Gesù risorto ha vinto la dittatura
del peccato e della morte
Il Cristianesimo non è una religione come le altre: le quali,
in genere, a partire dal senso religioso innato nel cuore di ogni uomo
(ossia il suo desiderio di bellezza e di vita, di senso e di verità),
proclamano che Dio è raggiungibile dall'uomo attraverso i suoi
sforzi etici, le sue ascesi volontaristiche, l'osservanza di certi riti
e di certe pratiche. Il Cristianesimo annuncia invece un evento, ma non
da parte dell'uomo, bensì da parte di Dio: Dio, avendo creato l'uomo
a sua immagine, non si è rassegnato alla sua deriva dopo il peccato
originale, ma è dapprima entrato con passione d'amore nella storia
del popolo di Israele, e poi ha deciso di farsi carne nel Figlio Gesù,
il quale "passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano
sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui"(At 10,38).
Gesù è stato ucciso appeso ad una croce, "ma Dio lo
ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché
non era possibile che questa lo tenesse in suo potere"(At 2,24).
E' uno dei ritornelli più frequenti nei primi discorsi di Pietro,
riportati da Luca negli Atti degli Apostoli. Questi discorsi mettono al
centro del Cristianesimo non una dottrina, non una morale, non un insieme
di riti, non l'ascesi dell'uomo per tentare di approdare al mondo divino,
non la ricerca dell'uomo agli interrogativi profondi della sua vita, bensì
un fatto, assolutamente inedito nel panorama della storia delle religioni
e assolutamente irriducibile a qualsiasi altro percorso religioso. Un
fatto, appunto, ritenuto addirittura scandaloso per i giudei e fuori da
ogni logica per i pagani (cf. 1Cor1,23).
Ma qui si gioca l'essenza del Cristianesimo. Al bisogno di senso che Dio
ha posto nel cuore e nell'intelligenza dell'uomo, l'uomo non è
in grado di dare alcuna risposta efficace. Può soltanto desiderarla,
sognarla, intravederla: ma non la può assolutamente produrre. L'autoredenzione,
ossia la pretesa dell'uomo di salvarsi con le proprie energie, è
la grande eresia, a volte nobilmente offerta ed eroicamente vissuta, della
religione in quanto opera dell'uomo.
Soprattutto di fronte all'evento del dolore e della sofferenza, di fronte
alla dittatura del peccato e della morte - nel quale, volente o nolente,
si trova prigioniero ogni uomo - vani, disperati e il più delle
volte anche goffi appaiono i tentativi dell'uomo di uscirne indenni. Come
anche ridicoli sono i ragionamenti, del tipo: "Tutto ciò che
è materiale, nasce ed è destinato alla morte, dal fiore
all'animale: e quindi è naturale che l'uomo vada incontro alla
morte". No, l'uomo non si rassegna a morire. Per l'uomo la morte
non è affatto "naturale". Tutti i tentativi di "naturalizzare"
in qualche modo la morte cozzano contro il più grande e immane
sforzo, che dal giardino originario dell'Eden si estende fino alla fine
della vicenda umana: carpire l'immortalità. In tutti i modi. Ma
da ogni parte lo sforzo prometeico dell'uomo lo riporta alla sua nuda
e cruda realtà: il masso della morte piomba addosso come un macigno
"innaturale", perché l'uomo è fatto per la vita,
non per la morte, non si rassegna ad essere "come i fiori e gli animali".
L'uomo, per narcotizzare il problema della morte e trastullarsi beotamente
nelle spensieratezze di quaggiù, ha inventato tanti miti. Il mito
del cerchio eterno o dell'eterno ritorno: tutto passa e tutto ritorna
- dicevano già gli antichi greci - per cui anche l'umanità
finisce per subire le stessi leggi del cosmo, secondo le quali i movimenti
della luna, del sole e delle stelle ricominciano sempre da capo. Il mito
della reincarnazione: lo spirito dell'uomo non muore mai, ma si reincarna
continuamente di corpo in corpo e così inizia sempre una nuova
vita. Il mito del progresso, secondo cui la storia umana procede eternamente
verso traguardi sempre migliori: per cui il singolo individuo è
un mattone di questa grande costruzione che è la storia umana,
che non finisce mai. Tanto il marxismo quanto l'antropologia soggiacente
al capitalismo convergono su questo punto. Più tragicamente, l'esistenzialismo
ateo ha prodotto il mito dell'annientamento: dopo la morte, il nulla,
per cui tale mito propone la convinzione che la morte sia la conclusione
assoluta di ogni vicenda personale.
A questo punto ritrova il suo fulgore e la sua perenne attualità
l'annuncio cristiano della Pasqua. Dio non ha abbandonato il proprio Figlio
alle fauci del drago: "l'ultimo nemico ad essere annientato sarà
la morte" (1Cor 15,26). Ma la Pasqua cristiana non è essa
stessa, a sua volta, un mito? Un mito consolatorio?
E qui ci imbattiamo con il cuore dell'esperienza cristiana, che si fonda
non su dei "miti", prodotti dagli uomini, ma su degli eventi
storicamente accaduti.
Gesù è realmente risorto. Ma la risurrezione di Gesù
può essere detta un fatto storico? Come al solito, bisogna evitare
facili confusioni circa il significato dei termini.
Se con la parola "storico", si vuole indicare un evento effettivamente
accaduto, nella realtà oggettiva del nostro mondo, se si vuole
affermare che non si tratta di qualcosa di mitico e di fiabesco, allora
non vi è dubbio che la risurrezione di Gesù è un
fatto storico. Se invece con la parola "storico", si intendesse
un evento storicamente dimostrabile alla stregua di qualsiasi altro evento
di questo mondo, allora è evidente che sarebbe arduo attribuire
la nozione di "fatto storico" alla risurrezione di Gesù.
La sua accoglienza non può essere frutto solo di un procedimento
razionale (anche se tutti possono arrivare a cogliere gli effetti storici
dell'evento pasquale: il sepolcro vuoto, il mutamento repentino degli
apostoli, l'accendersi improvviso della speranza nel ritorno imminente
del Signore
), ma è frutto di un dono più grande, il
dono della fede, che permette di comprendere la verità piena di
questo mistero e di viverlo come l'evento capace di dare senso a tutta
la vita, personale e comunitaria.
Non solo. Il Cristianesimo non annuncia solo l'immortalità dell'anima,
bensì anche la risurrezione della carne. Perché l'uomo è
fatto di anima e di corpo, profondamente intrecciati tra loro.
Questa è la Pasqua cristiana. Questo è il cuore dell'esperienza
cristiana: Gesù è risorto! In Lui tutto vive. Come canta
un prefazio pasquale: "Per mezzo di lui si aprono ai credenti le
porte del regno dei cieli. In lui morto è redenta la nostra morte,
in lui risorto tutta la vita risorge".
Di questo ha bisogno la generazione del nostro tempo: di non intristire
di fronte all'angoscia del morire, perché la morte non è
l'ultima parola.
Con l'augurio di una Pasqua cristiana, insieme a don Guido e a don Davide.
Don Alberto
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