Perché il Papa che sfida i lupi
infastidisce i pecoroni di tutte le chiese
Nonostante l'agitazione dei nuovi orefici di Efeso, quelli
che duemila anni fa avrebbero voluto linciare Paolo l'apostolo
dei pagani che con il suo Cristo scombussolava i commerci
intorno alla dea Artemide (cfr. Atti degli Apostoli 19,21-41),
Benedetto XVI ha sfidato l'impopolarità organizzata
dai potenti ed è tornato nella terra che fu la culla
del cristianesimo. La patria dei Concili che hanno scritto
tutte le verità di fede che ancora oggi il cattolico
professa nel suo Credo. L'altrove geografico a cavallo tra
Oriente e Occidente dove il cristianesimo è ridotto
a un'esistenza archeologica. Non deve apparire strano se,
come ci ha raccontato il nostro inviato a Istanbul, sotto
le sacre ceneri del nazionalismo e dell'islam radicale, anche
in Turchia - magari insieme a qualche tram - brucia quel fuoco
tipicamente umano che si chiama desiderio. Di libertà.
E infatti, sebbene si dica in giro che dopo Ratisbona il Papa
ha sfidato i lupi grigi del nazionalismo estremista e le pecore
nere dell'islam radicale per riportare pace e dialogo nelle
relazioni con l'islam, non bisogna dimenticare che all'opposto
di quella fiorente industria del politicamente corretto che
relativizza ogni dato di ragione e annacqua ogni verità,
il Papa sa e predica una pace nella verità e un dialogo
non separabile dalla ragione. Benedetto XVI non è un
sottomesso. Né ai luoghi comuni del relativismo, né
alle insolenze dell'islamismo. Ciò, si capisce, inquieta
sia i ministri della religione, sia quelli di mondo. I quali
hanno capito che accanto alla storica missione della riunificazione
tra Chiesa cattolica e Chiese orientali ortodosse, c'è
in ballo la grande sfida della libertà portata da Cristo
ai nichilismi dispotici d'Oriente e d'Occidente. Il nichilismo
dispotico del mondo volontarista e senza realtà che
benedice il matrimonio gay e, insieme, quello col jihad.
(Da Tempi, 30 novembre 2006)
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