LE PRIME REAZIONI AL CARD. MARTINI
Dopo la pubblicazione del colloquio tra il Card. Carlo
Maria Martini e Ignazio Marino, apparsa sul n. 16 de Lespresso,
riteniamo utile pubblicare le prime reazioni, che si trovano
sul sito di Sandro Magister, www.chiesa.espressonline.it.
ROMA, 28 aprile 2006 Su un Vaticano assuefatto alla
cristallina predicazione di Joseph Ratzinger papa, con la
verità delle cose celesti e terrene ogni volta da lui
scolpita a cesello, le dieci pagine di dubbi, di ipotesi,
di zone grigie del cardinale Carlo Maria Martini
in dialogo col bioeticista Ignazio Marino su Lespresso
della scorsa settimana sono calate come il manifesto di un
antipapa.
Contro il papa attuale. E anche contro il predecessore Giovanni
Paolo II, che aveva incardinato il suo vibrante evangelium
vitae proprio sui temi della bioetica, del nascere e
del morire, oggetto dell'intervento del cardinale Martini.
Cè anche, nella gerarchia della Chiesa, chi
per gli stessi motivi vede in Martini il profeta. Luigi Bettazzi,
uno dei vescovi che hanno partecipato al Concilio Vaticano
II, dice: Martini sa che è venuto il tempo giusto,
per dire le cose che ha detto. Prima del Concilio il fine
primario del matrimonio cristiano era la procreazione. E invece
oggi la dottrina ufficiale della Chiesa mette al primo posto
lamore. Per la bioetica sarà lo stesso. Martini
ha aperto la strada e il cambiamento verrà. Il clero
e il popolo cristiano sono già con lui. Da lui imparano
come coniugare la fede alla vita concreta.
Intanto, però, regnante Benedetto XVI, è la
congregazione per la dottrina della fede che vigila sul magistero
della Chiesa mondiale. Lì Ratzinger è stato
per venticinque anni prefetto e ancor più la governa
ora. Ecco il cavallo di Troia introdotto nella città,
dice un alto dirigente della congregazione, con Lespresso
squadernato sul tavolo. Certe aperture del cardinale
Martini appaiono a prima vista buone e condivisibili. Ma nascondono
effetti devastanti.
La congregazione ha allo studio un documento sulluso
del preservativo. È stato Benedetto XVI in persona
a volerlo in agenda, mesi fa, dopo che alcuni cardinali avevano
ammesso il preservativo in un caso concreto: come protezione
dal coniuge malato di AIDS. Si erano pronunciati in questo
senso gli arcivescovi di Bruxelles, Godfried Danneels, e di
Westminster, Cormac Muphy-OConnor, e i cardinali di
curia Javier Lozano Barragán, presidente del pontificio
consiglio per la pastorale dei malati, e Georges Cottier,
teologo ufficiale della casa pontificia con Giovanni Paolo
II. A questi si è ora aggiunto Martini.
Il preservativo è una falsa soluzione,
prosegue il dirigente della congregazione per la dottrina
della fede. NellABC della battaglia contro lAIDS
Abstinence, Be faithful, Condom per la Chiesa
valgono i primi due punti, ossia castità e fedeltà
coniugale. Ma il terzo no. La C non deve stare per Condom,
ma per Cure, cura della malattia. Su questo devono attestarsi
linsegnamento pubblico e lazione della Chiesa.
I casi concreti, la comprensione, la misericordia sono materia
per il confessore e per il missionario.
In effetti, anche il cardinale Martini aveva convenuto su
Lespresso che non toccasse alle autorità
della Chiesa sostenere pubblicamente luso del preservativo
col rischio di promuovere un atteggiamento irresponsabile.
Ma i passaggi del suo intervento che più hanno contrariato
il vertice della Chiesa sono altri. Basta leggere il
Catechismo della Chiesa Cattolica per individuare i punti
fermi da cui Martini si discosta, dice ancora il dirigente
della congregazione per la dottrina della fede.
