"In una cultura, radicata nella tradizione cristiana
come è nel caso del nostro Paese, il Crocifisso non
è solo il simbolo della fede, ma anche il simbolo della
identità culturale di un popolo. Per questo motivo
trovo sconcertante la sentenza del Tribunale dell'Aquila (
).
La vicenda mi ha suggerito due considerazioni.
La prima: il Crocifisso è il segno di un Dio che ama
l'uomo fino a dare la vita per lui. E' un segno di amore,
dunque, che abbraccia tutti, musulmani compresi, i quali tra
l'altro onorano essi pure Gesù Cristo come profeta
e messia, anche se non lo riconoscono Dio. Ebbene, questo
Gesù, il crocifisso, onorato anche dai musulmani, ci
ha insegnato la tolleranza che si manifesta anche con l'accoglienza
nel nostro Paese di tanti immigrati e con il rispetto verso
le loro religioni e le loro culture. Non è così
anche verso di voi, fratelli musulmani? Perché, allora,
togliere un segno che non vi fa danno, non vi fa del male;
anzi insegna a noi cristiani ad amare anche voi? Permettetemi
allora di rivolgervi un'altra domanda e di esprimervi un desiderio:
perché non riservate, nei vostri Paesi, un uguale trattamento
di tolleranza e di rispetto nei confronti nostri e delle nostre
legittime manifestazioni religiose? (
).
La seconda considerazione è rivolta a noi cristiani:
la sentenza del Tribunale dell'Aquila ha suscitato in taluni
indignazione, in moltissimi sofferenza, in tutti sorpresa.
Ma possiamo dire, con sincerità di coscienza, che questi
sentimenti sono davvero coerenti col senso che noi cristiani
diamo al Crocifisso? E' giusto manifestare pacificamente per
mantenere il Crocifisso nei luoghi pubblici: ma che posto
ha il Crocifisso nel nostro cuore, nella nostra vita, nelle
nostre case? Oppure da questi "luoghi" l'abbiamo
già sfrattato da tempo? O l'abbiamo ridotto ad essere
un soprammobile da collocare nelle nostre abitazioni oppure
un amuleto da portare al collo?"
Mons. Dante Lafranconi
1 novembre 2003
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