IN MERITO ALLINTERVENTO SUI PACS DI CARLO SANTE
GARDANI APPARSO SU "La voce di Cremona" L'8 APRILE
2006
Lintervento di Carlo Sante Gardani merita una risposta
articolata, che non può e non deve accontentarsi di
slogan. Certo, tutto deve essere affrontato con carità
cristiana (almeno da parte dei cristiani: uno Stato laico
non è tenuto alla carità cristiana
):
anche gli uccisori di Tommy, anche i pedofili (compreso qualche
prete) vanno trattati con carità cristiana. Ma la carità,
appunto, è sempre verso le persone, soprattutto quelle
che stanno vivendo situazioni di difficoltà e anche
di errore, ma non può essere mai connivenza con il
male. Appunto: accoglienza del peccatore, sempre, ma non del
peccato, mai (è lo stesso Gardani a riconoscere come
valida questa distinzione: vuol dire che anche lui, inconsciamente,
non mette sullo stesso piano il matrimonio naturale e i Pacs?
Me ne rallegro).
Del resto, per noi cristiani la Parola di Dio così
ci insegna e così ha testimoniato Gesù: il peccatore
va amato fino in fondo, così come fino in fondo va
rifiutato il peccato. Mi sembra invece che oggi si indulga
ad un codice confusivo, quando, in nome della carità
e della bontà, si fa passare di tutto: dobbiamo accogliere
e giustificare anche la violenza, in nome dei disagi sociali?
il furto, in nome di tendenze cleptomani o in nome della violazione
della giustizia distributiva? la pedofilia, in nome della
giustificazione, oggi ampiamente teorizzata, che ogni orientamento
sessuale è eticamente indifferente, anzi va addirittura
giuridicamente protetto? La carità, ci insegna ancora
la Parola di Dio, non può mai disgiungersi dalla verità.
Ma altro è la carità cristiana, che è
uno stile di accoglienza dellaltro anche quando sbaglia
(invitandolo a ricredersi: Gesù non ha forse detto
alladultera: Va e non peccare più?
O vogliamo far dire a Gesù: Va, e continua pure
a peccare? Gesù non ha forse detto: Convertiti
o vogliamo far dire a Gesù: Vivi pure tranquillo
nella tua situazione di peccato?), e altro è
il piano di una legislazione civile, che non può lasciare
impuniti i reati e neppure può limitarsi a prendere
atto dei comportamenti, e a riconoscerli giuridicamente,
semplicemente perché accadono, a prescindere
da ogni criterio di etica naturale, perché in tal modo
viene meno alla sua funzione sociale e la società stessa
diventa una giungla.
Venendo ai Pacs, vogliamo una buona volta affrontarli per
quel che intendono essere? o semplicemente preferiamo indulgere
alle ideologie correnti, che in realtà mirano a far
passare nelle nostre società il matrimonio omosessuale
e perfino ladozione di bambini da parte di coppie omosessuali?
Dare una qualsiasi forma di riconoscimento giuridico, nellambito
del diritto pubblico, a unioni diverse da quella della famiglia
fondata sul matrimonio (religioso o civile), non solo è
contro la nostra Costituzione italiana (che non ammette una
famiglia che nasca da altre forme di unione), ma è
come mettere in circolazione monete false che inevitabilmente
porteranno a deprezzare la moneta corrente. Una società
non può permettere che le nuove forme di relazionalità
oggi esistenti pretendano tutte quelle forme di legittimazione
e di tutela che sono date alla famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio. Solo questultima, infatti,
riveste una piena funzione sociale, dovuta al suo progetto
e impegno di stabilità e alla sua dimensione di fecondità,
che la rendono una società sui generis, unica, appunto
una società naturale, ossia fondata sulla
natura, non sul diritto positivo e statuale, il quale è
chiamato piuttosto a riconoscerla, tutelarla e promuoverla.
Il matrimonio come patto stabile tra un uomo e una donna e
la famiglia a cui il matrimonio dà origine vengono
prima dello Stato e della politica.
Il diritto privato o soggettivo oggi vigente in Italia offre
già gli strumenti giuridici sufficienti per regolare
tutte le esigenze delle unioni di fatto, eccetto la pensione
di reversibilità. I Pacs, non prevedendo alcun obbligo
di fedeltà, amplificano la cultura del provvisorio
e di fatto svalutano il matrimonio. Ha bisogno di questo,
oggi, la società italiana? E poi, perché il
diritto pubblico deve regolare le unioni di coloro che, liberamente,
decidono di rifiutarlo, preferendo rimanere in una sorta di
accordo privato? E ancora: perché si vuole
che la legge riconosca i diritti tipici del patto coniugale
a coloro che scelgono di non assumerne anche i doveri? Un
legislatore non può non affrontare, seriamente, tali
questioni, quando si trova di fronte alla richiesta dei Pacs,
anche per prevedere e valutare gli effetti che un tale riconoscimento,
nel futuro, può provocare sulla società italiana.
Senza dimenticare quel che i più saggi esperti e studiosi
vanno costatando da tempo: che la stessa sessualità
umana, se privata di relazioni stabili e feconde, se privata
di impegni e di responsabilità educative, se dunque
lasciata al precariato e alla instabilità, se affidata
solo a desideri soggettivi, anziché essere vissuta
secondo la logica che le è propria, che è la
logica dellamore oblativo e della apertura alla vita,
va inevitabilmente incontro a tutte le patologie e può
aprirsi anche a forme di perversione. E di questa pluralità
di modelli coniugali che hanno bisogno i nostri
giovani? Ed è possibile una piena educazione dei ragazzi
e dei giovani in contesti coniugali che sono sempre
più labili e informi?
Difendere e promuovere la famiglia fondata sul matrimonio
tra un uomo e una donna non è chiudere gli occhi di
fronte alla realtà e nemmeno mancare di rispetto alle
persone e neppure voler imporre a tutti una morale cattolica:
è, piuttosto, difendere e tutelare quelle che il Papa
stesso (in questo molto più laico di tanti laicisti)
ha definito verità elementari che riguardano
la nostra comune umanità e che sono alla base
di ogni autentica società umana. Davvero, certo buonismo
quando non è radicato nella verità delle
cose diventa connivenza con la mentalità dominante
e costituisce il veicolo, spesso inconscio, di quel relativismo
esasperato che minaccia gravemente la vita delle società
odierne. La stessa libertà di coscienza,
invocata da Gardani (che è cosa sacrosanta), quando
diventa pretesa di riconoscimento etico e giuridico dei propri
soggettivi desideri e punti di vista, quando non è
espressione della libera e responsabile adesione al bene e
del gioioso stupore di fronte allo splendore della verità,
porta ancora una volta acqua al mulino della autoreferenzialità
e del relativismo: il quale relativismo, proprio perché
sganciato dal patrimonio della nostra comune umanità
(il diritto naturale), diventa - come ebbe a dire Giovanni
Paolo II nel suo discorso al Parlamento italiano (14 novembre
2002) - lanticamera del totalitarismo, ossia della dittatura
del più forte o del più furbo, quindi di chi
detiene i poteri: politici, finanziari, economici, mediatici.
Ecco perché il potere va ridato anzitutto alla verità,
ossia ai valori fondamentali e come tali non negoziabili della
persona umana, che precedono o dovrebbero precedere qualsiasi
logica di maggioranza politica e parlamentare. Altrimenti,
con i soli colpi di maggioranza, si può cadere nella
dittatura, come è successo a Monaco nel 1938 e come
è successo e può succedere tante volte nella
storia.
Don Alberto Franzini
9 aprile 2006
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