Uno di questi punti fermi è il rispetto integrale
di ogni vita umana dal concepimento, fin dai suoi
primissimi istanti.
Proprio a questa fase inizialissima, lo scorso 27-28 febbraio,
ha dedicato un congresso di studio la Pontificia Accademia
per la Vita, con scienziati di tutti i continenti convenuti
in Vaticano. Nel documento finale cè scritto
che il momento che segna linizio dellesistenza
di un nuovo essere umano è rappresentato dalla penetrazione
dello spermatozoo nellovocita. Benedetto XVI si
recò dai congressisti e disse loro che lamore
di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo
di sua madre, e il bambino, o il giovane, o luomo maturo
o l'anziano. Non fa differenza perché in ognuno di
essi vede l'impronta della propria immagine e somiglianza.
Questo amore sconfinato e quasi incomprensibile di Dio per
luomo rivela fino a che punto la persona umana sia degna
di essere amata in se stessa, indipendentemente da qualsiasi
altra considerazione: intelligenza, bellezza, salute, giovinezza,
integrità.
Il fatto che il cardinale Martini, su Lespresso,
abbia ignorato tutto questo, e viceversa abbia aperto il varco
allutilizzo dellovocita nelle prime ore dopo la
fecondazione, sostenendo che lì non appare ancora
alcun segno di vita umana singolarmente definibile,
è stato visto come un atto di resa a quella che Giovanni
Paolo II definì la moderna cultura di morte.
In pubblico, pochissimi alti dirigenti di Chiesa hanno sinora
replicato a Martini. Il vescovo Elio Sgreccia, presidente
dellAccademia per la Vita e numero uno dei bioeticisti
vaticani, ha dichiarato che in Vaticano non riteniamo
necessario fare polemiche su un fatto che non le merita.
Ha riconosciuto a Martini un afflato pastorale ed evangelico,
ma lha criticato, oltre che per dare il via libera allutilizzo
dellovocita appena fecondato, anche per ammettere come
lecita la fecondazione artificiale, trascurando che il
dono di sè nellatto coniugale è
elemento essenziale dellunione procreativa degli sposi,
senza il quale essa perde la sua pienezza antropologica.
Sgreccia ha inoltre ricordato al cardinale Martini che la
sua teoria sullovocita fecondato non è
condivisa da molti embriologi. E in effetti il Comitato
Nazionale per la Bioetica che in Italia si occupa di queste
cose, quando esaminò la questione nel luglio del 2005,
si divise in 26 contro 12. Con la maggioranza cerano
Sgreccia e altri studiosi cattolici e laici, tutti a favore
dellintangibilità dal primissimo istante dellovulo
fecondato. Con la minoranza cera Carlo Flamigni, che
volle aggiungere al documento finale una sua nota molto polemica
con la Chiesa. La posizione di questa minoranza è quella
che sia il cardinale Martini sia il professor Marino hanno
fatto propria nel loro dialogo su Lespresso.
La conferenza episcopale italiana in cui Martini, pur da
due anni assente, è il convitato di pietra in opposizione
al cardinale presidente Camillo Ruini, ha optato per il silenzio.
Ruini, interpellato a bruciapelo venerdì 21 aprile
quando Lespresso era da poche ore in edicola,
ha bruscamente scostato il microfono. Avvenire,
il quotidiano della CEI, ha confinato la notizia in un piccolo
articolo interno, epurato di tutte le tesi controverse. Lunico
dirigente della CEI che si sia espresso in pubblico è
stato il vescovo Dante Lafranconi, la cui intervista è
riprodotta più sotto.
Ma in privato sono scintille. E per rintracciare le critiche
che cardinali e vescovi rivolgono a Martini ma non vogliono
proferire in prima persona e a voce alta, occorre seguire
percorsi un po tortuosi.
