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COMUNICATO DEL 10 APRILE 2006



Lettera aperta di Don Alberto Franzini, parroco in seguito al secondo intervento di Carlo Sante Gardani apparso su "La voce di Cremona" del 10 aprile 2006

LETTERA APERTA

L'intervento di Carlo Sante Gardani mi offre ancora l'occasione per approfondire alcuni temi, da lui stesso richiamati. E lo faccio in forma di lettera aperta, anche per i legami umani e cristiani che ho sempre avuto con lui.

Caro Carlo,

1. Anzitutto nessun rancore personale: non capisco perché, ogni volta che si entra in un libero dibattito, si debba temere di turbare i rapporti personali. Se il confronto rimane sulle idee, ben vengano i confronti. In una società libera e democratica, la battaglia sulle idee non può che essere la benvenuta, perché il confronto e il dibattito sono il sale del dialogo e della democrazia, purchè di confronto davvero si tratti. C'è da temere, piuttosto, una comunità dove non ci si confronta e non si dialoga.
2. Condivido anche alcune idee e preoccupazioni espresse da te espresse: le chiese vuote, le responsabilità di noi preti….Ma esistono anche le responsabilità dei laici e chiedo che anche verso i preti si viva la carità cristiana e si abbia il coraggio umano di entrare in dialogo con i propri preti. Circa le chiese vuote: la Chiesa non è un'agenzia elettorale, a caccia di consenso e di potere. I cristiani sono chiamati alla fedeltà e alla testimonianza, pochi o tanti che siano. Quante volte San Paolo ci ammonisce a non conformarci alla mentalità di questo mondo e a non cedere alle lusinghe della sapienza mondana: o vogliamo andar dietro al verso del legno, per aver le chiese piene? Ti ricordo che proprio nel mondo protestante, dove maggiore è stata l'apertura alle istanze della modernità, le chiese e le comunità cristiane sono molto più sguarnite delle nostre. Ma non erano e non sono queste le questioni che ho posto sul tappeto.
3. Non ho fatto un discorso pastorale all'interno della Chiesa. La Parola di Dio è sufficientemente chiara in tema di matrimonio e la Chiesa non ha il potere di cambiare i progetti di Dio, chiaramente espressi nella Bibbia ("L'uomo si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola… "E l'uomo non separi ciò che Dio ha unito", aggiunge e completa Gesù). La Chiesa, in nome della carità cristiana, non può inseguire le esigenze del mercato e quindi mettere sullo stesso piano il sacramento del matrimonio con altre forme di unione: senza entrare nel giudizio delle persone, che vanno sempre trattate e accolte da persone, anche quando stanno vivendo momenti e situazioni di difficoltà. Permettimi un rilievo personalissimo: quante volte mi capita di incontrare, nel mio ministero, coppie di fatto, che chiedono magari il battesimo per il loro bambino. Credo che nessuna di loro mi possa incolpare di intransigenza fondamentalista o di mancanza di carità. Ho sempre accolto la richiesta del battesimo per i loro figli, ovviamente chiedendo loro le condizioni minimali perché il battesimo potesse essere responsabilmente celebrato. E ho anche prospettato loro - laddove non c'erano impedimenti di altra natura e nel pieno rispetto delle loro libere scelte - il matrimonio cristiano o, laddove questo non era possibile, almeno quello civile. Insomma: la Chiesa non può non essere fedele a Dio e fedele all'uomo. Per essere fedele a Dio, la Chiesa annuncia a tutti i battezzati che non può esistere altra forma bella e umanamente ricca di unione fra uomo e donna se non quella del sacramento del matrimonio. Per essere fedele all'uomo, la Chiesa non può non tenere conto delle varie situazioni, dei tempi e delle fasi di maturazione, del cammino educativo, ma sempre prospettando (e non mai imponendo….) la verità: proprio perché ritiene che la verità sia la prima forma di carità, senza imporre nulla, ma anche senza far sconti, che sarebbero e anzi sono delle vere e proprie falsificazioni. Certo, il giudizio ultimo spetta a Dio, come tu affermi: ma Dio ci ha dato anche una coscienza e soprattutto una Parola che rende possibile una valutazione etica dei comportamenti umani. Altrimenti l'uomo sarebbe davvero e tragicamente "in balia solo di se stesso e delle proprie voglie" (Benedetto XVI). Ma proprio qui permane la confusione: massima carità verso le persone, ma non posso - in nome della carità - far passare di tutto, annullando ogni differenza fra bene e