4 aprile 2004
|
TAZEBAO
EDUCAZIONE!
Per non dimenticare i morti
e non morire noi stessi
|
Un anno fa dicemmo: "No
alla guerra, sì all'America". Seguendo il Papa,
sentivamo atrocemente non risolutiva la guerra. Avevamo ragione:
i problemi di prima, e in particolare il terrorismo, ci sono
ancora tutti e gravissimi, come dimostra la Spagna. Avevamo
tuttavia la consapevolezza chiara che il nostro disaccordo con
le scelte di Bush non incrinava la nostra appartenenza a una
tradizione, a una cultura di libertà, democrazia e pluralismo
di cui l'America è espressione realizzata, per quanto
imperfetta.
Proprio perché siamo amanti della pace, oggi che la guerra
dichiarata dall'America è finita, dobbiamo continuare
a contrastare l'altra guerra che persiste: quella, pure dichiarata,
del terrorismo, a cui un'ideologia debole e confusa - apparentemente
prevalente nei nostri Paesi - non sa, di fatto, opporsi in termini
adeguati.
La piazza, soprattutto quella italiana, è riempita con
frequenza, a volte più che settimanale, di grida contro
l'America, mischiate a quelle contro qualsiasi operato del governo;
il terrorismo è anch'esso denunciato, ma come reazione,
ovvero come comportamento apparentemente inevitabile e quindi
in qualche modo giustificato. Mentre qua e là nel mondo
innocenti muoiono dilaniati dalle bombe, la piazza non scioglie
i suoi cortei contro tutto, inneggiando a una pace senza sacrificio
che lasci in pace e non disturbi un treno di vita che si vuole
comodamente progressivo. Così, mentre la piazza tende
a salire al governo, il governo tende ad assumere i toni della
piazza, rischiando tutti di rimanere per strada.
Ma, è ovvio, "così" non si cambia né
si costruisce. C'è bisogno non di proteste urlate e indistinte,
ma di educazione. La nostra tradizione - sì, la nostra
tradizione cristiana rifiutata dalla Costituzione europea -
non può essere denigrata e corrosa, ma deve essere riscoperta
nella sua potenza valorizzatrice della dignità umana.
Le nostre responsabilità di fronte a tutto il mondo non
possono essere impunemente fuggite, ma devono essere assunte,
per non dimenticare i morti e non morire noi stessi. La nostra
libera e plurale democrazia non può essere assurdamente
bollata come regime, ma deve essere sostenuta attraverso il
rispetto delle istituzioni; rispetto che ci deve essere, per
poterle criticare e correggere.
Come aveva profetizzato il cardinale Newman, pastore anglicano
convertito al cattolicesimo, è venuto il tempo in cui
i cattolici, che vivono di fede, per essere tali devono difendere
la ragione. E proprio la ragione ci dice che è venuto
anche il tempo in cui i cattolici, che vogliono vivere di più
società, devono difendere lo Stato: non uno Stato qualunque,
ma quello della nostra convivenza civile.
Marzo 2004
COMUNIONE E LIBERAZIONE
|
|
|