Parrocchie di Santo Stefano e San Leonardo
Casalmaggiore
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Il 9 aprile 2006, Domenica delle palme, si è costituito l'UFFICO STAMPA della parrocchia attraverso il quale il parroco e gli organismi parrocchiali manifestano le proprie valutazioni e riflessioni sui maggiori temi della vita ecclesiale e civile.

 

COMUNICATO DEL 16 MAGGIO 2008

Le elezioni politiche: voglia di aria nuova e di concretezza in Italia e a Casalmaggiore
Abbiamo chiesto al nostro parroco, rimasto silenzioso durante tutto il periodo della campagna elettorale, qualche valutazione sui risultati delle ultime elezioni politiche.

Da "Ritrovarci" del maggio 2008

Abbiamo notato un certo silenzio nel nostro parroco nelle settimane precedenti le elezioni politiche, diversamente da altre tornate elettorali, nelle quali la nostra parrocchia si era espressa, sia pure nei termini tipici di una comunità cristiana, senza mai entrare direttamente nella battaglia politica.
Ho ritenuto, questa volta, di non intervenire, né di invitare il Consiglio Pastorale ad un intervento: sia per il motivo che la posizione della Chiesa italiana è nota da tempo ed è stata ribadita, prima delle elezioni, dal presidente della Cei, il card. Bagnasco, sia per non prestare il fianco, stavolta, ad interpretazioni non sempre benevoli e a strumentalizzazioni di vario tipo. Del resto, la mia posizione, di assoluta discrezione circa le formule politiche (una discrezione non sempre fatta propria da tutti i preti) e insieme di tutela e di promozione dei famosi valori non negoziabili, è sufficientemente chiara a tutti.

Il 13 e 14 Aprile gli elettori italiani sono stati chiamati alle urne, per eleggere il nuovo Governo. Ne è uscito un risultato in qualche modo storico: dei 32 gruppi parlamentari della precedente legislatura, siamo passati ai 5 gruppi appena eletti. Cosa avrà portato questa "semplificazione" da parte degli italiani?
Certamente la semplificazione del quadro politico dovrebbe contribuire a risolvere quella eccessiva frammentazione della rappresentanza che esisteva nel passato Parlamento e che impediva un processo decisionale rapido, che è un’esigenza delle attuali società democratiche. L’eccesso di mediazione, poi, non solo rimandava la soluzione dei problemi alle calende greche, ma generava quell’ingorgo e quel patteggiamento tra i partiti, che portava l’azione politica sempre più verso la conservazione e l’ampliamento degli interessi delle caste partitiche che non verso la soluzione dei bisogni quotidiani delle persone e verso progetti di più ampio respiro per la società italiana. Mi auguro che il nuovo Parlamento, maggioranza e opposizione, sfrutti al meglio questa nuova situazione.

Oltre alla drastica diminuzione dei gruppi parlamentari, il risultato elettorale mostra che l’Italia sta diventando sempre più bipolare: una Sinistra riformista e una Destra moderata, come avviene nel Parlamento europeo, con i due gruppi maggiori, da una parte i partiti socialisti e socialdemocratici e dall’altra il Partito Popolare.
L’Italia era sostanzialmente bipolare anche prima, con una Democrazia Cristiana che raccoglieva gli altri partiti minori, e il Partito Comunista con gli altri satelliti di Sinistra. Era anche una situazione bloccata, che andava superata, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino e dopo la scomparsa del pericolo comunista, l’ultimo totalitarismo che teneva il mondo diviso nei famosi due blocchi.
Comunque lo si voglia interpretare, il risultato elettorale mostra che gli italiani, di elezione in elezione, sanno cambiare, ora in una direzione, ora in un’altra, come avviene in tutti i Paesi democratici: e questo non dovrebbe essere più un trauma per nessuno. La legittimità a governare da parte di chi ottiene il consenso non deve più essere messa in discussione. Così come deve essere superata quella superbia intellettuale che attribuisce alla parte avversaria una sorta permanente di minorità e di delegittimazione democratica e unicamente alla propria parte la patente della superiorità morale a governare. Non solo: ma gli analisti cominciano a mettere in evidenza che Sinistra e Destra hanno perduto le antiche caratterizzazioni ideologiche: lo dimostra il fatto che non pochi consensi della Sinistra provengono dalle classi borghesi e dai salotti intellettuali e, viceversa, che non pochi consensi della Destra provengono dalle classi più deboli e dai ceti popolari. Sinistra e Destra appaiono nomi sempre meno adeguati alla nuova realtà: meglio le denominazioni attuali, più rispondenti alla nuova situazione.

