Maria Grazia cavalca |
Gaudeamus in Domino Sono trascorsi dieci anni da quando don Alberto Franzini, il 21 settembre 1997, è entrato come parroco nella nostra comunità di Santo Stefano. La parrocchia si prepara a festeggiarne l'anniversario
Sono stati dieci anni densi di avvenimenti lieti e meno lieti, di consensi e di polemiche, di cordialità e di indifferenza, di amicizia e di diffidenza. Il primo impatto non è stato né facile né felice, anche perché la gente di Casalmaggiore è spesso, per sua natura, cauta e discreta - abbottonata, per dirla con un'immagine - nell'aprirsi al "forestiero", chiunque esso sia, da qualunque paese provenga, extracomunitario o padano. Incontrarsi vuol dire accogliersi reciprocamente per come si è, fragili o forti, con pregi e difetti; vuol dire non ergersi a giudice degli altri. Nell'omelia dell'ingresso, avvenuto il 21 settembre 1997, don Alberto aveva esordito: "Vengo tra voi volentieri, in spirito di obbedienza al mandato del Vescovo". Fino a quel momento aveva dedicato il suo impegno e il suo tempo ad altri settori pastorali. Ora si trovava a vivere una situazione nuova, la responsabilità di una parrocchia, a cui annunciare il vangelo. Evangelium me terret , il vangelo mi spaventa, aveva detto sant'Agostino, che alla nomina di vescovo di Ippona avrebbe preferito la pace della vita monastica: "Niente di meglio, niente di più dolce, che scrutare il tesoro divino, lontano da ogni frastuono ... Al contrario, predicare, riprendere, correggere, edificare, darsi pensiero di ciascuno, è un gran fardello, una grande fatica, un grande peso. Chi non vorrebbe tirarsi indietro da un tale affanno?". Il "sì" all'incarico affidatogli è divenuto, col senno di poi, la "fortuna" della nostra comunità. Fin dalle prime parole si è capita la sua determinatezza nel proclamare un vangelo senza sconti, senza concessioni a interpretazioni personali. Il centro della sua predicazione sarebbe stato l'annuncio della "buona notizia", quella cioè di un Dio che ama appassionatamente, che si dona senza condizioni all'umanità, fino a morire in croce, perché essa abbia la salvezza. La fede cristiana deve tornare ad essere vangelo, perché solo accogliendo la "buona notizia" dell'amore di Dio, "la fede può diventare cultura", ossia essere affascinante, come già lo fu nei primi secoli del cristianesimo e nel Medioevo, quando, "esprimendosi nell'arte romanica e gotica, nei grandi scritti dei Padri e dei teologi, nel canto e nella musica sacra, costituiva la forma, la bellezza, il vigore dell'esistenza umana". Solo così la fede può affascinare ancora, affascinare anche l'uomo d'oggi, stretto com'è nel non-senso di una vita che cede alle lusinghe di falsi maestri e a ingannevoli illusioni. Solo guardando Colui che così teneramente la ama, l'umanità non si sentirà abbandonata e rinverdirà la speranza. Oltre alla sua fede "genuina" - e non pare poco! -, che altro ci ha portato don Alberto? Ci ha portato il suo amore alla Chiesa, definita dal teologo Rahner "madre della nostra esistenza cristiana". Anche se non devono essere trascurati l'ordine della vita parrocchiale, la cura della liturgia, la concretezza di iniziative caritative, la Chiesa non è "un'azienda chiamata a rincorrere l'efficienza, la programmazione, l'organizzazione, la burocratizzazione": la Chiesa è "il popolo di Dio, il corpo del Signore, il tempio dello Spirito Santo, il sacramento, dunque il simbolo umano del mistero santo di Dio". Contano le persone, non le cose; conta l'amore, conta l'accoglienza. Ma in concreto, cosa avrebbe fatto don Alberto? Innanzitutto si sarebbe riservato un certo tempo per studiare e conoscere l'ambiente in cui operare; poi avrebbe lanciato il suo programma accogliendo e attualizzando nella realtà casalasca le indicazioni degli obiettivi date dal Sinodo diocesano: ** una profonda comunione ecclesiale tra i preti della parrocchia e i preti della zona pastorale, tra preti e laici; un'amicizia fattiva e sincera, estranea a pettegolezzi e maldicenze che sciupano energie preziose senza apportare niente di costruttivo. ** il primato della evangelizzazione, della Parola di Dio, della parola biblica. In questo contesto si inseriscono gli itinerari di fede nella Terra di Gesù, sulle orme di san Paolo, nei luoghi dove il cristianesimo si è incontrato con altre fedi, nei monasteri e nei santuari della tradizione cristiana. ** la formazione intesa non come astratto indottrinamento intellettualistico, bensì come processo educativo permanente, con un occhio attento sia alle tematiche dell'oratorio e della famiglia, sia agli strumenti della comunicazione. Dieci anni dovrebbero bastare a conoscere una persona e a valutarne il "lavoro". Ebbene dei dieci anni di don Alberto cosa possiamo dire? Voleva annunciare la "buona notizia" e non si è risparmiato, preparando sempre con scrupolo, per ogni occasione, le omelie, e approfondendo la lettura della Bibbia nelle catechesi "del martedì" di grande spessore, anche se il suo gregge era spesso disperso in altre faccende affaccendato. Senza trascurare il fatto che non si sottraeva a tu-per-tu estemporanei, anche cammin facendo. Se si tiene conto che dietro e dentro ogni prete c'è un uomo, uguale e al tempo stesso diverso dagli altri uomini, possiamo tirare un sospiro di sollievo: Dio ce l'ha mandato "buono". La battuta è solo all'apparenza fuori tono; in realtà mira a stemperare una lettura "agiografica" del tanto fatto e tanto detto in questi dieci anni da don Alberto, lontano dall'amare il protagonismo. Ma d'altra parte non sarebbe corretto non riconoscerne le qualità di persona forte con un bagaglio culturale di largo respiro, con quel grande dinamismo (un po' troppo grande? Tirem inanz!), che hanno dato slancio alla sua "gestione" pastorale.
Maria Grazia Cavalca
Nella foto: Don Alberto durante la messa di ingresso la domenica 21 settembre 1997
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