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COMUNICATO DELL'8 APRILE 2006



Risposta di Don Alberto Franzini, parroco
apparsa su "La Voce di Cremona" il 9 aprile 2006

IN MERITO ALL’INTERVENTO SUI PACS DI CARLO SANTE GARDANI APPARSO SU "La voce di Cremona" L'8 APRILE 2006

L’intervento di Carlo Sante Gardani merita una risposta articolata, che non può e non deve accontentarsi di slogan. Certo, tutto deve essere affrontato con carità cristiana (almeno da parte dei cristiani: uno Stato laico non è tenuto alla “carità cristiana”…): anche gli uccisori di Tommy, anche i pedofili (compreso qualche prete) vanno trattati con carità cristiana. Ma la carità, appunto, è sempre verso le persone, soprattutto quelle che stanno vivendo situazioni di difficoltà e anche di errore, ma non può essere mai connivenza con il male. Appunto: accoglienza del peccatore, sempre, ma non del peccato, mai (è lo stesso Gardani a riconoscere come valida questa distinzione: vuol dire che anche lui, inconsciamente, non mette sullo stesso piano il matrimonio naturale e i Pacs? Me ne rallegro).
Del resto, per noi cristiani la Parola di Dio così ci insegna e così ha testimoniato Gesù: il peccatore va amato fino in fondo, così come fino in fondo va rifiutato il peccato. Mi sembra invece che oggi si indulga ad un codice confusivo, quando, in nome della carità e della bontà, si fa passare di tutto: dobbiamo accogliere e giustificare anche la violenza, in nome dei disagi sociali? il furto, in nome di tendenze cleptomani o in nome della violazione della giustizia distributiva? la pedofilia, in nome della giustificazione, oggi ampiamente teorizzata, che ogni orientamento sessuale è eticamente indifferente, anzi va addirittura giuridicamente protetto? La carità, ci insegna ancora la Parola di Dio, non può mai disgiungersi dalla verità. Ma altro è la carità cristiana, che è uno stile di accoglienza dell’altro anche quando sbaglia (invitandolo a ricredersi: Gesù non ha forse detto all’adultera: “Va e non peccare più”? O vogliamo far dire a Gesù: “Va, e continua pure a peccare”? Gesù non ha forse detto: “Convertiti” o vogliamo far dire a Gesù: “Vivi pure tranquillo nella tua situazione di peccato”?), e altro è il piano di una legislazione civile, che non può lasciare impuniti i reati e neppure può limitarsi a “prendere atto dei comportamenti”, e a riconoscerli giuridicamente, semplicemente perché “accadono”, a prescindere da ogni criterio di etica naturale, perché in tal modo viene meno alla sua funzione sociale e la società stessa diventa una giungla.
Venendo ai Pacs, vogliamo una buona volta affrontarli per quel che intendono essere? o semplicemente preferiamo indulgere alle ideologie correnti, che in realtà mirano a far passare nelle nostre società il matrimonio omosessuale e perfino l’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali? Dare una qualsiasi forma di riconoscimento giuridico, nell’ambito del diritto pubblico, a unioni diverse da quella della famiglia fondata sul matrimonio (religioso o civile), non solo è contro la nostra Costituzione italiana (che non ammette una famiglia che nasca da altre forme di unione), ma è come mettere in circolazione monete false che inevitabilmente porteranno a deprezzare la moneta corrente. Una società non può permettere che le nuove forme di relazionalità oggi esistenti pretendano tutte quelle forme di legittimazione e di tutela che sono date alla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Solo quest’ultima, infatti, riveste una piena funzione sociale, dovuta al suo progetto e impegno di stabilità e alla sua dimensione di fecondità, che la rendono una società sui generis, unica, appunto una società “naturale”, ossia fondata sulla natura, non sul diritto positivo e statuale, il quale è chiamato piuttosto a riconoscerla, tutelarla e promuoverla. Il matrimonio come patto stabile tra un uomo e una donna e la famiglia a cui il matrimonio dà origine vengono prima dello Stato e della politica.
Il diritto privato o soggettivo oggi vigente in Italia offre già gli strumenti giuridici sufficienti per regolare tutte le esigenze delle unioni di fatto, eccetto la pensione di reversibilità. I Pacs, non prevedendo alcun obbligo di fedeltà, amplificano la cultura del provvisorio e di fatto svalutano il matrimonio. Ha bisogno di questo, oggi, la società italiana? E poi, perché il diritto pubblico deve regolare le unioni di coloro che, liberamente, decidono di rifiutarlo, preferendo rimanere in una sorta di “accordo privato”? E ancora: perché si vuole che la legge riconosca i diritti tipici del patto coniugale a coloro che scelgono di non assumerne anche i doveri? Un legislatore non può non affrontare, seriamente, tali questioni, quando si trova di fronte alla richiesta dei Pacs, anche per prevedere e valutare gli effetti che un tale riconoscimento, nel futuro, può provocare sulla società italiana. Senza dimenticare quel che i più saggi esperti e studiosi vanno costatando da tempo: che la stessa sessualità umana, se privata di relazioni stabili e feconde, se privata di impegni e di responsabilità educative, se dunque lasciata al precariato e alla instabilità, se affidata solo a desideri soggettivi, anziché essere vissuta secondo la logica che le è propria, che è la logica dell’amore oblativo e della apertura alla vita, va inevitabilmente incontro a tutte le patologie e può aprirsi anche a forme di perversione. E’ di questa pluralità di “modelli coniugali” che hanno bisogno i nostri giovani? Ed è possibile una piena educazione dei ragazzi e dei giovani in contesti “coniugali” che sono sempre più labili e informi?
Difendere e promuovere la famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna non è chiudere gli occhi di fronte alla realtà e nemmeno mancare di rispetto alle persone e neppure voler imporre a tutti una “morale cattolica”: è, piuttosto, difendere e tutelare quelle che il Papa stesso (in questo molto più laico di tanti laicisti) ha definito “verità elementari che riguardano la nostra comune umanità” e che sono alla base di ogni autentica società umana. Davvero, certo buonismo – quando non è radicato nella verità delle cose – diventa connivenza con la mentalità dominante e costituisce il veicolo, spesso inconscio, di quel relativismo esasperato che minaccia gravemente la vita delle società odierne. La stessa “libertà di coscienza”, invocata da Gardani (che è cosa sacrosanta), quando diventa pretesa di riconoscimento etico e giuridico dei propri soggettivi desideri e punti di vista, quando non è espressione della libera e responsabile adesione al bene e del gioioso stupore di fronte allo “splendore della verità”, porta ancora una volta acqua al mulino della autoreferenzialità e del relativismo: il quale relativismo, proprio perché sganciato dal patrimonio della nostra comune umanità (il diritto naturale), diventa - come ebbe a dire Giovanni Paolo II nel suo discorso al Parlamento italiano (14 novembre 2002) - l’anticamera del totalitarismo, ossia della dittatura del più forte o del più furbo, quindi di chi detiene i poteri: politici, finanziari, economici, mediatici. Ecco perché il potere va ridato anzitutto alla verità, ossia ai valori fondamentali e come tali non negoziabili della persona umana, che precedono o dovrebbero precedere qualsiasi logica di maggioranza politica e parlamentare. Altrimenti, con i soli colpi di maggioranza, si può cadere nella dittatura, come è successo a Monaco nel 1938 e come è successo e può succedere tante volte nella storia.

Don Alberto Franzini
9 aprile 2006

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