A TUTTI I PARROCCHIANI
Questa edizione speciale di Ritrovarci esce per il cinquantesimo della
morte di mons. Temistocle Marini, avvenuta il 6 aprile 1956. Far memoria
dellabate Marini, che è stato parroco nella nostra parrocchia
per un lungo periodo (dal 1921 al 1956), è doveroso: sia per rispondere
ad una precisa richiesta delle sue volontà testamentarie, che chiedono
ai parrocchiani di pregare per lui; sia per un obbligo di riconoscenza
verso un pastore che ha amato, e a lungo, questa comunità di Casalmaggiore,
spendendosi senza riserve anche e soprattutto per i più bisognosi;
sia per riprendere, con rinnovato impegno, il nostro cammino di fede e
di testimonianza cristiana nellora presente.
I tempi di mons. Marini non sono certamente i nostri tempi. Cinquantanni
sono trascorsi: ma, con la velocizzazione impressa dalle nuove situazioni,
sembra trascorso più di un secolo. La società attuale è
radicalmente mutata. E anche la Chiesa, che vive nel mondo, ha risentito
e anche provocato - soprattutto con il Vaticano II - un cambiamento che
può apparire a volte eccessivo.
Dentro a questo cambiamento, anche la figura del prete è radicalmente
mutata. Il cambiamento dellabito esterno è stato il segno
di un mutamento di prospettiva: il prete, da uomo sacrale,
è diventato un fratello e un padre che cammina - o cerca di camminare
- insieme alla sua gente, condividendone gioie e tribolazioni; da uomo
rivestito di autorità, riconosciutagli anche sul piano
sociale e civile, a uomo di comunità, dove la sua autorità
è più circoscritta alla vita della parrocchia, che non a
quella della città, ormai abitata da persone che non appartengono
più alla comunità cristiana; da uomo, la cui autorevolezza
sgorgava direttamente e oggettivamente dal ruolo che gli era assegnato,
a uomo la cui autorevolezza è da conquistare, metro per metro e
giorno per giorno, mettendo in gioco la propria persona.
Una dimensione, però, fra le altre, rimane immutata: lumanità
del prete, la scandalosa umanità del prete, chiamato - ieri come
oggi e come domani - a servire Gesù Cristo e la sua Chiesa con
le sue passioni e le sue debolezze, con le sue intemperanze e le sue fragilità,
con le sue coerenze e le sue incoerenze, con le sue vittorie e le sue
sconfitte, con i suoi entusiasmi e i suoi sconforti. Come è successo
allapostolo Pietro, il primo Papa e, possiamo anche dire, con un
po di inesattezza, il primo prete: che ha perfino tradito il Signore,
ma che Gli ha voluto bene fino al pianto e, soprattutto, fino al martirio.
Si è sempre pronti a sparare sul prete, soprattutto
se e quando sbaglia, soprattutto se appare di parte (tutti
lo vorrebbero sempre dalla propria parte), soprattutto se
non corrisponde ai nostri desideri e alle nostre aspettative. Raramente
lo si aiuta nella sua missione. Raramente si condividono con lui i momenti
del cammino comunitario. Raramente si chiedono a lui consigli e ancor
più raramente, con carità, a lui se ne danno. Raramente
ci si apre al prete per farsi guidare nel proprio cammino di fede. A lui
si chiedono i servizi religiosi. A lui si chiede di tutto
e di più. Certo, sta al prete incuneare nei bisogni concreti delle
persone anche e soprattutto il filo rosso della fede e della
Parola che salva: come ha fatto Gesù con la samaritana, la quale,
avendo sete, si è vista porgere, sorprendentemente e felicemente,
unaltra acqua. Ma per noi preti, che non siamo Gesù, ma solo
suoi discepoli e suoi ministri, con i tempi che corrono, è una
faticaccia
Si preferisce parlar bene o parlar male dei propri preti con altre persone,
piuttosto che con gli interessati: i quali, in genere, sono uomini pazienti
(non sempre di fuori, ma di dentro sì: altrimenti non reggerebbero
a lungo) e avvezzi alle critiche, perché abituati a rispondere,
circa il proprio operato, a Uno che vede nel cuore, senza
fermarsi alle apparenze. Tutto questo avviene forse perché,
inconsapevolmente, si richiede al prete una perfezione, anche umana, oltre
che cristiana, che non esiste in natura e che si vorrebbe e si pretende
almeno trovare in lui, proprio perché così rara nella comune
umanità. E invece anche il prete è fatto dello stesso lignaggio
di tutti. E per fortuna, come saggiamente suggerisce la lettera agli Ebrei
parlando del sommo sacerdote ebraico: proprio perché preso
fra gli uomini, anche lui è in grado di sentire giusta
compassione per quelli che sono nellignoranza e nellerrore,
essendo anchegli rivestito di debolezza (5, 1-2).
Ricordiamo, dunque, con riconoscenza labate Marini: un prete che
ha sofferto anche per le sue vicende familiari, anche per il temperamento
non incline alla gioia, ma che ha portato con dignità la croce
del ministero grazie soprattutto alla sua fedeltà a Dio e alla
sua grande magnanimità e generosità e grazie anche al suo
grande amore verso la propria parrocchia, come risulta dal suo testamento.
Ricordando mons. Marini, preghiamo una volta tanto anche per i nostri
preti, che ogni giorno pregano per voi e non hanno alcun altro interesse
se non quello di annunciarvi lunico Signore che davvero conta nella
vita delluomo e di amare la Chiesa come luogo di verità e
di libertà, luogo dove si impara a vivere il mestiere umano
e dove si coltiva la speranza di un futuro grande, il futuro stesso di
Dio, come hanno testimoniato i santi.
Don Alberto Franzini
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