male, fra verità ed errore. L'uomo è un cercatore di verità: e non si accontenta, se non episodicamente e illusoriamente, delle sue contraffazioni. Così come l'uomo è un assetato di Dio: e non si accontenta delle sue falsificazioni, ossia delle "scimmie" e dei fantocci che gli vengono proposti. Radicalizzo volutamente: massima carità anche verso gli uccisori di Tommy, ma non posso sostenere, in nome della carità, che l'uccisione di Tommy sia un bene, nè posso pretendere che tale uccisione venga giuridicamente condonata; massima carità anche verso una persona pedofila: ma non posso accettare come moralmente buoni gli atti di pedofilia, né posso pretendere che la legge giustifichi e approvi qualsiasi violenza sessuale, in nome della legittimità e bontà, oggi ampiamente sbandierate, di qualsivoglia orientamento sessuale.
4. Io ho impostato la riflessione sul piano civile: che cosa sono i Pacs? Quali obiettivi vogliono raggiungere? La società ha davvero bisogno di mettere sullo stesso piano la famiglia fondata sul matrimonio e i Pacs? Si possono concedere diritti, senza pretendere anche i rispettivi doveri? E sul piano educativo, quali conseguenze per le giovani generazioni in tema di stima per le relazioni stabili e feconde, per le responsabilità e gli impegni anche sociali? C'è il rischio oggi di una soggettivizzazione esasperata, ossia di una assurda pretesa di trasformare in diritto ogni desiderio soggettivo. Il che si ritorce a danno della stessa società, oltre che delle stesse persone coinvolte. Già lo stesso card. Martini - considerato uno degli uomini di Chiesa più aperti alle istanze del pensiero moderno - in un celebre Discorso alla Città di Milano del 6 dicembre 2000 sul tema "Famiglia e politica", insisteva sul ruolo pubblico e sociale della famiglia fondata sul matrimonio: un ruolo, sosteneva Martini, che non può essere equiparato ad altre forme di convivenza, soprattutto per i valori della stabilità e della fecondità, che richiedono per la famiglia una tutela di carattere giuridico e perfino economico che non può essere riconosciuta ad altre unioni di natura privatistica. Si potrà almeno discutere su questi temi? Anche perché la stessa formazione politica alla quale - mi pare - tu fai riferimento, ossia la Margherita, nelle persone dei suoi responsabili nazionali appare una delle più risolute, nello schieramento di centrosinistra - anche nelle legislazioni regionali - a non mettere sullo stesso piano l'istituto del matrimonio, così come è configurato dalla nostra stessa Costituzione, e altre forme di unione, senza che ciò possa ledere i diritti fondamentali e le scelte private delle persone.
5. C'è un ultimo punto nell'articolo, che il giornalista rileva non capisco da quale fonte, riguardante spostamenti di fedeli da una parrocchia all'altra. Che cosa si vuol dire: che esistono le parrocchie di centrosinistra e quelle di centrodestra? Ma si può, in nome di legittime preferenze politiche, spaccare la fraternità cristiana? La divisione, soprattutto se cercata e favorita, è sempre opera luciferina. Cesare è forse più importante di Dio? Si vuole una religione di Stato, o una religione del principe? La Chiesa ha i suoi responsabili, che non sono i capi partito e i capi fazione. L'attuale parroco, fin che rimane parroco di Santo Stefano, vuol dire che gode della fiducia del suo Vescovo. Vogliamo le parrocchie ad immagine dei partiti? Andiamo a caccia del prete che ha le stesse nostre simpatie politiche? E' una ricchezza ed è una sfida per le nostre comunità cristiane anche la legittima differenza delle opzioni politiche dei fedeli: purchè si professi e si testimoni un unico credo, e si viva nell'obbedienza ai propri pastori. Ed è proprio la comunione con i propri pastori - non la sudditanza ai capi e capetti politici - la fonte della autentica libertas Ecclesiae: una libertà, quella della Chiesa, che l'ha preservata in occidente dal cesaropapismo. C'è sempre il pericolo - lo ricordava papa Benedetto XVI nell'ultima udienza generale del 5 aprile - di perdere la fede e così anche di perdere l'amore e la fraternità. Il Papa ricordava quel che dice la Prima Lettera di San Giovanni: "Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma doveva rendersi manifesto che non tutti sono dei nostri" (2,19). Non scherziamo su queste cose!
Un fraterno saluto
Don Alberto Franzini

10 aprile 2006

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