"La parola ai lettori"
Le lettere, possibilmente brevi, sono da spedire a: Redazione di RITROVARCI, p.za Marini 4, 26041 CASALMAGGIORE. La redazione si riserva la responsabilità sia della pubblicazione, sia dell'eventuale commento.
da "Ritrovarci": anno XXX - numero 2 - marzo 2006

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La parola ai lettori

Le lettere, possibilmente brevi, sono da spedire a: Redazione di RITROVARCI, p.za Marini 4, 26041 CASALMAGGIORE. La redazione si riserva la responsabilità sia della pubblicazione, sia dell'eventuale commento.

Caro don Alberto,
sono un "navigatore solitario", perché mi sento orgoglioso di appartenere a Cristo. Può anche darsi che sia nel novero di coloro che, secondo il Vescovo, dicono sciocchezze (e questo lo affermo in totale umiltà), ma non riesco a dire sì sia a Cristo che alla Chiesa. E questo lo confesso con un'amarezza che mi penetra nelle pieghe più intime della mia spiritualità, in quelle pieghe dove non esiste aggressività; in quelle pieghe dove, quando si viene colpiti, si prova solo una sensazione di impotenza, direi quasi… di ingiusto rifiuto.
Questa gradevolissima sensazione trova la radice nel fatto che, purtroppo (ma si può dire "purtroppo" per un'idea che credo di condividere onestamente?), mi sento additato, messo in qualche modo sotto processo, direi quasi criminalizzato per la mia collocazione politica. Non possiedo alcuna tessera politica, ma ugualmente ho fatto una scelta, frutto di una ricerca e di una riflessione che ha sempre escluso ogni interesse o mira personale; è stata una scelta sinceramente dettata dalla volontà di sentirmi attorniato da fratelli e non da concorrenti e, quindi, le garantisco che questa mia scelta non è stata inficiata da nessun anticlericalismo, ma l'ho sempre e unicamente intesa come una via in più per essere dalla parte dei più deboli, per essere al loro servizio.
Non riesco a dire "sì" a questa Chiesa perché la sento tesa, in primo luogo, a rimarcare una sua identità che sento come desiderio di supremazia, di possesso della verità e di discrimine per chi "non è con noi"; una Chiesa decisa nella condanna dei peccati solo quando questi vengono commessi da una ben precisa parte; mentre, nel caso contrario, viene fatta con modalità più generiche, più attenuate, più vaghe.
Io, invece, perdoni la pretesa, ho bisogno di sentire una comunità che sia sempre al servizio di tutti; una comunità che si distingua dagli "altri" perché formata da componenti sempre pronti a darsi per gli altri, sempre attenti ad ogni richiesta di aiuto e sempre pronti a dire "ricominciamo", sempre pronti ad ascoltare gli altri anche se sono nell'errore. Ho bisogno di sentire una comunità che ammagli per questa sua propensione verso la "pecorella smarrita" ma anche per la "pecorella di un altro ovile", una comunità che disarmi perché, come unica arma, usa l'amore.
Tempo fa ho visto una trasmissione in cui si parlava di Papa Giovanni XXIII e, ascoltando le sue parole, ho provato una grandissima sensazione di benessere in quelle "pieghe intime" di cui dicevo in precedenza ed ho pensato che questa è la Chiesa a cui devo dire "sì", anche se ammetto di non avere molte conoscenze del pensiero di quel pontefice. Ma questa Chiesa, con gli occhi di un ipovedente della religione, la sento molto distante da quella attuale ed il mio malessere interiore continua a soffocarmi.
[…]La prego di scusarmi se non mi firmo, ma la prego anche di capire che, senza il paravento dell'anonimato, non sarei mai riuscito a vuotare il sacco. Se ritiene questo mio sfogo degno di una risposta, attendo un cenno sul prossimo numero di "Ritrovarci". Grazie.