È una editorialista di Avvenire, ad esempio,
Lucetta Scaraffia, storica e femminista che da anni si occupa
di bioetica: essa imputa a Martini di affrontare problemi
di vita e di morte centrali nella cultura del nostro tempo
con quel modo di ragionare riduzionista e casuistico
che ha rappresentato lo stereotipo negativo dei gesuiti fin
dai tempi di Pascal.
Un altro editorialista di Avvenire è Pietro
De Marco, professore alluniversità di Firenze
e alla facoltà teologica dellItalia centrale:
egli imputa al cardinale di edulcorare la realtà
invece che sottoporla a critica, con leffetto
di far giudicare ogni divisione sui valori infondata perchè
inutile, e inutile perchè infondata.
Ma né Lucetta Scaraffia né Pietro De Marco
scriveranno mai queste righe sul giornale della CEI. Firmeranno
altrove per De Marco in questa stessa pagina web, più
sotto pur sapendo di riflettere giudizi ben presenti
ai gradi alti della Chiesa.
Nel corpo della Chiesa organizzata, larea che più
sè sentita ferita dal dialogo tra Martini e Marino
è quella del Movimento per la Vita. Brucia il fatto
che il cardinale abbia passato sotto silenzio lopera
che il Movimento svolge per portare a nascere, aiutando le
madri, dei bambini altrimenti destinati allaborto, ottomila
nel 2005 in Italia.
Paolo Sorbi, sociologo, ex attivista del Sessantotto, ex
militante del partito comunista e oggi presidente del Movimento
per la Vita a Milano, larcidiocesi che fu di Martini,
vede nel testo pubblicato su Lespresso il
segno di una resa alla modernità, come se questa
avesse già vinto.
E lancia questo invito al cardinale: Venga a passare
due giorni in un Centro di Aiuto alla Vita. Rimarrà
strabiliato al vedere quante donne, in gran parte immigrate,
ritrovano una maternità e una vita felice, sostenute
dalla generosità di tanti volontari. Ma come pensa
il cardinale che siano stati battuti in Italia i referendum
del 12 giugno 2005 sulla fecondazione artificiale? Con un
enorme consenso popolare alla vita, costruito in ventanni
e finalmente venuto alla luce. Il modello italiano della nuova
evangelizzazione è anche questo.
I sì e i no del vescovo Lafranconi
Dante Lafranconi, vescovo di Cremona, ha presieduto la commissione
per la famiglia e la vita della conferenza episcopale italiana
ed è membro della commissione per la dottrina della
fede. La scorsa Pasqua ha autorizzato i suoi preti ad assolvere
dalla scomunica atto riservato di norma al vescovo
chi confessava daver commesso un aborto.
Del cardinale Carlo Maria Martini, dice, apprezzo
la volontà di dialogo e lumiltà di giudizio
nelle zone grigie dove non si sa cosa è
bene e cosa è male. Con lui sono daccordo quasi
su tutto, tranne che su due punti.
D. Il primo qual è?
R. È quando Martini ammette che si utilizzi
lovocita allo stadio dei due pronuclei. In realtà
si tratta di un ovulo già fecondato. E la fecondazione
dà lavvio a un processo vitale continuo dove
è difficile rinvenire salti di qualità sostanziali.
In caso di dubbio bisogna quindi stare sul sicuro ed evitare
di utilizzare o manipolare il nuovo essere. Anche il Comitato
Nazionale per la Bioetica è arrivato a maggioranza
a questa conclusione, che è la più vicina alle
posizioni della Chiesa.
D. E il secondo punto di disaccordo?
R. È là dove Martini mette sullo
stesso piano la fecondazione eterologa, con seme od ovulo
esterno alla coppia, e le varie forme di adozione. Il fatto
che un bambino sia affidato a genitori non suoi e con essi
instauri un buon rapporto affettivo porta il cardinale a non
escludere a priori lammissibilità della fecondazione
eterologa. Ma questo è un passaggio indebito.
