"ISOLA D'ELBA"
21 luglio - 10 agosto
da "Ritrovarci": anno XXX - numero 4 - settembre 2007

 

ISOLA D'ELBA
21 luglio - 10 agosto

Anche quest'anno la parrocchia di S. Stefano e di Vicoboneghisio, Cappella e Camminata hanno organizzato un soggiorno estivo autogestito per ragazzi e famiglie.
La comitiva, di circa 60 persone, guidata da don Claudio e da don Davide, ha trascorso 12 giorni in località Cavo d'Elba, piccolo paese nel nord dell'isola.
Il paese, non essendo tra i più conosciuti, non è frequentato dal turismo di massa permettendo al gruppo di trascorrere una vacanza tranquilla: di giorno in spiagge e calette non affollate e di sera passeggiando nella via che costeggiava il mare.
Don Davide da buona guida ha organizzato escursioni per tutti passando dalle gite in montagna, a una giornata all'Isola del Giglio, a visite in altre spiagge.
La presenza dei ragazzi ha molto animato la casa che ci ospitava; una casa vacanze molto ampia, predisposta con camerate per ragazzi e camere per famiglie con annessa una pineta e un campo da calcio molto apprezzato, questo, dai ragazzi.
Non sono mancati comunque momenti di preghiera e di riflessione giornalieri.
Una bella esperienza, che ha visto gli adulti condividere i momenti quotidiani mettendosi a disposizione di tutti e i ragazzi divertirsi mantenendo una propria autonomia "controllata".

a cura della fam. Zaffanella Emilio

La guerra dei cellulari
Sul foglio con le ultime istruzioni c'era scritto. Nessuno ci credeva (forse nemmeno chi l'aveva scritto). Eppure, una volta arrivati sull'Isola e presa una prima confidenza con la casa della vacanza, ecco comparire, non appena la cuoca ha dato il via libera per l'accesso alla sala da pranzo, un tavolino davanti alla soglia di ingresso. Dietro ci sono io: "dammi il telefono" intimo. "Dai don non stufare" mi risponde l'adolescente. "Dammi il telefono" insisto. "…" (l'adolescente replica con il muso e un grugnito). Ma resto fermo. Passano gli adulti e i bambini. Gli adolescenti tergiversano. Dentro la cuoca scalpita e non capisce: "La pasta si fredda". Capitolano. Entrano ad uno ad uno lasciando il loro apparecchietto in una cesta per funghi che li per lì avevo nel frattempo trovato. Benedico la mensa e non spiego più di tanto: "C'era o non cera scritto? Dunque sapevate". Hanno fame, non mi ascoltano. Stanno già mangiando. Qualcuno viene placcato: stava già alzandosi per il bis. Dopo la frutta restituisco il tutto: sembrano nuotatori subacquei che tornano a respirare dopo lo sforzo asfittico dell'apnea (non so se mi spiego: mezz'ora senza cellulare in mano!!!).
Solo che alla sera la scena si ripete e non solo a cena. La mezzanotte è da poco passata e tutti sono in stanza. Io vado a riprendere il cestino dei funghi e riprendo il giro: stanza per stanza, letto dopo letto. "Mi dai il telefono?". "Ma dai don, eccetera eccetera". Poi il muso, il grugnito e la consegna. Davanti la notte senza telefono. I telefoni dal canto loro nel cestino, sotto il mio letto, tutti insieme, tutti vicini con non mai, sembravano contenti. A turno si illuminavano, pareva parlassero tra loro. Poi qualcuno strimpellava e allora io a precipitarmi per spegnere ciò che non voleva spegnersi, finalmente libero di colloquiare, di illuminare, di vibrare. Un'ora di veglia al cestino vivente. Un'ora di veglia per impedire tentativi di riappropriazione. Un'ora per sedare le euforie della prima notte lontano da casa o per lenire le crisi d'astinenza da comunicazione. Poi sussurri impercettibili e il sonno.
E' la luce dell'alba a svegliarmi: ho dimenticato su la tapparella. Passo per la sveglia. Qualcuno grugnisce, altri rispondono al buon giorno, altri semplicemente chiedono il telefono. "Dopo" rispondo. Colazione: "E il telefono?". "Dopo!". Finisce la colazione e riconsegno i cellulari che ora sembrano micetti coccolati nelle mani dei loro piccoli padroncini. Diabolica tenerezza.
E' il secondo giorno e mi chiedo quanto potrà durare. Provo a farla durare. Pranzo: primi cedimenti. Non voglio esasperare e qualcuno non lo consegna. Cena: idem. Buona notte, i dissidenti aumentano. Terzo giorno. Desisto. Decido che basta così. Provo a convincermi che non volevo la vittoria. Volevo solo dare un segno e che il segno è stato dato.
Il segno è che a tavola la persona che hai di fronte è più importante del tuo telefono.
Il segno che a tavola hai due mani da usare per coltello-forchetta o bottiglia-bicchiere o tovagliolo-pane e non per forchetta-cellulare, pane-cellulare, bicchiere-cellulare. Se no un giorno o l'altro ti infilerai il pane nell'orecchio proprio mentre stai tentando di addentare un telefono.
Il segno che con le persone è meglio parlarsi in faccia: la morosa la si conosce guardandola negli occhi. Un dialogo che sa sostenere anche lo sguardo vale assai più di 500 SMS gratuiti al giorno.
Il segno che per diventare grandi bisogna affrontare e vincere quanto prima la paura della solitudine e che non è pensabile di poter esorcizzare la solitudine con l'illusione che un telefono ti renda on-line con il mondo 24 ore su 24.
In fondo, il telefono cellulare non è il diavolo, intendiamoci bene. E' una delle tante meraviglie dell'ingegno umano. Solo che occorre disciplinarsi. E come è acquisito per tutti che non si sbadiglia in pubblico senza coprirsi prima la bocca con la mano, chissà che presto anche ci si convinca che è fuori luogo dover scrivere su un telefono "Ki 6"? per scoprire chi è quel Qualcuno che da tempo è già accanto a te.
Don Davide


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