Si può tranquillamente affermare che la vera trionfatrice di questa tornata elettorale è stata la Lega Nord. Come interpreta questo successo da parte del Carroccio?
Il successo della Lega, almeno al Nord, è dovuto, io credo, a diversi fattori.
In primo luogo, probabilmente gli altri partiti sono stati ritenuti meno capaci di intercettare le esigenze vere del nostro territorio, a partire dalla questione fiscale. Il federalismo fiscale, come avviene in altri Stati europei, ad esempio la Spagna e la Germania, viene ritenuto una delle soluzioni affinché la ricchezza prodotta nel territorio sia spendibile a servizio del territorio stesso, in misura molto maggiore di quanto avvenga ora, senza venir meno alla solidarietà nazionale. E questo può ridare slancio alle infrastrutture e all’economia regionale, rendendo possibile quel decentramento e attuando quelle responsabilità delle autonomie territoriali previste dal nostro stesso ordinamento costituzionale, anche liberando un carrozzone centralista e burocratico che sta prosciugando non poche risorse a danno del bene comune e a vantaggio, probabilmente, di clientele e di rendite politiche che frenano l’economia reale e favoriscono logiche parassitarie.
In secondo luogo, ha giocato il tema della sicurezza, unito a quello dell’immigrazione clandestina. Un conto è l’accoglienza degli immigrati – che si può meglio gestire anche con accordi bilaterali tra l’Italia e i Paesi di provenienza degli immigrati – e un conto è l’immigrazione clandestina, che, unita alla malavita locale, è di serio danno alla sicurezza dei cittadini. L’Italia, al dire di non pochi analisti, sarebbe uno dei Paesi europei dove l’impunibilità è quasi la norma. Se ciò fosse vero, il rischio che il nostro Paese diventi un centro di attrazione della malavita internazionale è alto. Da qui la richiesta di una maggiore serietà nel campo della giustizia, anche per dare alle forze dell’ordine quelle spinte e quelle motivazioni ad agire che sono venute gradualmente meno lungo il corso degli anni, vista la lentezza della giustizia italiana e la sempre minor certezza della pena.

Talvolta però il linguaggio di alcuni esponenti della Lega Nord lascia a desiderare…
Certamente vanno evitate le espressioni bellicose, anche se ridotte solo a “pallottole di carta”, in quanto non hanno mai avuto seguito. Ma forse il linguaggio – popolare e popolano – che gli esponenti più in vista della Lega, al di là di espressioni colorite, usano, potrebbe essere visto come il più vicino ai bisogni quotidiani della gente, molto più di un certo linguaggio paludato e talvolta cifrato, che rischia di nascondere una politica salottiera e per nulla decisionista di fronte ai problemi reali di oggi, linguaggio che la maggior parte dei cittadini avverte come artatamente fumoso e dunque ingannevole. Ma c’è un altro fattore.

Quale?
In buona parte della Lega, il forte richiamo alle tradizioni e ai valori anche religiosi della nostra storia, sia pure con qualche ambiguità che va sottolineata e denunciata, può aver attratto una parte consistente del nostro popolo, e non soltanto anziano o adulto, ma anche quello giovanile, stanco di un clima di relativismo e di indifferenza valoriale, come anche i neo presidenti delle due Camere non hanno mancato di sottolineare nei loro discorsi di insediamento. E’ il problema emergente della globalizzazione, che rischia di spegnere le varie identità regionali, territoriali, culturali, azzerando nella indifferenza e in un multiculturalismo indistinto e nichilistico le risorse specifiche di ogni popolo. L’accoglienza degli immigrati è un dovere anche umanitario, oltre che rispondere ad alcuni bisogni della nostra economia; ma questo, oltre alla giusta necessità di regolamentare i flussi migratori e di combattere l’immigrazione clandestina, ha nulla a che fare con una sorta di rinuncia o di sfiducia nei nostri valori e nella nostra storia: anzi, è vero proprio il contrario. Solo il rispetto e la stima della nostra tradizione e della nostra fisionomia identitaria permette di rispettare e di accogliere anche coloro che provengono da altri mondi culturali e da altre tradizioni religiose, chiedendo ovviamente a loro il rispetto delle nostre leggi: diversamente il multiculturalismo si trasforma in una sorte di globalizzazione selvaggia e di giungla sociale, dove vince il più forte o il più furbo.

