LA FAMIGLIA, OGGETTIVAMENTE SOGGETTO
Oggi la famiglia sembra attraversare una profonda crisi di identità.
Sempre meno giovani la scelgono, attraverso il vincolo del matrimonio,
quale terreno privilegiato di realizzazione delle aspirazioni umane più
profonde di bene, di fedeltà, di amore. Perché sta accadendo
questo? La famiglia può ancora essere considerata un prezioso bene
sociale oltre che personale? La famiglia è soggetto sociale? Se
si, esistono politiche che la riconoscano e la promuovano? E se non esistono
si possono progettare ed attuare anche a livello locale?
Queste domande di fondo hanno spinto l'Associazione Famiglie S.Stefano
insieme alla parrocchia di S.Stefano ad approfondire la questione invitando
un esperto.
Mercoledì 22 febbraio, presso il centro post-universitario S.Chiara
di Casalmaggiore il prof. Francesco Belletti, sociologo e direttore del
C.I.S.F. (Centro Internazionale Studi Famiglia) ha risposto alle nostre
domande con una interessantissima relazione. Folto pubblico, pochi gli
amministratori presenti, seppure invitati espressamente. La famiglia non
è ancora entrata a pieno titolo come soggetto degno di attenzione
nelle agende delle amministrazioni locali. Esse peraltro non ne conoscono
neppure le caratteristiche (a parte quelle che si rivolgono ai servizi
sociali in qualità di richiedenti sussidi) poiché neppure
anagraficamente la famiglia viene censita in quanto tale, ma solo come
insieme di individui. Un dato per tutti: nel comune di Casalmaggiore le
famiglie fino a tre componenti rappresentano l'80% della popolazione residente;
non è dato sapere però come esse siano composte, cioè
qualitativamente quale sia la loro struttura.
La serata è iniziata con una introduzione di don Alberto Franzini
il quale ha esposto considerazioni di carattere etico-antropologico, ha
presentato una famiglia quale patrimonio dell'umanità fondata sul
diritto naturale, antecedente lo stato e quindi da esso non modificabile
a piacimento. La stessa Costituzione Italiana all'articolo 29 descrive
la famiglia come "società naturale fondata sul matrimonio",
dunque sull'unione coniugale stabile e pubblicamente riconosciuta di un
uomo e di una donna. In tutti questi decenni mai la Corte Costituzionale
ha avallato l'idea di una equiparazione o di una possibile equiparabilità
tra la famiglia fondata sul matrimonio e le unioni di fatto.
Dopo l'intervento introduttivo di don Alberto, ha preso la parola Gianfranco
Salvatore, in rappresentanza dell'Associazione Famiglie S.Stefano e del
Forum Provinciale delle Associazioni Familiari di Cremona introducendo
la "questione famiglia" con dati riguardanti il costo dei figli,
la difficile conciliabilità tra lavoro e famiglia, una evidente
disparità di trattamento fiscale delle famiglie monoreddito rispetto
a quello bireddito e di carico fiscale in presenza di familiari a carico.
Il prof. Belletti ha iniziato la sua trattazione parlando dell'evoluzione
della famiglia nel corso degli anni, con il suo "dimagrimento"
come numero di componenti dovuto al figlio unico come modello. Un aspetto
importante delle famiglie di oggi è la presenza dei "giovani-adulti"
che non se ne vogliono andare e che non vengono lasciati andare. C'è
una alleanza perversa tra generazioni che non consente ai propri figli
di diventare adulti. Altro problema serio è la forte presenza di
anziani di cui le famiglie si fanno carico, facendolo gravare quasi esclusivamente
sulla donna. Tra qualche anno due figli unici si sposeranno e quella donna
sarà nella condizione di avere in casa quattro genitori anziani
da accudire. Prevalendo il modello del figlio unico, inevitabilmente la
capacità di cura delle famiglie italiane sarà sempre minore.
A tutto questo la famiglia si è adattata riducendo il numero dei
figli. Effettivamente un figlio diminuisce il tenore di vita del 30%;
un bambino portato adulto costa 100/150 mila euro, nella migliore delle
ipotesi. Inoltre oggi si è di fronte ad una fragilità del
legame di coppia che è diventato anche statisticamente e quantitativamente
forte. L'anno scorso sono stati 230.000 i matrimoni, 80.000 le separazioni
e 40.000 i divorzi. I figli nati fuori dal matrimonio oggi sono l'11/12%
e fino a 10/20 anni fa erano sotto il 5%. Quando si intervistano i giovani,
l'80% mette al primo posto nei valori la famiglia, prima degli amici,
prima del lavoro. Tutti si sono accorti dell'importanza della famiglia,
peccato che non si capisca bene quale sia il contenuto e l'identità
da difendere. L'attacco alla famiglia avviene attraverso la perversione
delle parole: la legge per l'interruzione volontaria di gravidanza si
chiama "per la tutela sociale della maternità" eppure
consente l'aborto.
Quali sono le sfide per cui oggi la famiglia ha bisogno di un aiuto dall'esterno?
