"GIORNATA DELLA MEMORIA
(27 GENNAIO 2005)"

(Un precedente intervento di alcuni parrocchiani sul tema dal titolo olocausti era stato reso pubblico nel febbraio 2002).

Nulla da dire sulla necessità di tenere viva la memoria di quella profonda tragedia del Novecento che vide la Shoah, ossia l'olocausto di 6 milioni di persone che avevano l'unico torto di appartenere all'ebraismo. Come mai si è potuto arrivare a questo crimine contro l'uomo? Giovanni Paolo II ha dato una sua risposta, facendo visita, nel marzo del 2000, al Mausoleo di Yad Vaschem a Gerusalemme: "Solo un'ideologia senza Dio poteva programmare e portare a termine lo sterminio di un intero popolo". Ci stringiamo perciò, con la preghiera per le vittime e con la ferma condanna di quanto è accaduto, al popolo ebraico, che continua a portare nella sua carne la ferita subita sessant'anni fa. Ma facciamo fatica ad unirci alla retorica celebrativa di questa Giornata, perché essa può nascondere, volutamente, un pernicioso occultamento di altre e doverose memorie. Come mai non si tiene viva la memoria di altri olocausti che fanno parte integrante della storia del nostro Novecento, e che sarebbe ipocrisia rimuovere dalla nostra coscienza e dalla memoria delle generazioni più giovani? Parlo dell'olocausto perpetrato dal socialismo reale: oltre 80 milioni di morti in tutto il mondo; parlo dello sterminio di un milione e mezzo di armeni perpetrato dal governo dei Giovani Turchi durante la prima guerra mondiale; parlo del genocidio perpetrato in Ucraina fra il 1932 e il 1933 ad opera della dirigenza bolscevica e che fece dai 7 ai 10 milioni di morti; parlo di quell'olocausto silenzioso che produce 50 milioni di aborti all'anno nel mondo: olocausti sui quali la cultura dominante, gli operatori culturali, i media, i testi scolastici, tanti docenti e insegnanti - tutti coloro che hanno l'incarico, spesso istituzionale, di illuminare e formare le coscienze - preferiscono far scendere un vergognoso e colpevole silenzio.
Se i lager meritano tutta la nostra condanna, i gulag non sono da meno. Che fine ha fatto la denuncia sui crimini del comunismo, pubblicata in Francia nel 1997 e tradotta l'anno dopo in Italia, a cura di Stéphane Courtois? Nel Libro nero del comunismo - così si intitola la pubblicazione - viene documentato - e non risultano smentite (anzi, non pochi fra gli attuali dirigenti postcomunisti hanno sentito il bisogno di dichiarare di non essere mai stati comunisti) - che al di là dei crimini individuali, i regimi comunisti, per consolidare il loro potere, hanno fatto del crimine di massa un autentico sistema di governo. Né si può dimenticare che i metodi usati da Lenin e da Stalin e dai loro seguaci (Mao-Tse-Tung, Kim-Il-Sun, Pol Pot…) non soltanto ricordano quelli nazisti, ma ne sono anche il precorrimento. E' infatti documentato che Rudolf Hoss, incaricato di creare il campo concentrazionario di Auschwitz, ricorda significativamente che era stata fatta pervenire nella Germania hitleriana dall'Unione Sovietica ampia documentazione sui campi di concentramento russi.
Come spiegare questo occultamento del terrore leninista e stalinista, a fronte dell'aperta e quasi unanime condanna del nazismo? Certo, nulla o quasi si sapeva dei crimini del comunismo, anche se fin dal 1956 lo stesso Krusciov, nel famoso "rapporto segreto" reso noto durante il XX Congresso del Partito Com'insta dell'URSS, ha ammesso - non senza ipocrisie e ambiguità e non senza una rilevante opposizione interna - le colpe di Stalin. Sono poi seguite le denuncie dei dissidenti sovietici, alcuni dei quali si sono rivelati scrittori di grande qualità (i vari Solzenicyn, Sacharov, Bukovskij…), che hanno pagato con l'esilio la loro dissidenza.
Ma perché l'Occidente ha dato prova di questa straordinaria cecità di fronte ai crimini del comunismo? Perché questo strabismo? Forse, nei decenni trascorsi, per il timore della potenza sovietica, forse per il rispetto opportunistico della divisione del mondo nei due blocchi decisa a Yalta, forse perché il comunismo occidentale si vestiva di un volto più democratico e più "illuminato", forse anche per il cinismo di politici e affaristi di ogni colore, che hanno costruito ingenti fortune col socialismo reale, oltre che con il variegato capitalismo. O forse perché, più subdolamente, come insinua lo stesso Courtois, dopo il 1945 la dirigenza comunista ha capito benissimo quanto potesse servire alla propria causa l'enfatizzazione dell'antifascismo e dell'antifascismo: la "singolarità" e l'"eccezionalità" del genocidio ebraico hanno finito per monopolizzare e per totalizzare l'idea stessa di male e di terrore di massa, impedendo di percepire, anzi occultando crimini del tutto simili perpetrati nel mondo sovietico e comunista.
