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Casalmaggiore
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20 Novembre 2010


Fateli parlare
di Marco Tarquinio

Fateli parlare. Non c’è altro che chiediamo e che, adesso, ci aspettiamo: fateli parlare. Fate parlare una buona volta, riconoscete e fate conoscere quelli come Mario Melazzini (nella foto), come Fulvio De Nigris, come Mariapia Bonanate e suo marito, Angelo Carboni, Rosy Facciani, Simone Schonsberg e la mamma Gloria, Moira Quaresmini e la sua famiglia. Lo diciamo a ogni network e a ogni emittente di questo nostro Paese, ai colleghi della carta stampata. Ma prima che a ogni altro lo diciamo a coloro che stanno in Rai e costruiscono, dirigono e amministrano la televisione che dovrebbe, ancora e sempre, essere di tutti. Se dire Rai significa davvero dire “servizio pubblico” e non evocare un privato strumento di propaganda di un conduttore di successo e dei suoi selezionatissimi amici e ospiti, fateli parlare.
Fabio Fazio – in dosato e infine esplosivo crescendo – sta dando spazio e voce solo ai “profeti” dell’eutanasia? Rendetevene conto – presidente Garimberti, direttore generale Masi, direttore Ruffini – e fate dare conto delle voci cancellate e negate, delle vite e delle storie umiliate. Fazio e Saviano hanno deciso di riconoscere e far conoscere, a senso unico, le vicende e le battaglie «libertarie» e infine di morte condotte da Englaro e Welby e dalle lobby radunate attorno a loro (guarda caso le stesse dello spot eutanasico che si vorrebbe far dilagare in tv)? Hanno pontificato e lasciato argomentare sulla non dignità della condizione di malati e malate? Hanno scatenato indignazione tra le gente vera, i malati e le loro famiglie, che nessuno o quasi si preoccupa di considerare? Siate la Rai, e date un segnale: date voce alle voci umiliate e negate, alle altre voci, alle voci di chi vive e lotta e soffre e non molla.
Fate parlare uno come Mario Melazzini, un malato di Sla che più di chiunque altro può dire che cosa significa combattere il male. Un medico che, da uomo di scienza e da persona messa alla prova, sa che cosa vuol dire investigare, curare e resistere con dignità vivente e tenace gioia alla fascinazione del sonno e della morte che tutto placano, che cancellano la lotta e la speranza, il dolore e i giorni.
Fate parlare uno come Fulvio De Nigris, un uomo che ha sperimentato la fatica di vegliare e accudire un figlio che c’è e che sembra non ci sia, un padre che sa ormai – e testimonia – dell’impossibile per un maschio: il custodire, il nutrire, l’aspettare – come in una gravidanza – il figlio che ti è stato dato e che hai come perso, ma che forse ti rinasce e che, risvegliandosi o non risvegliandosi, comunque ti risveglia al senso della vita e della dignità e dello stare accanto.
Fate parlare una come Maria Pia Bonanate, una donna che vive con l’amore di sempre anche la vita «chiusa dentro» di suo marito e ha visto capovolta la quotidianità sua e della sua famiglia. Una moglie e una madre, un’intellettuale, che sa dell’amore e dello strazio, della pazienza e dell’ansia di giustizia, della fede in Dio e della fiducia nella buona scienza, della solitudine in cui ti precipitano indifferenze (e inadempienze) e della forza che può sprigionarsi dal “fare rete”, dal mettere in comunicazione vite e storie.
Fateli parlare, e non per «par condicio» e per «far dibattito». Ma perché la loro è lotta vera, è umanità vera. Certo, è vera anche la parola di chi anela alla “libertà del burrone” perché ritiene che in se stesso – in un’autodeterminazione, in un’idea di dignità, in una fine – può risolvere anche il mondo. Ma – se appena ci si pensa, se Fazio e Saviano ci riflettono e con loro lo fanno gli amministratrori e i direttori della Rai e ogni giornalista – l’umanità di Mario e Fulvio e Maria Pia dice molto di più della nostra umanità e della nostra attesa. Perché racconta della tenacia e della speranza. Siamo uomini e donne – e non ci salviamo e  risolviamo in solitudine – perché amiamo e teniamo duro, non ci fermiamo alle apparenze e non ci arrendiamo al male. Fate parlare, allora,  Mario, Fulvio e Maria Pia... Non lasciateli umiliare ancora, non negate loro la voce.


Da Avvenire, 19 novembre 2010

 

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