Una prima questione fa riferimento alla condizione economica. I recenti
dati Istat sulla povertà ci dicono che tante famiglie non riescono
più a tirare alla fine del mese. La seconda difficoltà è
quella della difficile integrazione sociale: la famiglia isolata è
una famiglia molto fragile, la famiglia che non sa a chi chiedere, di
immigrati o extracomunitari che non hanno parenti, non conoscono la lingua,
è una famiglia a rischio. Una terza situazione di fragilità
è quella delle relazioni familiari che oggi tengono di meno, così
come la relazione di coppia. Una quarta situazione che mette a dura prova
la famiglia è la presenza di un membro debole; un anziano, un bambino
disabile, un figlio con una forte devianza è una famiglia che da
sola non ce la fa. Un'altra forte questione è quella che fa riferimento
a temi etici quali l'accoglienza della vita, al lutto ed alla morte.
Ma la famiglia a chi può chiedere aiuto?
A livello locale prima di tutto si può parlare con le famiglie.
Ascoltarle in quanto famiglie. Di solito le famiglie arrivano per ultime
a sedersi attorno ad un tavolo.
L'esperienza dell'affido familiare ha detto molto su questo. L'affido
è una esperienza nel settore pubblico ma la risorsa principale
è una famiglia che fa servizio sociale in quanto famiglia, che
è il suo "mestiere". Esiste la questione dei tempi e
degli spazi. La legge 53 del 2000, sui congedi parentali, prevedeva l'individuazione,
nei comuni sopra i 30.000 abitanti, di un responsabile dell'armonizzazione
dei tempi, dei servizi, degli orari, dei trasporti. L'idea è che
un po' tutta la città deve organizzarsi a misura di famiglia. Questo
vuol dire che i rigidi orari dei nidi, ad esempio, non andavano bene.
Infatti poco per volta il servizio è diventato flessibile. Sul
lavoro invece non è stato possibile perché sembra che le
regole del lavoro siano inviolabili. Oggi la flessibilità è
sulla misura dell'azienda. Facciamo un esempio: i centri commerciali aperti
di domenica. Problemi etici sollevati dalla Chiesa, dall'ufficio lavoro,
problemi dei dipendenti che lavorano in questi esercizi e che rischiano
di non avere più tempo per la famiglia, ma allo stesso tempo grande
presenza di famiglie che usano il centro commerciale come spazio ricreativo
e per passare il tempo libero. Questa scelta ha una conseguenza sulle
famiglie che non è banale. E' l'intera collettività che
deve ripensare l'organizzazione dei suoi tempi e dei suoi spazi pensando
alla presenza della famiglia. Quale è il modello di lavoratore
ideale? E' quello che non ha persone a carico, che non ha gente che si
ammala a casa. Vogliamo costruire una società così? Ci va
bene? Evidentemente no, ma chi è che si prende la briga di mettere
in dubbio questo tipo di organizzazione? La vera sfida è una co-progettazione
insieme agli amministratori pubblici. Una delle domande che le famiglie
farebbero se avessero un po' più di voce è di avere una
relazione privilegiata con un operatore di riferimento. Se uno ha un figlio
disabile, per i compiti di cura deve parlare con mille persone, rivolgersi
a mille uffici diversi, con linguaggi diversi e con parametri diversi.
La famiglia accompagnata da un operatore affidabile si sentirebbe accolta
ed aiutata nel percorso di sostegno alle difficoltà interne.
Parlare della centralità della famiglia significa avere un approccio
sussidiario. Il criterio è che il responsabile della risposta ai
bisogni è quello più vicino possibile al bisogno. La sussidiarietà
dice: sei tu il primo che si deve riorganizzare. Poi possono intervenire
altri soggetti quali la famiglia, la rete di amici, le associazioni, la
società civile ed infine il sistema pubblico. Ovviamente deve esistere
una società civile che possa farsi carico di questo in una ottica
di solidarietà. Bisogna aiutare la gente ad aiutarsi. L'ente pubblico
dovrebbe verificare i bisogni e progettare insieme con le famiglie gli
interventi da fare. Un primo passo è quello di raccordare l'associazionismo,
portare le famiglie insieme. Questo presuppone una amministrazione dialogante.
Le politiche familiari a livello locale spesso vengono intrappolate nelle
politiche sociali. Quanto di familiare c'è negli altri assessorati?
L'idea di fondo che volevo fare passare è che le politiche familiari
non stanno dentro le politiche sociali ma stanno sopra tutte le altre
politiche, sono trasversali.
La serata si è conclusa con moltissime domande del pubblico. La
richiesta finale è stata quella di un maggiore coinvolgimento delle
Associazioni Familiari presenti sul territorio e di una maggiore attenzione
alla famiglia in quanto "soggetto sociale". Non chiediamo sussidi
ma riconoscimento quale risorsa già presente ed attiva sul territorio.
Gli assessori presenti si sono dichiarati disponibili e questo ci fa ben
sperare. Aspettiamo che i fatti confermino le intenzioni.
Trascrizione ed adattamento a cura dell'Associazione Famiglie S.Stefano
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