D. Perchè?
R. Perchè ladozione riguarda un
bambino che esiste già e si vuole accogliere, mentre
la fecondazione eterologa mette in atto una nuova vita già
programmata in partenza con un genitore non suo.
D. Altro punto controverso è il preservativo
come male minore.
R. Il cardinale Martini descrive un caso specifico,
quello di una coppia di coniugi di cui uno è ammalato
di Aids. È un caso in cui il preservativo come protezione
dal contagio è generalmente ammesso, nella pratica
pastorale. Ma molto opportunamente il cardinale rimarca che
in pubblico la Chiesa fa benissimo a insistere sulla fedeltà
coniugale e la castità.
D. Vizi privati e pubbliche virtù?
R. Esaminando dei casi concreti il cardinale
Martini ha la capacità di applicare e rendere più
comprensibili al grande pubblico delle norme generali che,
da sole, non sempre vengono capite. Però cè
anche il pericolo opposto.
D. Quale?
R. Pensare, ad esempio, che adesso la Chiesa
ammetta il preservativo sempre. Oppure equivocare quando il
cardinale dice che la dignità umana vale
più della vita fisica. Martini è chiarissimo
nel ribadire il no allaborto e alleutanasia. Ma
dignità è anche la parola dordine
di chi vuole legittimare la cosiddetta buona morte.
__________
Così è la vita.
A proposito del dialogo Marino-Martini
di Pietro De Marco
La cultura o civiltà di morte, come Giovanni
Paolo II lha chiamata, si agita sullo sfondo del dialogo
tra il cardinale Carlo Maria Martini e il professor Ignazio
Marino, del Jefferson Medical College di Philadelphia. Ma
i due eminenti interlocutori conversano come se questo sfondo
incombente fosse un innocuo teatro di ombre.
Ambedue si interrogano su vita e morte con lauspicio
che cessino gli scontri sulla base di principi astratti
e generali. Il cardinale evoca più duna
volta zone grigie ad esempio quella relativa
al destino degli embrioni in soprannumero congelati
che ostacolano univocità di giudizio e di decisione,
e sollecita la Chiesa a formare le coscienze al discernimento
del meglio in ogni occasione.
Ma nelle zone grigie la cultura di morte non ha difficoltà
a decidere. Anzi, di zone grigie non ne ha. Armonizzando arbitrio
e tecnica, una sempre più realizzabile corrispondenza
tra fatto e volere individuale la soddisfa e la premia.
In questo quadro che cosa significa propriamente, come auspica
il cardinale, un dialogo che non parta da preconcetti
o da posizioni pregiudiziali? Una premessa del genere
sembra quasi rimproverare alle premesse antropologiche cristiane
di essere ciò che esse sono, principii cui necessariamente
riferirsi, fondamenti oggettivi per il discernimento e il
giudizio. Chi trarrà vantaggio da tale rimprovero?
Non ne ha tratto vantaggio, anzitutto, il dialogo tra i nostri
due interlocutori.
È Ignazio Marino ad anticipare il cardinale proponendo
di individuare punti di incontro e non di divisione
[contro] facili contrapposizioni e strumentalizzazioni che
non portano se non a fratture nella società:
modo non raro, in Italia, di concepire la discussione bioetica
da parte delle culture illuminate. Dichiarandosi
pienamente daccordo sulle premesse, il cardinale
si mostra subito troppo condiscendente di fronte al suo interlocutore.
Il professore si dice certo, ad esempio, che il progresso
scientifico abbia rivoluzionato la posizione dellessere
umano nei confronti della vita. Assunta rigorosamente,
tale affermazione appare priva di fondamento. La tecnica ha
sì rivoluzionato le chance delluomo, ma non la
sua visione fondamentale su vita e morte, malattia e salute,
radicata nellantropologia occidentale-cristiana e condizione
della nostra stessa capacità critica sulla bio-tecnica,
anzi, condizione sine qua non per la possibilità
e la sensatezza stessa del dialogo Marino-Martini.
