Caro Direttore,
aderisco cordialmente e convintamene alla Sua proposta
di una moratoria per laborto. Finalmente, il Suo
appello del 19 dicembre scorso ha sdoganato questo tema
cruciale, finora o chiuso nel perimetro del popolo
cattolico (comunque anchesso parte integrante
del popolo italiano!, e quindi con tutto il diritto e
il dovere, costituzionalmente garantito dallart.
21, di manifestare liberamente il proprio pensiero)
o univocamente monopolizzato da coloro che, usciti vincitori
dal referendum sulla 194, non hanno mai contrastando
gli elementari diritti di ogni matura democrazia, e perfino
silenziando chi, fino ad oggi (compreso il card. Ruini),
pur non approvando la 194, ne ha ripetutamente chiesto
lapplicazione integrale voluto riaprire il
problema, ribadendo, con pervicacia irrazionale, che la
194 non si tocca. Anche Benedetto XVI, con il garbo
che gli è abituale nella scelta del lessico, ma
con la fermezza che gli è altrettanto abituale
sui contenuti, ha auspicato lapertura di un pubblico
dibattito - che non è mai venuto meno nella Chiesa
cattolica sulla sacralità della vita umana.
Si è aggiunta in questi giorni la riflessione del
ministro Amato, per tanti aspetti condivisibile e apprezzabile,
laddove afferma che la legge 194 doveva servire come una
iniezione di consapevolezza, di responsabilità,
di disponibilità di supporti e di aiuti,
e proprio per attuare lo spirito della legge, la quale
afferma non già un diritto, ma la liceità
penale di una scelta tragica. Ma è davvero
così? Nella cultura di massa, invece, laborto
è diventato un diritto e chi ha tentato di rimuovere,
secondo lo spirito e la lettera della stessa 194, le cause
di una scelta tragica, è stato messo
alla gogna e accusato di oscurantismo e di negazionismo
dei diritti fondamentali.
Trovo invece almeno due contraddizioni nella riflessione
di Amato.
La prima: non cogliere la profonda analogia delle due
moratorie. Si tratta in realtà di evitare pericolose
schizofrenie culturali, piuttosto frequenti nel nostro
tempo, e che sono debitrici nientaltro che a posizioni
ideologiche. La vita che non può esser negata neppure
al peggior delinquente, perché dovrebbe essere
sacrificata nel caso dellembrione? Non si tratta
della stessa sostanza umana? Dello stesso palpito umano?
Si faccia vedere a un bambino qualsiasi di una qualsiasi
scuola elementare lecografia di un feto e chiedetegli:
è qualcuno o è qualcosa? Appartiene alle
cose o appartiene allumanità? La risposta
sarà meravigliosamente univoca. Dunque, le due
moratorie sono strettamente imparentate, anzi, sono due
facce dello stesso rispetto della vita. Amato scrive:
Ho sempre chiamato bambino, non feto, la creatura
che cresce nel ventre materno. Che cosa impedisce
allora ad Amato, alla sua razionalità, alla sua
onestà intellettuale, di essere conseguente fino
in fondo, se non una schiavitù ideologica, ossia
la dipendenza da un concetto di progresso che vuole a
tutti i costi ridurre a cosa lembrione
e vuole a tutti i costi rendere la madre proprietaria
di una vita che, una volta accesa, è da lei distinta
e quindi chiede il sommo amore, appunto il diritto
di nascere e tutto laiuto possibile a nascere?
La seconda contraddizione. Amato è debitore di
un altro luogo comune, quando vorrebbe mettere insieme,
mentre in realtà cade in una pericolosa deriva
che sfiora il razzismo, gli embrioni e i bambini del Darfur
e i figli degli immigrati. Proprio perché bisogna
amare gli embrioni come i bambini e i bambini come gli
embrioni, che senso ha lanciare un grido di pietà
verso i bambini poveri e derelitti del mondo e non impedire
che 50 milioni allanno di embrioni siano privati
della vita? I primi contano forse più dei secondi,
se anche gli embrioni sono bambini? Quando
una società diventa incapace di tutelare il più
debole dei suoi membri, che è il cucciolo umano,
può autodefinirsi emancipata fin che vuole, ma
in realtà è così affetta dal morbo
del cinismo e del soggettivismo da conferire un sapore
di sinistra ipocrisia a tutte le sue denuncie sui mali
della società, a tutte le sue lacrime sui dolori
del mondo, a tutte le sue proteste sui disastri ecologici,
a tutte le sue marce contro la guerra.
I diritti umani non consentono scelte arbitrarie: simul
stabunt, simul cadunt. Ogni selezione porta inevitabilmente
a forme di discriminazione e di ingiustizia.
Caro Ferrara, siamo in tanti con lei, perché siamo
in tanti con la vita. Grazie.
Don Alberto Franzini
Parroco di Santo Stefano