso solo e nella misura in cui esse avvalorano posizioni culturali e scelte soggettive che hanno altrove la loro fonte, con il rischio di cedere allo Zeistgeist , allo spirito del tempo che è sempre in lotta con lo spirito di Cristo. Tra cattolici, diventa sempre meno facile accogliere cordialmente, come insegnamento autorevole che chiede l'assenso di fede e dunque una comune condivisione, quanto proposto ad es. nell'enciclica di Giovanni Paolo II Evangelium vitae del 1995, o la Nota dottrinale, della Congregazione per la dottrina della fede, su alcune questioni riguardanti l'impegno e il comportamento dei cattolici nella vita pubblica, del 2002 o l'ultima Istruzione della stessa Congregazione, Dignitas personae , su alcune questioni di bioetica, del 2008. Il disagio e, mi si passi il termine, la confusione crescono ancor più presso il popolo cristiano quando esponenti pubblici, che dichiarano di appartenere alla Chiesa cattolica, sostengono, in nome di una falsa o ambigua nozione di autonomia della laicità o in nome di una falsa concezione della libertà cristiana, posizioni apertamente in contrasto con il patrimonio dottrinale della Chiesa cattolica su alcuni temi quali l'aborto, il matrimonio e la famiglia, il fine vita...

In secondo luogo, la categoria del dialogo. Da sacrosanta metodologia di confronto fra persone e posizioni diverse, il dialogo rischia di diventare il fine e il traguardo. In tal modo il dialogo, anziché essere la via per la ricerca appassionata della verità - l'unica che dona la vera libertà all'uomo - appare sempre più spesso come l'ammorbidente che rende indifferente ogni legittima e necessaria differenza. E così il dialogo si trasforma in una sorta di rinuncia ad ogni pretesa normativa, ritenuta pericolosa per la stessa vita democratica, o in un avvallo di quella cultura multiculturalista che in realtà nasconde uno scetticismo totale nella verità e porta al nichilismo, che sembra oggi dominare le nostre società occidentali. Quando addirittura il dialogo non si trasforma in una sorta di resa di fronte alle posizioni di chi ci sta di fronte o di viltà circa il valore e la stima della propria identità culturale e religiosa. Il dialogo, certo, favorisce la carità e la stima fra le persone: ma non può mai rinunciare, a priori, alla verità. Il rispetto e l'amore all'errante non può mai essere esteso anche all'errore. L'amore cristiano non è mai un amore debole, che scredita la verità, favorendo in tal modo forti ambiguità esistenziali sotto il (falso) pretesto della tolleranza, bensì è un amore forte e alto, che, senza discriminare chi sbaglia, annuncia ciò che è giusto e vero per tutti; che non omologa ciò che non è omologabile, ma rispetta e valorizza le reali identità, cercando fin dove è possibile di trasformarle in risorsa, anziché in conflitto. Oggi non è raro incontrare nel nostro mondo cattolico chi ha paura a chiamare le cose col loro nome: paura di perdere consenso, timore di essere accusati di passatismo e antiprogressismo, paura di essere messi nel novero dei fondamentalisti religiosi e quindi di disturbare la pace sociale e il bon ton della convivenza democratica, dove la multiculturalità e la multireligiosità imporrebbero una sorta di neutralità valoriale in tutti i campi: il che finisce per provocare acquiescenza al pensiero dominante.

In terzo luogo, non si può restare indifferenti di fronte alla disaffezione e alla disistima verso la Chiesa da parte di non pochi cristiani, alimentate in gran parte dalla campagna anticristiana di alcuni mezzi di comunicazione. Ne sono espressione: l'accusa di "tradizionalismo" e di "fondamentalismo" a certi interventi magisteriali, di fronte al "progressismo" e allo "spirito libero" di opinioni mondane, anche tra le più strane; la selezione delle preferenze tra i pastori della Chiesa, che vengono divisi fra "pastori profetici", dotati del coraggio della critica e della novità, e "pastori istituzionali", supinamente allineati con il Papa e con la tradizione dottrinale; la preferenza verso quelle posizioni dottrinali della Chiesa maggiormente in sintonia con le proprie opzioni politiche e la critica e il rifiuto di altre posizioni della Chiesa che ne appaiono in distonia, per cui le appartenenze e le convenienze politiche fanno aggio sulla fedeltà al Vangelo e sulla comunione con la Chiesa; il disagio di riconoscere uno spazio anche pubblico a Dio e all'esperienza religiosa, in nome del rispetto verso altre esperienze religiose o verso la "laicità dello Stato", agnosticamente o scetticamente intesa; la compiaciuta sottolineatura degli errori della Chiesa storica (spesso cedendo alle leggende nere dei luoghi comuni), misconoscendone le testimonianze di santità e di fedeltà al Vangelo...

Si tratta, nella maggior parte dei casi, di libere e sottili scelte culturali, compatibili con la professione di fede cristiana. Talvolta, invece, si tratta di posizioni che rivelano quella "secolarizzazione interna, che insidia la Chiesa nel nostro tempo", come ebbe a dire Benedetto XVI al Convegno della Chiesa italiana a Verona nell'ottobre del 2006, o che rivelano quell'odio a se stessi e alla propria storia che, in termini psichiatrici, si chiama perdita dell'autostima: in tal caso si tratta di una patologia seria, che molto si avvicina a quelle posizioni scismatiche che, dai tempi di San Paolo, incrinano l'unità della Chiesa e dunque lacerano il corpo di Cristo.

 

Don Alberto Franzini


 

 

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