La simpatetica conversazione tra i due manca di questo sapere
critico su di sé. Il cardinale sembra troppo tentato
da una lettura mitigata delle cose esemplari le formule
eufemistiche sullaborto secondo una incorreggibile
propensione delle culture cattoliche dialogiche,
di cui egli è sempre stato punto di riferimento.
Il cardinale ammette naturalmente lesistenza di un
conflitto di valori, ad esempio quando sottolinea la incompatibilità
tra libere istanze procreative e indisponibilità degli
embrioni ai bisogni di un qualsiasi individuo. Ma è
da temere che la proclamazione secondo cui ciò che
conta è non creare inutili divisioni produca
leffetto di far giudicare ogni divisione sui valori
infondata perché inutile, e inutile perché infondata.
* * *
Edulcorare i termini di un radicale dissenso spesso proviene
da una eclipse of reality, secondo la celebre
formula e diagnosi di Eric Voegelin. Due esempi: il destino
degli embrioni congelati e laborto.
Nel primo caso il cardinale pare cedere al fascino della
formula del sempre meglio favorire la vita, certamente
sfuggendogli che si tratta dellargomento sempre rivolto
contro l'insegnamento del magistero cattolico, e in Italia
contro la legge 40 del 2004, dai promotori della procreazione
medicalmente assistita.
Per essi, infatti, i divieti di legge impedirebbero alle
coppie o alle donne single di procreare quando vogliono, secondo
fondamentali diritti di libertà negativa; ma in quanto
impediscono di generare nuova vita quei divieti sarebbero
contraddittori anche con la promozione cristiana della vita.
Ma non si era già argomentato abbastanza, nelle discussioni
sulla fecondazione artificiale, che altro è la tutela
della vita esistente, altro è la volontà scriteriata
di generarla? E non si era messo in guardia che la pretesa
a diritti procreativi non è realmente ordinata alla
vita altrui, poiché nelle stesse posizioni che promuovono
i diritti procreativi compare simmetrico e complementare il
diritto di sopprimere senza vincoli la vita carente propria
e altrui, con leutanasia? Non si può situare
questa volontà nellordine dellamore, come
sembra fare per generosità il cardinale Martini. Qui
è lagostiniano amor di sé che prevale.
Pensare, poi, di favorire la vita allocando degli embrioni
là dove vi sia volontà di procreare in qualsiasi
modo, è solo in apparenza una soluzione caritatevole.
Tale pratica non resterà circoscritta ad una
soluzione che permetta ad una vita di espandersi, perché
si mancherà doppiamente alla giustizia: da un lato,
nei confronti degli embrioni che verrano ancora scriteriatamente
prodotti in soprannumero per un qualsiasi fine, e congelati
col pretesto che comunque si potrà sempre trovare un
utero in cui impiantarli; dallaltro, nei confronti degli
embrioni portati a maturazione in virtù di una lotteria
di assegnazioni a famiglie programmaticamente
monogenitoriali, contro ogni prudenza e diritto del concepito.
Il tutto contribuendo a processi in atto di estrema gravità:
dalla assuefazione sociale a genitorialità atipiche,
al disordine generazionale e demografico eretto a sistema,
al rafforzamento delle ideologie nichiliste che si esprimono
nella pretesa a diritti soggettivi incondizionati sul terreno
antropologico ultimo.
Il destino degli embrioni conservati nei laboratori è
problema serio. Ma la soluzione non può essere quella
del caritatevole diàmone a chi ne ha bisogno,
a medici e biologi, come se si trattasse del rapporto tra
eccedenze e povertà, senza riguardo alle conseguenze.
Nel caso dellaffidamento degli embrioni a donne single,
il cardinale Martini appare meno cauto del suo interlocutore.
Egli ritiene che i problemi di più genitorialità
in conflitto, eventualmente conseguenti a una fecondazione
eterologa con seme od ovulo esterno alla coppia, siano analoghi
a quelli delladozione, e superabili. Aggiunge di preferire
la donazione di tali embrioni a una single, rispetto alla
loro distruzione. Per fortuna nega fermamente e chiaramente
lutilizzabilità degli embrioni per la ricerca.