Per i più disattenti, come si è posta la Chiesa davanti a queste consultazioni? Noi abbiamo avuto il piacere e l'onore di ospitare Mons. Rino Fisichella, il quale ha ribadito la non negoziabilità di alcuni valori fondamentali della vita. Crede che ci siano le premesse per far sì che la difesa della vita torni ad essere un punto fondamentale anche nella nostra politica?
La Chiesa, come ci ha ricordato Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est”, al n. 28, non prende “nelle sue mani la battaglia politica”. E quindi anche la Chiesa italiana, da anni, ha confermato la linea di non coinvolgersi in nessuna scelta di schieramento politico e tanto meno partitico. Questo atteggiamento, però, come diceva già Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Palermo (novembre 1995), “non ha nulla a che fare con una diaspora culturale dei cattolici, con il loro ritenere ogni idea o visione del mondo compatibile con la fede”. Dunque la Chiesa ribadisce la propria estraneità all’agone politico, ma intende ribadire il suo pieno coinvolgimento laddove sono in causa i valori fondamentali dell’uomo, che antecedono e fondano l’azione politica, perché questo fa parte della sua missione. Benedetto XVI nel Convegno ecclesiale a Verona dell’ottobre 2006 è stato al proposito molto chiaro: “La Chiesa non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia”. Certo, occorre far fronte, spiega ancora il Papa a Verona, alle grandi sfide del mondo di oggi: le guerre, il terrorismo, la fame e la sete, alcune terribili epidemie. “Ma occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, - spiega Benedetto XVI – il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano, in particolare riguardo alla tutela della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, e alla promozione della famiglia fondata sul matrimonio, evitando di introdurre nell’ordinamento pubblico altre forme di unione che contribuirebbero a destabilizzarla, oscurando il suo carattere peculiare e il suo insostituibile ruolo sociale”. Ai cittadini, soprattutto cattolici, spetta poi in concreto valutare, nella loro responsabilità, la scelta dello schieramento che maggiormente si conforma a questa visione dell’uomo e della società.

Proviamo ad avvicinarci più ai nostri contesti. I casalesi, come due anni fa, hanno riconfermato la fiducia alla coalizione del Centro-destra, così come accadde per le passate consultazioni regionali e provinciali. Discorso contrario per quanto concerne le elezioni Comunali. Come si può interpretare questo "voto disgiunto"?
I cittadini casalesi scelgono liberamente. Il voto disgiunto? Beh, c’è stato anche a Roma, dove la maggioranza dei romani ha scelto come presidente della Provincia un esponente del Partito Democratico e come sindaco un esponente del Popolo delle Libertà. In ogni livello locale giocano altri fattori, più amministrativi che strettamente politici. Da noi, uno dei motivi di questa permanenza del “voto disgiunto” tra le politiche e le amministrative potrebbe essere l’incapacità o la difficoltà di esprimere una classe amministrativa diversa. C’è il rischio, insomma, di un eterno riciclaggio delle stesse forze, anche per la debolezza culturale e politica di una parte consistente della popolazione, che fa fatica a trovare i propri rappresentati locali. E questo non è certo un bene per la democrazia. Una conservazione del potere per un tempo eccessivo genera sempre monopoli e clientele, impedendo l’ingresso di forze nuove nel tessuto della vita politica e amministrativa, creando di fatto circuiti imprenditoriali e culturali che ostacolano l’accesso di altre realtà vive e competenti, costrette ad emigrare altrove o a chiudere i battenti. La nostra Città avrebbe tutto da guadagnare da una situazione culturale e politica meno monopolistica e più pluralistica, dove fosse possibile un autentico ricambio, e non solo generazionale. Certo, chi ha le idee, le competenze e i numeri, si faccia avanti e si proponga. Non basta evidenziare i limiti di una situazione; bisogna darsi da fare per superarli.

Approfitto per un’ultima domanda, di altra natura. Nel mese di Luglio alcuni giovani parrocchiani, tra cui il sottoscritto, si recheranno in Australia per la Giornata Mondiale della Gioventù per il tradizionale incontro con il Papa Benedetto XVI. Ha qualcosa da dire loro?
Invidio la vostra possibilità. E’ un’occasione preziosa per voi, come per gli altri giovani. L’incontro con Papa Benedetto e l’incontro con i cattolici di un Continente così lontano vi aiuteranno certamente ad avvertire tutta la freschezza e la gioia di essere membri di una Chiesa, qual è quella cattolica, che ha un respiro universale, perché ha un messaggio, che è quello di Gesù Cristo Figlio di Dio, valido per tutti gli uomini, per per tutti i popoli e per tutte le stagioni della vita e della storia. Il recente viaggio di Benedetto XVI negli Stati Uniti d’America è un segno della vitalità del Cattolicesimo e dell’immensa autorità morale – come ha dimostrato anche il lungo applauso di tutti i membri delle Nazioni Unite al termine del discorso di Benedetto XVI – che gode il Papa di Roma a livello mondiale. Era successo così anche con Paolo VI e con Giovanni Paolo II. Dalla Cattedra di Roma non provengono specchietti per le allodole, ma riflessioni di ampio respiro, che si radicano nella natura profonda dell’uomo e nel patrimonio della rivelazione biblica, sempre carico di attualità in ogni stagione della storia. Deve far riflettere questa enorme capacità che il Cristianesimo ha ricevuto di dire e di testimoniare una visione della vita che, quand’anche non fosse da tutti accolta, rappresenta pur sempre una proposta assolutamente in grado di reggere il confronto con altre proposte e con altre visioni della vita. Mi auguro che dalla Giornata Mondiale della Gioventù possano uscire figure cristiane in grado di tenere alta la bandiera dei nostri valori cristiani, anche nel campo della politica e della pubblica amministrazione: senza tracotanza, certo, ma anche senza infingimenti incomprensibili e senza complessi di inferiorità, sconosciuti ad altre forze.

A cura di Antonio Lucotti
 

 

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