Caro amico,
questa volta vengo meno a un mio principio: quello di non pubblicare e di non rispondere mai alle lettere anonime. Per un motivo semplice: rispetto il tuo anonimato (ti do del "tu", perché mi viene meglio), che peraltro ha una sua motivazione, ma non lo capisco. Perché la tua è una bella lettera: sincera, personale, ricca di spunti e di provocazioni. Mi dispiace che al tuo parroco sia stata preclusa, per ora, la possibilità di conoscerti di persona. Ma se hai avuto il coraggio di inviarmi questa lettera, chiedendomi una risposta pubblica, vuol dire che il dialogo è stato aperto e ti attendi qualche riflessione: anche se non nascondo la difficoltà di non avere di fronte una storia concreta e un volto che mi rimandi le tue risonanze e le tue successive provocazioni.
Ti fa difficoltà la Chiesa. O meglio: questa Chiesa. "Cristo sì, la Chiesa no": è da qualche secolo che circola questo slogan. Che, quando viene declinato in termini esistenziali e non ideologici, va rispettato, ma anche superato. Perché è rischioso. Rischioso per le conseguenze a cui può portare: la solitudine, la disistima della appartenenza ecclesiale, il discredito della propria comunità cristiana, il rifiuto di ciò che i Padri chiamavano già la "madre della propria esistenza cristiana", la pretesa di fare a meno di coloro a cui Cristo stesso ha affidato l'incarico di pastori, l'utopia di una comunità perfetta che non esiste da nessuna parte e che non esisteva nemmeno al tempo di Gesù e degli apostoli…
"Non può avere Dio per Padre chi non ha la Chiesa per madre": lo diceva già san Cipriano nel III secolo e i santi, in modo particolare, lo hanno sperimentato, amando "questa" Chiesa, ossia la Chiesa del proprio tempo, cercando di riformarla secondo una logica "filiale": il figlio, se vede la propria madre bisognosa di aiuto, si fa in quattro per venirle incontro, standole vicino, apportandovi il proprio contributo di affetto, di cura, di idee, di coinvolgimento anche emotivo. Senza fughe, che sanno sempre di tradimento e, a volte, rivelano un'aristocrazia interiore che non vuole mescolarsi alla puzza della casa. Non è questo il tuo caso. Ma è un rischio che devi mettere nel conto.
La Chiesa è la nostra famiglia, è la nostra casa: dove abbiamo appreso a camminare da cristiani, anzi da uomini che, cercando Dio, lo hanno incontrato nel Crocifisso risorto, nella preghiera e nei sacramenti, sul volto concreto dei propri genitori, dei propri catechisti, dei propri preti. I quali avranno mille difetti: guai se non li avessero! Ma sono pur sempre ministri, in carne ed ossa, di un Dio che ha voluto farsi, Lui stesso, carne e ossa: impiantando una grande famiglia, la Chiesa, fatta essa stessa della nostra carne e del nostro sangue, per sempre indissolubilmente uniti alla carne del Figlio di Dio. Da qui quelle parole di Gesù: "Chi ascolta voi, ascolta me. Chi disprezza voi, disprezza me"; "Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo"… Quale responsabilità! Mia, tua, nostra, di tutti noi cristiani! Non chiamarti fuori da questa responsabilità. Che è prima di tutto un dono: e come tale immeritato e, in fondo, splendido. Non cadere (scusa il tono esortatorio) nel moralismo. Perché il cristianesimo è proprio l'opposto del moralismo, che è la pretesa di costruire noi, con le nostre forze, la nostra santità e la nostra salvezza e di ritenere che l'esperienza cristiana sia in fondo una nostra questione di coerenza, e non, invece, soprattutto, un fare spazio nella nostra povera vita alla presenza liberante di Dio Perché tutti siamo sfiorati dal tradimento. E allora? Ci sono due strade: quella di Giuda (la disperazione della solitudine: certo, conosco la splendida esegesi di don Mazzolari su "nostro fratello Giuda", ma non posso dimenticare o attenuare le parole di Gesù: "sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato") e quella di Pietro, col suo pianto liberatorio. Sì, perfino Pietro ha tradito! La "roccia" della Chiesa è stata scossa da un "alto tradimento": un tradimento che non è rimasto isolato nella storia della Chiesa ed è dietro l'angolo nella vita di ciascuno di noi, anzi è nel nostro stesso cuore. Mi sono sempre chiesto il motivo di questo "scandalo". E mi ha sempre convinto la risposta dell'apostolo Paolo: la potenza di Dio si manifesta nella nostra debolezza. Pietro ha tradito: ma non si è fermato, moralisticamente, a contemplare disperato il proprio tradimento. Ha invece pianto: perché ha capito che il Signore gli voleva bene e che a lui chiedeva una analoga risposta di amore. "Se il tuo cuore ti rimprovera qualcosa, Dio è più grande del tuo cuore": ce lo annuncia San Giovanni nella sua prima lettera. E Papa Benedetto XVI, a Colonia, nell'agosto del 2005, si è espresso così: "In fondo, è consolante il fatto che esista la zizzania nella Chiesa. Così, con tutti i nostri difetti possiamo tuttavia sperare di trovarci ancora nella sequela di Gesù, che ha chiamato proprio i peccatori".
Guardiamola così la Chiesa. Buttiamoci dentro, senza paura e senza aspettare che essa sia perfetta. Buttiamoci dentro con le nostre fragilità e con i nostri slanci, e soprattutto con uno sguardo più benevolo verso le sue manchevolezze: che non sono altro che lo specchio delle nostre. Delle mie e delle tue.
La Chiesa di oggi è peggio di quella ai tempi di papa Giovanni? Non lo so. So che Dio ama la sua Chiesa - compresa quella di oggi - fino alla fine dei tempi, con immutata passione. Per un giudizio storico sulla Chiesa, bisogna evitare di cadere nelle trappole della ideologia e della propaganda, veicolate dai mass-media che contano, e che spesso peccano volutamente di strabismo. E poi, chissà perche: si ritiene sempre che la Chiesa di oggi sia peggio di quella di ieri; che il Papa vivente sia sempre inadeguato rispetto al Papa morto; che i vescovi e i parroci di oggi non siano più quelli di un tempo… E mi vien da dire: allora, anche i laici cattolici di oggi non sono più quelli di ieri… Ma no! Queste contrapposizioni manichee sono frutto di pregiudizi, che non corrispondono alla realtà. Abbiamo tutti bisogno di stare dentro al mondo e alla Chiesa del nostro tempo: con le bellezze, i doni e i limiti del nostro tempo.
Infine: la tua scelta politica? Milita dove vuoi: l'importante è che tu, come cristiano, mantenga sempre il principio della libertà evangelica che "è meglio obbedire a Dio che agli uomini" e che bisogna certo a dare a Cesare ciò che è di Cesare, purchè si dia a Dio ciò che è suo: di Cesare sono le cose di questo mondo; ma l'uomo - la sua intelligenza, il suo cuore, la sua libertà, la sua coscienza… - non appartengono né allo stato, né al partito, perché l'uomo è di Dio, è creato a sua immagine e somiglianza: e nulla, che sia inferiore a Dio, può bastare all'uomo o pretenderne l'assoggettamento. L'uomo si inginocchia soltanto davanti Dio. Questa è la radice della autentica libertà, come ci ricordava già S. Ambrogio: "ubi fides, ibi libertas". Dove c'è la fede, lì si sviluppa la vera libertà.
E… grazie per la chiacchierata che hai avviato. Un fraterno saluto dal tuo parroco.

Don Alberto


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