* * *
Quanto alle considerazioni del cardinale sullaborto,
esse appaiono quasi irrispettose per chi combatte da decenni
su questo fronte, non solo nel mondo cristiano.
Infatti è palesemente non vero, oltre che irrealistico,
che uno stato democratico moderno si sforzi di
diminuire gli aborti e le loro cause. Per gli ordinamenti
liberaldemocratici intrinsecamente immoralistici nei
loro indirizzi recenti laborto è un nulla
relegato nella sfera privata; diviene rilevante solo in caso
di allarme demografico. La vantata riduzione del numero degli
aborti in Italia è dovuta non alla legge 194 del 1978,
largamente inapplicata nei suoi potenziali freni alla pratica
abortiva, ma alla somma di almeno due cause: la generalizzazione
delluso degli anticoncezionali e, di fronte al ridotto
numero di gravidanze indesiderate, la pressione morale tenacemente
esercitata dalla Chiesa cattolica sulle coscienze. Il cardinale,
in effetti, parla solo di riduzione degli aborti clandestini;
non così il professor Marino, con un risultato comunicativo
altamente equivoco.
La verità è che le leggi sullaborto anzitutto
proteggono, giuridicamente e medicalmente, la donna che decide
di abortire. Ed anche qui suona eufemistica e inesatta l'affermazione
che lo stato si limiti a ritenere non conveniente perseguire
penalmente laborto. La legislazione dichiara in
realtà pienamente legale, entro certi limiti di tempo,
la pratica abortiva; anzi, per molti, lo stato sancirebbe
positivamente un vero e proprio diritto allaborto.
Si configura dunque, innegabilmente, quella che il cardinale
chiama ancora con un eufemismo una certa cooperazione
delle strutture pubbliche allaborto, su cui però
egli confessa di non sapere cosa suggerire. Tutto ciò
è onesto, ma la cautela e la riflessività delle
formule possono invitare a una accettazione non critica dello
stato di fatto, non si sa a vantaggio di chi e di che cosa.
* * *
Il passaggio più delicato dellintervista è
forse quello relativo allaccettazione da parte del cardinale
del congelamento del cosiddetto pre-embrione, ossia
come spiega Marino lovocita allo stadio
dei due pronuclei, cioè nel momento in cui i due corredi
cromosomici sono ancora separati e non esiste un nuovo DNA.
Chi, anche non avendo preparazione specialistica, conosce
la letteratura in proposito, sa che la fase della fecondazione
che vede la presenza e la reciproca attrazione dei due pronuclei
è già preceduta da trasformazioni chimiche che
la rendono unica e irreversibile ed è già pienamente
finalizzata allembrione, in un continuum
unitario e orientato. Da questo la riflessione critica pro-life
ricava la grande problematicità, se non limplausibilità,
di considerare tale fase estranea allindividuo in formazione.
Il problema che ne nasce è sorprendentemente eluso
dal cardinale. Anche qualora si ritenesse plausibile congelare
la coppia di pronuclei maschile e femminile, lunico
vantaggio sembrerebbe quello di poterne poi praticare la distruzione
senza ostacoli morali, in caso di un suo mancato utilizzo
nel corso di un trattamento per infertilità. Qualsiasi
altra destinazione esigerà che sia portato a completamento
il suo sviluppo ad embrione: e in quel momento ogni problema
morale si riproporrà di nuovo immutato. Resta comunque
linterruzione di un processo in sé ordinato ad
una individualità, a quella singola individualità
(leventualità dei gemelli omozigoti non impedisce
né qui né in altri stadi di parlare di singolarità
e identità). La sua illiceità appare derivabile
come minimo da un principio di cautela, che deve informare
la nostra difesa attiva dellintangibilità dellessere
umano.
