«Liberi di educare per rafforzare la democrazia»
Il monito del patriarca Scola alla festa del Redentore:
da "Avvenire" di domenica 16 luglio 2006
«In Italia decentramento ed autonomia sono lontani dall'essere
compiuti. Il mito della scuola unica,principale ostacolo al
cambiamento innovatore» «Lo Stato deve passare
dalla gestione al puro governo del sistema scolastico universitario
lasciando spazio alla società civile» «La
scuola neutra e laica attuata come sistema unico di Stato
ha condotto a unegemonia che contraddice in se lattuazione
della libertà in una società plurale»
Da Venezia Maria Laura Conte
La peste del 1575-77 colse i veneziani quasi di sorpresa.
I focolai dellinverno si trasformarono in una terribile
epidemia nellestate, che portò nel giro di pochi
mesi a settantamila morti, metà circa della popolazione
di allora. Persa ogni fiducia nei mezzi umani e nei vari rimedi
tentati, il Senato di Venezia arrivò con voto quasi
unanime a questa decisione: se la moria fosse finita, avrebbe
eretto alla Giudecca un tempio a Gesù Redentore, dove
ogni anno la città sarebbe andata in pellegrinaggio
a sciogliere il voto. E così fu: dal 1577 a oggi ogni
anno la città di Venezia costruisce un ponte di barche
che, collegando lisola della Giudecca alla riva opposta,
permette al maggior numero possibile di persone raggiungere
il tempio, dove viene celebrata nella terza domenica di luglio
la festa solenne del Redentore.
Da secoli nella chiesa costruita dal Palladio presiede la
Messa solenne della domenica sera, alla presenza dei fedeli
provenienti da tutta la diocesi e da fuori, e delle autorità
civili e militari, il patriarca di Venezia, che al termine
impartisce alla città la benedizione.
Negli ultimi anni il patriarca Angelo Scola, sottolineando
il carattere di questa festa dedicata a «Colui che Redime»,
che si prende cura degli uomini e delle donne, offre , innestandola
nel cuore di questa celebrazione solenne, un contributo alla
riflessione della società civile, in vista di uno scambio
e un arricchimento reciproco per la costruzione della vita
buona personale e comunitaria.
Pubblichiamo ampi stralci dell'omelia che verrà
pronunciata oggi dal patriarca di Venezia, cardinale Angelo
Scola in occasione della festa del Redentore.
Libertà di educazione, misura della democrazia
Come afferma suggestivamente la sociologa Margaret Archer
il processo educativo consiste in un «prendersi cura»
che mette in luce le «nostre premure fondamentali»
(ultimate concerns) che sono «ciò che ci rendono
esseri morali». Sarebbe illusorio parlare di educazione
sen za chiamare espressamente in causa tre categorie: persona,
realtà, libertà. L'educazione è, in sintesi,
la capacità di mettere consapevolmente in relazione
la persona con la realtà. L'Eucaristia è evento
paradigmatico di educazione. San Paolo lo descrive in modo
incomparabile: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore
quello che a mia volta vi ho trasmesso» (1Cor 11, 23):
una definizione perfetta, e non solo per i cristiani, della
dinamica educativa. Una traditio aperta all'ad-ventura (al
futuro), poggiata sulla testimonianza, tesa a che la libertà
dell'educando vada incontro al reale con umile curiositas,
ne assapori la pienezza, non si blocchi di fronte alla contraddizione
e al male suo e degli altri: a questo deve tendere con il
contributo della intera comunità di appartenenza ogni
comunicazione di sapere. La libertà di educazione misura
la natura autenticamente democratica di una società.
La scuola unica
Se guardiamo alla situazione italiana, senza isolarla dal
contesto generale (soprattutto europeo) e dai problemi provocati
dai molteplici, rapidi e spesso dolorosi processi di transizione
in atto, che dire del nostro sistema scolastico ed universitario?
La libertà di educazione è obiettivamente garantita
a tutti i soggetti che hanno il diritto di imparare cui si
connette quello di ricercare ed insegnare?
In questa sede non intendo mettere anzitutto a tema la questione
della scuola cattolica con l'annoso problema di una obiettiva
(e quindi anche finanziaria) parità scolastica. Mi
interrogo sulla libertà di educazione nella nostra
scuola ed università in generale, tentando una valutazione
del sistema pedagogico-universitario come tale.
