"Gesù risorto ha vinto la dittatura del peccato e della morte"
 
da "Ritrovarci": anno XXIX - numero 2 - aprile 2006

Don Alberto

Gesù risorto ha vinto la dittatura
del peccato e della morte

Il Cristianesimo non è una religione come le altre: le quali, in genere, a partire dal senso religioso innato nel cuore di ogni uomo (ossia il suo desiderio di bellezza e di vita, di senso e di verità), proclamano che Dio è raggiungibile dall'uomo attraverso i suoi sforzi etici, le sue ascesi volontaristiche, l'osservanza di certi riti e di certe pratiche. Il Cristianesimo annuncia invece un evento, ma non da parte dell'uomo, bensì da parte di Dio: Dio, avendo creato l'uomo a sua immagine, non si è rassegnato alla sua deriva dopo il peccato originale, ma è dapprima entrato con passione d'amore nella storia del popolo di Israele, e poi ha deciso di farsi carne nel Figlio Gesù, il quale "passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui"(At 10,38). Gesù è stato ucciso appeso ad una croce, "ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere"(At 2,24). E' uno dei ritornelli più frequenti nei primi discorsi di Pietro, riportati da Luca negli Atti degli Apostoli. Questi discorsi mettono al centro del Cristianesimo non una dottrina, non una morale, non un insieme di riti, non l'ascesi dell'uomo per tentare di approdare al mondo divino, non la ricerca dell'uomo agli interrogativi profondi della sua vita, bensì un fatto, assolutamente inedito nel panorama della storia delle religioni e assolutamente irriducibile a qualsiasi altro percorso religioso. Un fatto, appunto, ritenuto addirittura scandaloso per i giudei e fuori da ogni logica per i pagani (cf. 1Cor1,23).
Ma qui si gioca l'essenza del Cristianesimo. Al bisogno di senso che Dio ha posto nel cuore e nell'intelligenza dell'uomo, l'uomo non è in grado di dare alcuna risposta efficace. Può soltanto desiderarla, sognarla, intravederla: ma non la può assolutamente produrre. L'autoredenzione, ossia la pretesa dell'uomo di salvarsi con le proprie energie, è la grande eresia, a volte nobilmente offerta ed eroicamente vissuta, della religione in quanto opera dell'uomo.
Soprattutto di fronte all'evento del dolore e della sofferenza, di fronte alla dittatura del peccato e della morte - nel quale, volente o nolente, si trova prigioniero ogni uomo - vani, disperati e il più delle volte anche goffi appaiono i tentativi dell'uomo di uscirne indenni. Come anche ridicoli sono i ragionamenti, del tipo: "Tutto ciò che è materiale, nasce ed è destinato alla morte, dal fiore all'animale: e quindi è naturale che l'uomo vada incontro alla morte". No, l'uomo non si rassegna a morire. Per l'uomo la morte non è affatto "naturale". Tutti i tentativi di "naturalizzare" in qualche modo la morte cozzano contro il più grande e immane sforzo, che dal giardino originario dell'Eden si estende fino alla fine della vicenda umana: carpire l'immortalità. In tutti i modi. Ma da ogni parte lo sforzo prometeico dell'uomo lo riporta alla sua nuda e cruda realtà: il masso della morte piomba addosso come un macigno "innaturale", perché l'uomo è fatto per la vita, non per la morte, non si rassegna ad essere "come i fiori e gli animali".
L'uomo, per narcotizzare il problema della morte e trastullarsi beotamente nelle spensieratezze di quaggiù, ha inventato tanti miti. Il mito del cerchio eterno o dell'eterno ritorno: tutto passa e tutto ritorna - dicevano già gli antichi greci - per cui anche l'umanità finisce per subire le stessi leggi del cosmo, secondo le quali i movimenti della luna, del sole e delle stelle ricominciano sempre da capo. Il mito della reincarnazione: lo spirito dell'uomo non muore mai, ma si reincarna continuamente di corpo in corpo e così inizia sempre una nuova vita. Il mito del progresso, secondo cui la storia umana procede eternamente verso traguardi sempre migliori: per cui il singolo individuo è un mattone di questa grande costruzione che è la storia umana, che non finisce mai. Tanto il marxismo quanto l'antropologia soggiacente al capitalismo convergono su questo punto. Più tragicamente, l'esistenzialismo ateo ha prodotto il mito dell'annientamento: dopo la morte, il nulla, per cui tale mito propone la convinzione che la morte sia la conclusione assoluta di ogni vicenda personale.
A questo punto ritrova il suo fulgore e la sua perenne attualità l'annuncio cristiano della Pasqua. Dio non ha abbandonato il proprio Figlio alle fauci del drago: "l'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte" (1Cor 15,26). Ma la Pasqua cristiana non è essa stessa, a sua volta, un mito? Un mito consolatorio?
E qui ci imbattiamo con il cuore dell'esperienza cristiana, che si fonda non su dei "miti", prodotti dagli uomini, ma su degli eventi storicamente accaduti.
Gesù è realmente risorto. Ma la risurrezione di Gesù può essere detta un fatto storico? Come al solito, bisogna evitare facili confusioni circa il significato dei termini.
Se con la parola "storico", si vuole indicare un evento effettivamente accaduto, nella realtà oggettiva del nostro mondo, se si vuole affermare che non si tratta di qualcosa di mitico e di fiabesco, allora non vi è dubbio che la risurrezione di Gesù è un fatto storico. Se invece con la parola "storico", si intendesse un evento storicamente dimostrabile alla stregua di qualsiasi altro evento di questo mondo, allora è evidente che sarebbe arduo attribuire la nozione di "fatto storico" alla risurrezione di Gesù. La sua accoglienza non può essere frutto solo di un procedimento razionale (anche se tutti possono arrivare a cogliere gli effetti storici dell'evento pasquale: il sepolcro vuoto, il mutamento repentino degli apostoli, l'accendersi improvviso della speranza nel ritorno imminente del Signore…), ma è frutto di un dono più grande, il dono della fede, che permette di comprendere la verità piena di questo mistero e di viverlo come l'evento capace di dare senso a tutta la vita, personale e comunitaria.
Non solo. Il Cristianesimo non annuncia solo l'immortalità dell'anima, bensì anche la risurrezione della carne. Perché l'uomo è fatto di anima e di corpo, profondamente intrecciati tra loro.
Questa è la Pasqua cristiana. Questo è il cuore dell'esperienza cristiana: Gesù è risorto! In Lui tutto vive. Come canta un prefazio pasquale: "Per mezzo di lui si aprono ai credenti le porte del regno dei cieli. In lui morto è redenta la nostra morte, in lui risorto tutta la vita risorge".
Di questo ha bisogno la generazione del nostro tempo: di non intristire di fronte all'angoscia del morire, perché la morte non è l'ultima parola.
Con l'augurio di una Pasqua cristiana, insieme a don Guido e a don Davide.

Don Alberto


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