La “grammatica” dell'umano/2
"La vera scienza per l'uomo: aprirsi a tutta la verità "
 
da "Ritrovarci": anno XXXI - numero 1 - marzo 2008

don Alberto

La vera scienza per l'uomo: aprirsi a tutta la verità

La “grammatica” dell'umano/2

 

La ricorrenza annuale della Pasqua – la più grande festa cristiana – ripropone a tutti noi l'identità e la vocazione più profonda della persona umana. La quale non si rassegna alla morte, la subisce suo malgrado, fa di tutto per allontanarne il traguardo, la trova incompatibile con le esigenze più vere del suo cuore, della sua intelligenza e della sua libertà. Lungo il corso dei millenni, l'umanità si è sempre interrogata sugli eterni problemi e le eterne domande dell'uomo. Come ha scritto Benedetto XVI nel discorso non pronunciato a La Sapienza di Roma, “la sapienza dell'umanità come tale – la sapienza delle grandi tradizioni religiose – è da valorizzare come realtà che non si può impunemente gettare nel cestino della storia delle idee”.

Che cosa dice la preziosa eredità della sapienza umana? Dice che l'uomo vuole verità, che l'uomo non è fatto per le opinioni, ma per la verità. Una persona come Agostino – così antica e così contemporanea – incarna il cammino di ogni uomo e ci aiuta a tenere desta l'”inquietudine per la verità”, ci aiuta a sentirci “custodi della sensibilità per la verità” (Benedetto XVI). La domanda di Pilato: Che cosa è la verità? percorre i secoli e i millenni e arriva a noi, in tutta la sua freschezza e in tutta la sua carica provocatoria. E' la domanda delle domande, che rivela già in se stessa – ancor prima di ogni possibile risposta – la natura dell'uomo come di colui che, diversamente da tutto il resto del creato, non solo si pone la domanda sulla verità, ma cerca e attende una risposta. Agostino ha vissuto nella sua carne questo itinerario intellettuale ed esistenziale, riconoscendo che l'uomo è “un grande enigma”( magna quaestio ), e “un grande abisso” ( grande profundum ), che solo l'incarnazione di Dio in Cristo ha potuto illuminare e salvare.

In fondo, si potrebbero ridurre a due le grandi concezioni antropologiche, che si elidono a vicenda: o l'uomo è in totale continuità con la natura, per cui è una semplice particella del creato, avviata allo stesso destino di distruzione e di morte di ogni altra particella; oppure l'uomo, pur facendo parte della natura, la supera, la trascende: e in questo caso l'uomo, irriducibile alla pura natura, porta in sé l'anelito per un altro destino, un anelito che non può che lumeggiare quel mistero da cui l'uomo stesso proviene, ossia il mistero di Dio. La grande tradizione filosofica da cui noi proveniamo, e che il cristianesimo ha fatto proprio, ci consegna l'irrinunciabile editto di Blaise Pascal: “l'homme dépasse infiniment l'homme”, l'uomo supera infinitamente l'uomo, l'uomo supera se stesso, è più grande di se stesso. La capacità che l'uomo ha dentro di sé e che lo qualifica come uomo è proprio quella di trascendere se stesso, di comprendere che la sua sorte non può essere prigioniera del tempo e dello spazio, che il suo destino non può ridursi a quello della natura – in cui tutto è soggetto a cambiamento e quindi a distruzione – ma è quello di tendere verso l'eterno e l'infinito, oltre il mondo presente. E' ancora Agostino che ci aiuta a capire il mistero dell'uomo, quando scrive che la presenza misteriosa, ma reale di Dio, può essere scoperta e riconosciuta nel proprio intimo, ossia nella propria natura umana: “Non uscire da te stesso, ma torna in te stesso; nell'uomo interiore abita la verità; e se troverai che la tua natura è mutevole, trascendi te stesso. Ma ricordati, quando trascendi te stesso, che tu trascendi un'anima che ragiona. Tendi dunque là dove si accende la luce della ragione” (De vera religione , 39,72). E' quel che dice, sempre Agostino, all'inizio delle Confessioni, con un'espressione diventata celebre: “ Ci hai fatti per te e inquieto è il nostro cuore, finchè non riposa in te ”.