* * *
Va poi considerato il passaggio in cui il cardinale afferma:
È importante riconoscere che la prosecuzione
della vita umana fisica non è di per sé il principio
primo e assoluto. Sopra di esso sta quello della dignità
umana. Qui il primato della vita fisica, prima invocato
a proposito delle tecniche procreative, sembra scomparire
di fronte alla malattia e alla buona morte, in
singolare simmetria con gli argomenti pro-aborto e pro-eutanasia.
Certamente secondo lantropologia cristiana non
per il moderno legislatore, tecnicamente cieco a trascendenza
e immortalità lumanità è
apertura prima e ultima alla vita eterna. Ma il principio
andrebbe applicato, allora, agli embrioni congelati, tanto
più se la ricerca di una loro sopravvivenza comporta
conseguenze indesiderabili.
Largomento ha comunque scarso significato, in bioetica.
Che vi sia, come crediamo fermamente, una dignità dellesistenza
che non si limita alla sola vita fisica, ma guarda alla vita
eterna, è argomento che non è qui immediatamente
spendibile, certamente non nel senso cui sembra alludere il
cardinale. Esso infatti potrebbe esser fatto valere non solo
contro il cosiddetto accanimento terapeutico, ma contro ogni
cura ordinata alla sopravvivenza. Ed è avvenuto e avviene
che sia fatto valere da persone proiettate santamente verso
la gloria futura senza riguardo al benessere personale o alla
qualità della vita propria. Della propria, va sottolineato.
Luomo non ha scappatoie omicidarie o suicidarie per
la vita eterna, né vi è alcun premio
fatta salva linsondabile misericordia di Dio
per la morte ingiustamente procurata o procuratasi. Nessuno
giustificherà me daver tralasciato di curare,
potendolo, la vita di un mio prossimo perché ho pensato
che fosse meglio per lui andare in cielo. Se poi
si esclude il compimento soprannaturale cristiano, che significato
può avere il primato della dignità?
Di quale dignità fruirà mai quella vita estinta,
quella persona una volta sottratta alla vita? La dignità
dessere un nulla che per definizione non soffre?
* * *
Quelle del cardinale Martini non sono forse, in se stesse,
posizioni gravemente divergenti dal magistero ordinario. Sono
cautamente permissive sul caso singolo
che è poi prassi da confessore. E qui sta il problema
che il cardinale non sembra cogliere: manca nelle sue considerazioni,
per quanto fini e pensose, la distinzione tra la norma che
fa parte della costituzione e funzione docente della Chiesa,
da un lato, e dallaltro lato lepikeia,
il giudizio prudenziale e soggettivo, infine caritatevole,
che appartiene all'ordine della giurisdizione, del foro esterno
come di quello interno, e della pratica penitenziale.
Il cardinale non sembra vedere forse non intende sottolineare
la peculiare funzione della norma rispetto alla formazione
delle coscienze. La norma è insostituibile, ed
è anche fatta di divieti. Appare, dunque, squisitamente
utopico-moralistico suggerire che la formazione della coscienza
debba prevalere sulla legge nel magistero della Chiesa. Norma
e coscienza individuale sono ad un tempo inscindibili e segnate
da reciproca trascendenza.
A chi conviene, allora, imputare al conflitto bioetico dessere
pretestuoso, anzi strumentale? Certo, si può
pensare di sottrarre ragioni ed emozioni alla attiva resistenza
che la gerarchia e la cultura cattolica oppongono alle modernizzazioni
liberal-radicali. Vi sia o meno in ambedue i dialoganti la
volontà di indebolire una da loro non apprezzata soggettività
cattolica, il danno che produce anche il solo imbarazzo creato
a Roma dallintervista del cardinale Martini è
evidente.
Ma è ancora maggiore il danno che le sue pur caute
aperture possono provocare sulla tenuta del consenso
pro-life e della conseguente decisione di tanti cristiani
e di significative minoranze laiche a dare battaglia su questo
terreno.
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