Dopo la caduta dell'impero sovietico e l'apertura degli archivi dell'Est europeo, dovremmo essere finalmente tutti più coraggiosamente liberi di fare i conti anche con il passato comunista, per evitare qualsiasi discriminazione ideologica nel "dovere della memoria" e per ricostruire una storia europea che intenda davvero esaurire la grande questione del totalitarismo, come da tempo sostenuto dalla Hannah Arendt e Ernst Nolte, oltre che da papa Giovanni Paolo II: un totalitarismo che ha conosciuto una versione hitleriana, ma anche una versione leninista e stalinista.
Quanto all'altro olocausto, quello dell'aborto, tocchiamo un altro nervo scoperto della cultura dominante: basti dire che l'aborto è diventato, anche grazie allo stravolgimento linguistico artatamente usato, solo "interruzione di gravidanza"; che l'embrione e il feto sono stati cosificati, e in tal modo depersonalizzati, nel "prodotto del concepimento"; che l'aborto viene iscritto fra "i diritti di libertà" della donna; che la "pillola del giorno dopo" viene fatta passare - in nome di una scienza ideologicamente pilotata - come semplice "pillola contraccettiva" (anziché, come è in realtà, pillola abortiva), per toccare con mano l'ipocrisia di una cultura che, ancora una volta, piange e scende sulle piazze protestando contro le guerre (ma non sempre contro tutte le guerre!), contro la pena di morte e contro le violenze sui minori, e copre scientemente di silenzio quel delitto, l'aborto, che il Concilio Ecumenico Vaticano II (non una setta di fondamentalisti, ma l'assemblea di tutti i vescovi della Chiesa cattolica) chiama "abominevole", insieme all'infanticidio: abominevole perché colpisce la vita del più debole fra i deboli, del più indifeso fra gli indifesi. E quando una società diventa incapace o prova sempre più imbarazzo nel tutelare il più debole dei suoi membri - tale è il "cucciolo umano" - e si attiva sorprendentemente per denunciare come crimine la uccisione dei piccioni, può autodefinirsi emancipata fin che vuole, ma in realtà è così affetta dal morbo del cinismo e dell'utilitarismo, e così attratta dalla "voluttà di morte" (voluptas moriendi) da conferire un sapore di sinistra ipocrisia a tutte le sue denuncie sul destino dell'uomo, a tutte le sue lacrime sui dolori del mondo, a tutte le sue proteste sui disastri ecologici.
E' rimasta quasi solo la Chiesa - insieme ad un significativo drappello di "strani laici" - con la Giornata della Vita che si celebra in Italia la prima domenica di febbraio di ogni anno, a tenere deste le coscienze. Un domandi, quando le generazioni future si accorgeranno del danno che sulle coscienze ha provocato la legislazione sull'aborto - un danno che, oltre che a colpire milioni di esseri umani mai nati, sta conducendo la ragione dell'uomo ad un naufragio dalle "incalcolabili conseguenze" (come ebbe a dire Giovanni Paolo II tanti anni fa) - chi si dovrà accusare di silenzio e di correità con la cultura necrofila? Quale Norimberga potrà mai giudicare un tale "crimine contro l'umanità"?
La memoria è una facoltà inquietante, ma anche liberante, se ci riporta al presente della nostra vita, alle nostre responsabilità e al vero destino della nostra avventura esistenziale. E mentre denunciamo ogni forma di male collettivo, non possiamo non denunciare la radice di ogni male e di ogni violenza, che abita nell'abisso del nostro cuore, come nel cuore di ogni persona, come ebbe a dire il Papa all'indomani dell'attacco terroristico dell'11 settembre 2001 in America: "Il cuore dell'uomo è un abisso da cui emergono a volte disegni di inaudita ferocia". Da questo male profondo, che sta alla radice di ogni male, soltanto la grazia del Figlio di Dio - il Verbo fatto carne, l'Innocente messo a morte, il Glorificato nel mondo nuovo della risurrezione - ci può radicalmente guarire.

Casalmaggiore (CR), 26 gennaio 2005

Don Alberto Franzini