La sana laicità non esclude la religione
dalla vita pubblica
La «sana laicità» comporta che lo Stato
non consideri la religione come un semplice sentimento individuale,
che si potrebbe confinare al solo ambito privato. Al contrario,
la religione, essendo anche organizzata in strutture visibili,
come avviene per la Chiesa, va riconosciuta come presenza comunitaria
pubblica. Questo comporta inoltre che a ogni Confessione religiosa
(purché non in contrasto con l'ordine morale e non pericolosa
per l'ordine pubblico) sia garantito il libero esercizio delle
attività di culto - spirituali, culturali, educative
e caritative - della comunità dei credenti. Alla luce
di queste considerazioni, non è certo espressione di
laicità, ma sua degenerazione in laicismo, l'ostilità
a ogni forma di rilevanza politica e culturale della religione;
alla presenza, in particolare, di ogni simbolo religioso nelle
istituzioni pubbliche. Come pure non è segno di sana
laicità il rifiuto alla comunità cristiana, e
a coloro che legittimamente la rappresentano, del diritto di
pronunziarsi sui problemi morali che oggi interpellano la coscienza
di tutti gli esseri umani, in particolare dei legislatori e
dei giuristi. Non si tratta, infatti, di indebita ingerenza
della Chiesa nell'attività legislativa, propria ed esclusiva
dello Stato, ma dell'affermazione e della difesa dei grandi
valori che danno senso alla vita della persona e ne salvaguardano
la dignità. Questi valori, prima di essere cristiani,
sono umani, tali perciò da non lasciare indifferente
e silenziosa la Chiesa, la quale ha il dovere di proclamare
con fermezza la verità sull'uomo e sul suo destino. Benedetto XVI
(Al Convegno Nazionale dei giuristi cattolici, 9 dicembre 2006)