Non voglio neppure ingrossare la fila di quanti, ormai da
decenni, parlano di crisi della scuola e dell'università.
È un luogo comune. Tanto meno voglio sottovalutare
l'opera che ogni giorno, spesso con grande abnegazione, genitori,
docenti, studenti, personale addetto, compio no nelle scuole
di ogni ordine e grado e nelle università in quell'azione
di «cura» che attua la vera educazione.
Mi sembra tuttavia onesto riconoscere che la scuola e l'università
italiane devono ancora compiere un lungo cammino di trasformazione
per garantire veramente il diritto alla piena libertà
di educazione.
È anzitutto necessario superare un fattore di blocco
che dal punto di vista del principio - al di là quindi
dei problemi strutturali e di quelli contingenti che non sono
di mia competenza - impedisce l'attuazione di una piena libertà
di educazione nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle
università del nostro Paese: il mito della scuola unica.
Lo esprimo con una felice formula coniata dall'americano Charles
Glenn: l'ostacolo principale per un cambiamento innovatore
del nostro sistema educativo è il mito della scuola
unica. Questo modello, al di là degli indubbi meriti
storici, persiste oggi oltre ogni ragionevolezza. Infatti
in una società frammentata e plurale come quella attuale
esso è radicalmente inefficace.
Ragioni storiche
È impossibile qui ricostruire, anche solo a grandi
linee, la storia del modello di scuola unica vigente nel nostro
Paese. Non è tuttavia difficile riconoscere che le
esigenze, nate con l'unità d'Italia, di promuovere
la lingua nazionale ed il senso di appartenenza alla nuova
repubblica, hanno portato a concepire la scuola come luogo
di formazione del patrimonio di valori elementari comuni propri
del nuovo cittadino. A tale modello si sono però intrecciate
prospettive «ideologiche». Non senza accenti anticattolici
sia da parte della destra che della sinistra storiche i diversi
progetti - che ebbero poi nella celebre riforma Gentile, sostanzialmente
confermata nei principi dalla Costituzione del '47, lo sbocco
più duraturo ancora oggi dominante - hanno sempre optato
per il modello della scuola unica statale, ritenuta la più
idonea a garantire libertà ed uguaglianza.
La scuola indipendente, di qualunque matrice cul turale, è
stata ed è sostanzialmente sopportata quando non guardata
con sospetto come potenziale fattore di divisione. Il massimo
che le è stato consentito - la parità - come
dice la parola stessa, la relega ad essere sostanzialmente
una copia, più o meno riuscita, della scuola unica
di Stato. E solo nel 2000 - con la Legge 62 che istituisce
il sistema scolastico nazionale composto di scuole statali
autonome e di scuole paritarie - si riconosce, almeno sulla
carta, il ruolo pubblico della scuola non statale. A ben vedere,
con l'introduzione della «autonomia» non avrebbe
più alcun senso operare distinzioni legate al tipo
di gestione. La validità di una scuola autonoma non
dipende dall'essere statale o indipendente, ma dal suo progetto
educativo. Nel nostro paese però decentramento ed autonomia
scolastici sono lontani dall'essere compiuti.
Un diverso compito per lo Stato in campo educativo: dalla
gestione al governo
Quale via percorrere? Non v'è altra strada che quella
del coraggio di applicare fino in fondo, anche al campo dell'educazione,
il principio delle libertà realizzate sempre più
invocato in tutti i settori delle democrazie laiche e plurali
odierne. Questo solo può dare di fatto piena soddisfazione
al diritto all'educazione dei genitori e, a partire dalla
maggiore età, a quello degli stessi studenti. Diritto
che consenta ad enti associati di promuovere liberamente scuole
ed università nel Paese. Lo Stato deve rinunciare in
linea di massima a farsi attore propositivo diretto di progetti
scolastici ed universitari per lasciare questo compito alla
società civile. Deve impegnarsi invece a garantire,
attraverso opportune forme di accreditamento, le condizioni
oggettive di rispetto della Costituzione, soprattutto l'equità
nel diritto all'accesso e alla riuscita e la qualità
delle proposte formulate. Lo Stato deve passare dalla gestione
al puro governo del sistema scolastico-universitario. A questa
scelta non osta l'articolo 33 della Costituzione. È
necessario però affermare che scuole libere, promosse
da liberi attori in forza del principio di sussidiarietà,
dovranno attuare anche il principio di solidarietà
per garantire l'effettivo e qualificato accesso di tutti all'istruzione
gratuita obbligatoria e, a certe condizioni, a quella superiore
ed universitaria. E gli organi statali saranno chiamati, attraverso
il processo di accreditamento, a rigorose verifiche.
