Nel mese di dicembre 2006, l'opinione pubblica è
stata provocata dal caso Welby, un malato in condizioni di
salute molto gravi. Provato dalla sua situazione egli ha chiesto,
anche al Presidente della Repubblica Napolitano, di poter
morire. Un anestesista, infine, dopo averlo sedato ha "staccato
la spina". Welby è morto. Il vicariato di Roma
ha negato la celebrazione religiosa delle esequie. Questa
la riflessione di don Alberto comparsa sul settimanale diocesano
"La Vita Cattolica" di giovedì 4 gennaio
2007.
Perchè non il funerale religioso?
Come mai mi sono chiesto, dopo un primo disagio
la Chiesa è arrivata ad usare la mano forte,
incontrando sconcerto anche e soprattutto al proprio interno?
Come mai questa decisione, così scorretta politicamente
nel clima buonista e umanitaristico di oggi? Il Vicariato
di Roma ha motivato la sua decisione richiamando alcuni numeri
del Catechismo della Chiesa Cattolica, dove si afferma: che
nessuno deve disperare della salvezza eterna; che leutanasia
è gravemente contraria alla legge morale; che un gesto
che si può configurare come rifiuto della propria vita
(dunque il vero e proprio suicidio) è ancor più
grave quando si carica anche della gravità dello scandalo,
ossia quando fosse compiuto come esempio, come
scelta lucidamente fatta con lausilio di tutto un palcoscenico
mediatico, che ha tolto ogni doverosa pietas, ogni doveroso
rispetto al soffrire e al morire di Welby. Ma le riflessioni,
in me, sono andate oltre. E mi sono fermato su un paio di
pensieri.
Il primo. Con questa decisione, la Chiesa ha inteso anzitutto
rispettare la libertà di un uomo che davanti allopinione
pubblica ha ripetutamente espresso la sua volontà che
gli fosse abbreviata la vita: quella vita che, nella visione
cristiana, è invece un dono di Dio, indisponibile alluomo,
dal primo allultimo istante. La non concessione del
funerale religioso, che è avvenimento pubblico, è
una presa datto consequenziale alla scelta di Welby,
da mesi pubblicamente esposta, di rinunciare a proseguire
la propria vita. Negando il funerale religioso, la Chiesa
non ha inteso affatto mettere in discussione la misericordia
di Dio (alla quale, anzi, ha affidato Welby: come è
avvenuto in tante parrocchie italiane, compresa la mia, dove
si è pregato per lui), ma non ha inteso neppure venir
meno alle libere scelte delle persone, anche quando esse appaiano
oggettivamente in contrasto con la sua dottrina, che le proviene
dalla stessa rivelazione di Dio.
Il secondo pensiero, che mi pare altrettanto centrale, riguarda
il rapporto tra la misericordia di Dio e la verità
della sua rivelazione. Può esistere una misericordia
senza verità? Una misericordia che contraddica la verità?
Può esistere una carità stiamo parlando
di quella di Dio che accolga tutte le possibili opzioni?
Il grande teologo protestante Bonhoeffer affermava che la
grazia a buon prezzo è il nemico mortale della Chiesa,
specificando che la grazia a buon prezzo è perdono
sprecato, consolazione sprecata, sacramento sprecato, grazia
considerata come magazzino inesauribile della Chiesa, da cui
si dispensano i beni a piene mani, a cuor leggero, senza limiti;
grazia senza prezzo, senza spese. E la definizione
anche di un certo cattolicesimo odierno, che sacrifica le
ragioni della verità a quelle, indefinite e onnicomprensive,
della carità. E qui si paga ancora il frutto del relativismo,
portato dentro nel cuore stesso del cristianesimo, perché
si dimentica che la grazia è a caro prezzo.
Il martirio che è il segno fra i più
espressivi della sequela di Gesù è proprio
il rifiuto, al prezzo alto della propria vita,
di cedere alla menzogna, alla non-verità, ossia al
ricatto mondano di un pensiero e di una prassi di vita non
cristiani, per rimanere fedeli alla verità del Vangelo,
che è la persona e il messaggio di Gesù. Il
martirio è la prova che la vita cristiana è
consegna di sé alla somma Carità che è
insieme e inscindibilmente somma Verità. Una misericordia
senza la luce e il fuoco della verità è una
grazia a buon prezzo, che non converte la nostra
vita, semplicemente perché non può redimerla
dalle sue oscurità e dai suoi drammi. Ovviamente va
sottolineato anche che una verità senza carità
contraddice profondamente il Vangelo. Non si dimentichi mai,
però, che Gesù stesso, insieme al perdono, ha
parlato anche di una spada che divide e che giudica e che
Lui stesso si è autodefinito Via e Vita proprio in
quanto è Verità: una Verità di cui luomo
di tutte le stagioni ha un immenso bisogno, e che è
essa stessa parte della Carità. Un cristianesimo privo
del suo aspetto veritativo è un cristianesimo depauperato,
depotenziato, perché privo di quella lotta spirituale,
di cui parla san Paolo e che i santi hanno intrapreso, che
è anche lotta contro il conformismo mondano, lotta
per laffermazione di quella verità che proviene
da Dio, non dalluomo, e che contraddice le potenze mondane.
Il caritatismo è la secolarizzazione della
carità, è la mondanizzazione e la banalizzazione
della misericordia. Solo lo splendore della verità
può assicurare alla misericordia la sua qualità
divina e la forza salvatrice di una redenzione che rimane
dramma, ossia incontro fra la libertà di
Dio e la libertà delluomo. Senza la verità,
la libertà stessa delluomo perde di consistenza.
La libertà umana, davanti ad una misericordia per la
quale bene e male, verità ed errore non fanno alcuna
differenza, diventerebbe essa stessa a buon mercato.
Nel caso di Welby, la verità sta nel riaffermare che
la vita non è un bene disponibile. Il giorno in cui
si affermasse anche con lavvallo della legge
che lindividuo è padre e padrone della
vita, di quella propria e di quella altrui, allora si aprirebbero
tutte le possibilità: e ogni tipo di violenza e di
aggressione alla vita potrebbe trovare giustificazione. Se
si facesse strada il dogma che il desiderio del soggetto è
lunico criterio per valutare la bontà etica delle
scelte e dei comportamenti umani, allora perché mai
opporsi sempre in nome della misericordia, che viene
oggi fatta coincidere con il principio della non discriminazione
di chi è diverso e del rispetto verso qualunque opinione
alla fertilizzazione artificiale, alla libertà
di procreare come e quando si vuole, anche prescindendo dai
diritti del concepito? Perché mai opporsi, sempre in
nome della misericordia, alle coppie di fatto? Perché
insistere sul valore della differenza di genere, perché
negare la possibilità di adozione anche alle coppie
omosessuali, perché non dare la comunione anche a un
fedele divorziato e risposato
?
La Chiesa torna a proporre la fede come caso serio.
La cristianità di oggi è chiamata ad uscire
da quel clima di resa al pensiero contemporaneo e da quel
complesso antirazionale e antiveritativo che sembrano caratterizzare
lodierna stagione culturale e che trovano un pericoloso
alleato teologico nella posizione di chi enfatizza la misericordia
divina staccandola dalla bellezza della verità, entrambe
invece luminosamente unite nel dramma del Crocifisso. Forse
alludeva proprio a questo clima papa Benedetto, quando a Verona,
al Convegno della Chiesa italiana, ci ha invitato a resistere
a quella secolarizzazione interna che insidia la Chiesa del
nostro tempo, in conseguenza dei processi di secolarizzazione
che hanno profondamente segnato la civiltà europea.
Don Alberto Franzini
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