Questa concezione dell'uomo è stata messa in crisi da un'idea arrogante di scienza, oggi sempre più diffusa, che ha la pretesa di dirci che cosa siamo sulla base della pura analisi biochimica e sperimentale dell'uomo. Ma non si capirà mai veramente chi è l'uomo, se si pretende di scomporlo scientificamente al microscopio o in laboratorio. Come afferma la costituzione conciliare Gaudium et spes, “ l'uomo non sbaglia, quando si riconosce superiore alle cose corporali e quando si considera più che soltanto una particella della natura o un elemento anonimo della città terrena. Infatti, nella sua interiorità, egli trascende l'universo: a questa profonda interiorità egli torna, quando si volge al cuore, là dove lo aspetta Dio, che scruta i cuori, là dove sotto lo sguardo di Dio egli decide del suo destino ” (n. 14). Senza questa apertura al mistero più grande, che trova fondamento e insieme compimento e pienezza in Dio, di cui l'uomo è immagine e somiglianza, l'uomo stesso si autodistrugge con le sue stesse mani, come già prevedeva C.S. Lewis in un libretto del 1947, “L'abolizione dell'uomo”, oggi introvabile in italiano. Un uomo che affidasse totalmente alla scienza sperimentale non solo la spiegazione dell'universo, ma la stessa spiegazione di sé, non solo dovrebbe eliminare dal proprio orizzonte Dio, ritenuto un ingombro inutile, anzi dannoso perché “antiscientifico”, ma dovrebbe eliminare anche l'arte, la letteratura, la danza, la poesia, la filosofia; e come potrebbe, inoltre, spiegare la libertà, la coscienza, la percezione che esista una differenza salutare fra il bene e il male, fra la verità e la menzogna…? Come spiegare, insomma, la “qualità diversa” – che non può essere oggetto, per principio, delle scienze sperimentali - dell'essere umano rispetto a tutto il mondo infraumano? Il peggior nemico dell'uomo è proprio il riduzionismo biologico e scientifico, di stampo positivistico, che altro non è se non la riduzione dell'identità e del mistero umano ai suoi meri componenti fisici e chimici; e la riduzione della ragione a pura scienza sperimentale e matematica. Ridotto a oggetto, l'uomo diventa preda di ogni violenza e di ogni manipolazione, come ricordava Benedetto XVI in un discorso rivolto alla Pontificia Accademia delle Scienze e all'Académie des Sciences di Parigi lo scorso 28 gennaio: “Nella nostra epoca, in cui lo sviluppo delle scienze attira e seduce mediante le tante possibilità offerte, è più importante che mai educare le coscienze dei nostri contemporanei, affinché la scienza non diventi il criterio del bene e l'uomo sia rispettato come il centro del creato e non sia oggetto di manipolazioni ideologiche, né di decisioni arbitrarie o abusi dei più forti sui più deboli: pericoli di cui abbiamo conosciuto le manifestazioni nel corso della storia umana, e in particolare nel corso del ventesimo secolo”.

Solo le scienze umanistiche sono in grado di affrontare il mistero dell'uomo e di dichiarare che l'uomo non è frutto del caso, e neppure di determinismi o di interazioni psico-chimiche. E', invece, un essere che gode di intelligenza, di libertà, di senso etico; è un essere che progredisce continuamente, perché è sempre in divenire, si pone sempre delle domande, segnato da un marchio ben preciso: semper quid ultra , sempre qualcosa di più grande. L'uomo è l'essere nel quale la natura va oltre se stessa, verso il di più, che nemmeno la morte fisica può fermare. Perché? Perché porta in sé la scintilla di Dio, l'alito stesso di Dio. In quanto essere umano, creato ad immagine di Dio, l'uomo non è mai chiuso in se stesso, “è sempre portatore di alterità” (Benedetto XVI), orientato all'incontro con Dio, che è la vera misura dell'uomo, se l'uomo vuole capire fino in fondo se stesso. Diversamente, resta in balia dei tanti predatori, dentro e fuori di sé, che con il pretesto di “liberare” l'uomo dagli “inganni del mistero” e dalla “superstizione delle religioni”, lo riducono a una dimensione sola, imprigionandolo nei fenomeni verificabili, rinchiudendolo nei dinamismi mortiferi della natura e riducendolo a un batuffolo dell'universo, avviato tragicamente all'autodistruzione.

Il Cristo risorto, centro del messaggio cristiano, doni luce e speranza a tutti noi. Con questi pensieri, insieme a don Guido, don Angelo e don Davide, vi auguro la buona Pasqua.

 

Don Alberto

 


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