Il caso Welby: una medicina del desiderio
è pericolosa
Un caso simile può rischiare di alimentare una
cultura della vita come proprietà della persona o dello
Stato. Il pericolo verrebbe dalla riduzione della vita umana
a qualcosa di misurabile e di manipolabile, conservata o tolta
in qualsiasi momento. Mentre la vita è la condizione
stessa del nostro esserci e nessuno può toglierla. E
lo stesso valore della libertà segue quello della vita:
senza la vita nessuno può esercitare la libertà.
Il suicidio, leutanasia su richiesta, è la libertà
che annienta se stessa. Non ogni volontà delluomo
è positiva. Vi sono volontà rivolte al bene, allessere
alla vita, ma anche volontà negatrici della vita delluomo
stesso. Se le assecondassimo, ci renderemmo complici di un crimine
morale e medico. Si compirebbe uno scivolamento verso la medicina
del desiderio e della volontà, e non più della
cura e dellaccompagnamento. Se passasse questo principio,
sarebbe la fine della medicina della persona e il medico diventerebbe
colui che esaudisce la sentenza dello Stato o il desiderio del
paziente. Un mero iatrotecnico, un tecnico della
biomedicina, non un professionista medico. Il medico, invece,
deve collaborare, insieme al paziente, per il suo vero bene,
tutelando la propria idea di bene con la quale egli è
proiettato nel rapporto con il malato. La medicina è
unopera morale, non una semplice tecnica diagnostica e
terapeutica, e lidea di bene non ne può restare
esclusa. Don Roberto Colombo
Bioeticista e biologo presso lUniversità Cattolica
(da Il Foglio del 22 dicembre 2006)