Neutralità scolastica ed egemonia
Eliminare il blocco della scuola unica consentirà di
superare due difetti che hanno segnato la nostra storia e
segnano il nostro presente nel delicato campo educativo.
Mi riferisco da una parte ad una concezione equivoca della
neutralità scolastica, spesso colpevole, dall'altra,
di aver trasformato scuole ed università in terreno
di lotta per l'egemonia. Si sostiene che la scuola può
essere laica solo se neutra, cioè indifferente a tutte
le «diversità», ivi comprese quelle etniche,
culturali e religiose, destinate a crescere esponenzialmente
con la massiccia presenza di studenti di origine straniera.
E, cosa del tutto inaccettabile, questa neutralità
laica della scuola viene affidata alla scuola «unica»
di Stato ritenuta come l'unico modello in grado di garantire
una trasmissione di saperi tesa all'armonica convivenza democratica
basata su valori comuni, i cosiddetti valori di cittadinanza.
Alla giusta obiezione che nessuna ricerca scientifica a livello
di qualsiasi scienza e quindi nessun insegnamento od apprendimento
può essere «indifferente» rispetto alla
Weltanschauung del soggetto, si crede di rispondere con l'argomento
del cosiddetto libero confronto fra le diverse visioni. Secondo
i suoi sostenitori questa posizione, consentendo a ciascun
educando di compiere la sua sintesi personale, ne esalterebbe
la libertà.
Non potendo qui discutere questa tesi pedagogica sarà
sufficiente rilevare il dato che gli stessi diritti umani
e la stessa democrazia - che, nella visione della scuola neutra
u nica, dovrebbero costituirne il quadro portante - sono oggi
messi duramente alla prova. La loro universalità «astratta»
non sempre riesce a comporsi con l'universalità «concreta»
delle culture e delle religioni (in modo particolare di quella
islamica). Questa ovvia considerazione basta per dire che
anche le giuste esigenze sottese al principio di laicità
declinato in una democrazia procedurale non potranno continuare
ad essere affidate ad una scuola «unica» di Stato.
Tanto più che la crescente frammentazione e pluralità
della società italiana, sempre più carica di
contraddizioni, è destinata ad aggravare a dismisura
la perdita di efficacia educativa di istituzioni scolastiche
che continuassero a subire l'inevitabile rigidità ed
ingessatura della scuola unica.
In secondo luogo la scuola neutra e laica attuata come scuola
unica di Stato ha condotto alla pratica di un'egemonia che
contraddice in se stessa l'attuazione delle libertà
in una società veramente plurale. Infatti trasforma
la scuola de iure pubblica in una scuola de facto privata
perché progettata, gestita e governata da gruppi egemoni.
Non interessa in questa sede chi abbia esercitato tale egemonia.
I sostanziali vantaggi di un sistema scolastico libero
Lasciarci alle spalle il modello della scuola unica per scegliere
fino in fondo la strada dell'attuazione del pieno diritto
alla libertà di educazione riconosciuta ai soggetti
che ne sono detentori - in primis ai genitori e alle famiglie
- presenta invece innegabili vantaggi. Mi limito ad elencarli.
Anzitutto può mettere in moto la forza pedagogica creativa
della pluralità dei corpi intermedi che già
normalmente agiscono e si confrontano nel Paese.
In secondo luogo può finalmente consentire una autonomia
scolastica non formale ma che si eserciti sulle materie, sui
programmi, e ancor più sulla cura dei soggetti, che
è il fondamento di ogni educazione.
In terzo luogo può raccogliere la sfida di elaborare,
con molta maggior efficacia, una cultur a di sintesi, capace
di esaltare tutte le diversità. Una simile scuola potrà
meglio inserirsi nel processo di «meticciato»
di civiltà per orientarlo positivamente.
