IL CROCIFISSO RESTERA' NELLE AULE
ANCHE PER LA SUA FUNZIONE
SIMBOLICA ALTAMENTE EDUCATIVA
Importante clamorosa sentenza del Consiglio di Stato del 13 gennaio 2006
Ancora una sentenza che certamente farà discutere: il crocifisso
deve restare nelle aule scolastiche non perché sua un "suppellettile"
o un "oggetto di culto", ma perché "è un
simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili"
(tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione
dei suoi diritti, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione,
ecc
) che hanno un'origine religiosa, ma "che sono poi i valori
che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato".
Lo ha stabilito il Consiglio di Stato che, con un'importante e articolata
sentenza, ha respinto il ricorso di una cittadina finlandese, una certa
Soile Lauti, che chiedeva la rimozione del crocifisso dalla scuola media
frequentata dai suoi figli ad Abano Terme.
La donna aveva già fatto ricorso al Tar del Veneto che prima di
darle torto aveva sollevato una questione di legittimità dinanzi
alla Corte Costituzionale. I giudici della Consulta (nel mese di dicembre
2004) avevano dichiarato inammissibile la questione (e quindi non erano
entrati nel merito) perché l'affissione del crocifisso nelle scuole
non era prevista da una legge, bensì da due regolamenti del 1924
e del 1927 sugli arredi scolastici sui quali il giudice delle leggi non
poteva sindacare. A risolvere la delicata questione sono stati i supremi
giudici amministrativi della VI Sezione.
Nella sentenza (19 pagine) del Consiglio di Stato vengono posti importanti
paletti.
Innanzitutto è affermato che "la laicità, benché
presupponga e richieda ovunque la distinzione tra la dimensione temporale
e la dimensione spirituale e fra gli ordini e le società cui tali
dimensioni sono proprie, non si realizza in termini costanti e uniformi
nei diversi Paesi, ma pur all'interno della medesima civiltà, è
relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascun Stato,
e quindi essenzialmente storica, legata com'è al divenire di questa
organizzazione". Insomma, diverso è il principio della laicità
nel mondo anglosassone, dove "è consentito al legislatore
secolare dettare norme in materie interne alla chiesa stessa" (in
quanto la chiesa anglicana è dipendente dal potere secolare); diverso
nell'ordinamento francese, dove la laicità è perseguita
"anche con mortificazione dell'autonomia organizzativa delle confessioni
e della libera espressione individuale della fede religiosa"; diverso
negli Stati Uniti d'America, dove la "pur rigorosa separazione fra
lo Stato e le confessioni religiose", "non impedisce un diffuso
pietismo nella società civile, ispirato alla tradizione religiosa
dei Padri pellegrini". Diverso è il principio di laicità
in Italia, dove la laicità - senza minimamente intaccare la legittima
autonomia delle due sfere, civile e religiosa, e fatta salva la libertà
di tutti in materia religiosa (di professare o non professare una fede
religiosa, e di manifestare in pubblico e in privato la propria fede)
- alla luce delle norme costituzionali italiane, viene compresa secondo
la logica di un "atteggiamento di favore nei confronti del fenomeno
religioso", anche mediante la via concordataria, ossia mediante una
pattuizione non soltanto con la religione di maggioranza, ma anche con
le altre confessioni religiose.
Premesso ciò, il Consiglio di Stato lascia alle dispute dottrinarie
la definizione astratta di "laicità": "£in
questa sede giurisdizionale - si legge nella sentenza n. 556 - si tratta
in concreto e più semplicemente di verificare se l'esposizione
del crocifisso nelle aule scolastiche sia lesiva dei contenuti delle norme
fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e
sostanza al principio di laicità che connota oggi lo Stato italiano,
e al quale ha fatto più volte riferimento il supremo giudice delle
leggi", ossia la Corte Costituzionale. "E' evidente - affermano
i giudici di Palazzo Spada - che il crocifisso è un simbolo che
può assumere diversi significati e servire per intenti diversi,
innanzitutto per il luogo in cui è posto".
Se in un luogo di culto "è propriamente ed esclusivamente
un simbolo religioso", "in una sede non religiosa , come la
scuola, destinata all'educazione dei giovani, il crocifisso - prosegue
la sentenza - potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati
valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà
giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto
il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di
richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile
(al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti".
In tal senso - sottolinea il Consiglio di Stato - il crocifisso potrà
svolgere, anche in un orizzonte laico, diverso da quello religioso che
gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere
dalla religione professata dagli alunni".
Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell'origine religiosa dei valori
della nostra convivenza anche civile, non mette in discussione, anzi ribadisce
"l'autonomia dell'ordine temporale rispetto all'ordine spirituale"
e non sminuisce "la loro specifica laicità, confacente al
contesto culturale fatto proprio e manifestato dall'ordinamento fondamentale
dello Stato italiano". Tali valori pertanto "andranno vissuti
nella società civile in modo autonomo (di fatto, non contraddittorio)
rispetto alla società religiosa, sicchè possono essere laicamente
sanciti per tutti, indipendentemente dall'appartenenza alla religione
che li ha ispirati e propugnati".
Le motivazioni lucidamente espresse nella sentenza del Consiglio di Stato
non sono che l'articolazione logica di un principio, solennemente sancito
negli Accordi di revisione del Concordato per legittimare l'insegnamento
della religione cattolica nelle scuole italiane, secondo cui la Repubblica
italiana "riconosce il valore della cultura religiosa e tiene conto
che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del
popolo italiano".
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