Gli uomini davvero liberi sono quelli che quando si rendono
conto di aver commesso un errore, lo riconoscono. Quelli
che non hanno bisogno di unintimazione per rimediare
a uno sbaglio. Quelli che non fanno finta di sentire solo
gli applausi. Quelli che dallalto di uno straordinario
successo frutto di mestiere e di fortuna, del potente
mezzo usato e di un antico inusuale coraggio sanno
chinarsi sulle storie e sulle voci degli impresentabili
e dei politicamente scorretti. E le ascoltano. Anche se
non sono quelle che a loro piacciono e che hanno deciso
di raccontare davanti alle telecamere della Rai, cioè
della tv che dovrebbe essere di tutti, che è tenuta
a essere e a farsi «servizio pubblico».
Fabio Fazio ne sa qualcosa di «quelli che».
E anche Roberto Saviano. Sanno di vittorie e di sconfitte,
loro. Sanno di presunti vincitori e di presunti sconfitti.
Sanno di speranza e di disperazione. E sanno come raccontare,
come elencare. Bene, benissimo. Male, malissimo. Perché
della vita che si fa malata, ma malata per davvero, duramente
malata, fingono di aver saputo solo la disperazione e il
rifiuto. Fingono di aver incontrato e riconosciuto solo
storie di guerra, battaglie lunghe e amare e controverse
per abbandonare e per finire. Fingono, cioè,di non
sapere di Mario e di Fulvio, di Max e di mamma Lucrezia
e papà Ernesto, di Maria Pia e di suo marito. Fingono
di non aver mai sentito di Stefano e Chantal, di Moira,
di Angelo, di Simone, di Rosy e di Susi con unintera
famiglia adottiva. Ma se per avventura loro, e gli autori
di "Vieni via con me", nulla avessero saputo o
sentito o anche solo intuito di tutta questa vita in lotta
da chiamare e rispettare per nome, in questi giorni
sulle nostre pagine hanno certo avuto occasione di
incontrarla e conoscerla. Eppure non lhanno riconosciuta.
E ora che pure il Consiglio di amministrazione della Rai,
ha detto: «Fateli parlare»? Ora niente, dicono,
Fazio e Saviano. Per loro è «inaccettabile».
Quelle voci e già temevano di averlo capito
sono inaccettabili. Beh, non si somigliano proprio
Fazio e Saviano quando mostrano laudience e voltano
la testa, con aria loro da vittime (o, forse,
non somigliano allimmagine di sé che ci avevano
dato). E non si somiglia nemmeno Paolo Ruffini, direttore
di Raitre e intellettuale limpido e rigoroso, quando afferma
che niente di «non detto» e di negato cè
stato nel programma che sulla sua rete ha avuto il maggior
successo di sempre.
Ma che cosa hanno fatto i non-Englaro e i non-Welby per
meritare questo bavaglio e queste umiliazioni, questo puntiglioso
sussiego? Sono forse troppi? Sì, sono tantissimi.
Sono praticamente tutti quelli che si sono ritrovati arruolati
loro malgrado nelle battaglie con la distrofia, la sclerosi
multipla, la Sla... Sono quelli che conoscono o hanno conosciuto
il coma, quelli che vengono definiti in stato vegetativo.
Sono quelli che si sono risvegliati. E quelli che stanno
ancora chiusi dentro. Sono quelli che stanno accanto, quelli
che non indietreggiano, quelli che fanno spazio nelle loro
case e nelle loro vite a queste altre vite inchiodate e
tempestose. Sono quelli che magari credono in Gesù
Cristo e non hanno paura della morte, ma non ci stanno a
dire che lamore e la scienza servono a niente. Sono
quelli che magari non credono in Dio, ma non rinunciano
a ogni respiro e a ogni pensiero. Quelli che accanirsi mai,
ma eutanasia mai.
Non hanno bisogno di «par condicio», perché
la sfida per loro è comunque dispari. Hanno diritto
a un po di verità. E la tv non è necessariamente
e sempre altra dalla verità, altra dalla vita vera.
Marco Tarquinio
Da Avvenire, 25 novembre 2010