In quarto luogo permette una sana emulazione e confronto tra
scuole, all'interno delle condizioni minime fissate e controllate
dallo Stato, per eliminare le situazioni carenti, migliorare
la qualità del sistema, fare un uso adeguato delle
risorse economiche e realizzare l'eccellenza.
In quinto luogo accelera l'inevitabile processo di integrazione
con altri sistemi scolastici europei e non solo, eliminando
definitivamente l'anomalia per cui l'Italia è stata
fino al 2000 il solo paese, con la Grecia, a identificare
scuola pubblica con scuola di stato.
Lo Stato e gli Enti Locali dovrebbero aiutare le famiglie
e gli enti intermedi a divenire consapevoli dei propri diritti
e ad esercitarli creativamente, anziché continuare
a sostituirsi ad essi considerandoli come eternamente incapaci
e bisognosi di tutela.
In quest'ottica il diritto all'educazione verrebbe riconosciuto
a tutti i soggetti in grado di simili intraprese scolastiche
ed universitarie veramente pubbliche, cioè al servizio
di tutti. Qualunque scuola libera dovrà essere scuola
di tutti e per tutti. In una società laica veramente
plurale, in cui la democrazia si fa per procedure, possono
infatti trovare posto scuole ed università che optano
per diversi modelli pedagogici. Qualsiasi ente le gestisca,
toccherà alla libertà dei genitori, degli studenti
e dei docenti operare le proprie scelte.
Sarebbe meritorio che, oltre allo Stato, anche tutte le istituzioni
locali - Regione, Provincia e Comune - mettessero compiutamente
a frutto le competenze di cui già dispongono e si facessero
più direttamente carico di questa prospettiva. In ogni
caso essa mi sembra improcrastinabile per raccogliere le istanze
di articolate libertà, sempre più pressanti
da parte della società civile in tutto il Paese.
Il soggetto del sapere: unità pedagogica, pluralità
di i stituzioni
Una piena libertà di educazione, poggiata su un sistema
effettivamente plurale, è esigita anche dalla molteplicità
e complessità delle discipline in cui versa oggi l'oggetto
dei saperi che scuola ed università sono chiamate ad
elaborare e a comunicare. Questo stato di cose orienta alla
formulazione di un «patto educativo» fra famiglia,
scuola e i diversi soggetti sociali, culturali ed imprenditoriali
perché contribuiscano a liberi progetti educativi.
L'educazione infatti è l'esito di una rete di relazioni
tra soggetti educanti. È anzitutto un fatto «corale»,
non una funzione specialistica. Ciò non preclude, anzi
comprende, la necessità di distinguere compiti e responsabilità
tra i diversi soggetti. Sarebbe utopico contrastare l'elevato
tasso di complessità e differenziazione, immaginando
un ritorno a forme pre-moderne di comunitarismo.
Una piena libertà di educazione potrebbe inoltre più
facilmente consentire quell'unità del soggetto del
sapere che a me pare inseparabile dall'aver cura che regge
ogni proposta educativa.
L'unità del soggetto del sapere poggia su due principi
che possono essere accettati da una società che si
vuole autenticamente laica e plurale come quella italiana
di oggi. Il principio della conoscibilità del reale
e quello della capacità dell'umana ragione di ospitarlo.
I diversi soggetti (corpi intermedi), che in una società
veramente democratica godano di una completa libertà
di iniziativa scolastica, sono in grado di convenire facilmente
sui questi due principi basilari. Infatti tali soggetti, autenticamente
liberi anche se legati a particolari e talora divaricanti
Weltanschauungen, non divergono sulla apertura della libertà
umana alla verità. Divergono se mai sulla misura esatta
di questa capacità o sul diametro di questa apertura
o sulla definizione più o meno stretta o larga del
termine verità. Solo chi cadesse nell'ideologia assoluta
che pretenda di affermare, in nome della libertà, l'assenza
di ogni livell o anche minimo di verità giungerebbe
a negare la possibilità di una scuola veramente libera.
Ma una simile posizione configura una società in cui
la democrazia è puramente ideologica e la libertà
è già venuta sostanzialmente meno.
La strada della scuola e dell'università libera, autonoma
e plurale nei soggetti, nei programmi e nei metodi, ma accreditata
da organismi istituzionali nazionali e locali, ultimamente
rispondenti alla Costituzione, appare la via per una autentica
modernizzazione del sistema di istruzione nel nostro Paese.
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