"Il martire è un cristiano capace di donare la vita"
S.E. mons. Mario Meini, Vescovo di Pitigliano, Orbetello e Sovana, ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica nel pomeriggio della festa patronale di Santo Stefano. Pubblichiamo la sua omelia.
da "Ritrovarci": anno XXIX - numero 1 - marzo 2006

di Mons. Mario Meini

"Il martire è un cristiano
capace di donare la vita"
S.E. mons. Mario Meini, Vescovo di Pitigliano, Orbetello e Sovana, ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica nel pomeriggio della festa patronale di Santo Stefano. Pubblichiamo la sua omelia.

Santo Stefano, il primo di una lunga schiera di martiri. Da quando il Signore è venuto tra noi, da quando per noi ha dato la sua vita ed è risorto, tanti uomini e tante donne attraverso la storia hanno testimoniato la loro fede, donando la vita per il Signore. Molti hanno donato la vita anche fisicamente, come Stefano. Molti altri si sono intimamente consumati per rendere testimonianza alla fede. Quando ero bambino, ero convinto che i martiri fossero delle persone eccezionali e soprattutto fossero delle persone dei secoli passati. La Chiesa dei martiri mi diceva una Chiesa antica: oggi, si pensava, i martiri più non esistono. Man mano, crescendo, mi sono reso conto che i martiri ci sono anche oggi, fino a scoprire che proprio il secolo appena trascorso, il secolo del progresso e della tolleranza, è quello che ha prodotto più martiri di ogni altro: gente che ha dovuto pagare di persona per la propria fede, per la giustizia, per il Signore e per la Chiesa, ma anche per cause umane, direttamente connesse al Vangelo. Dunque, secolo di martiri quello appena passato. E allora mi piace come primo pensiero dover rendere omaggio a tutte le persone che oggi sono perseguitate per la propria fede: penso ai cristiani della Cina, di Indonesia, del Medio Oriente, dell'Africa e così via; gente che paga di persona, che versa sangue, che non ha libertà per esprimere la propria fede; testimoni forti, che sfidano anni e anni di carcere, ma restano saldi nella loro fede. Non sono storie del passato, ma di oggi. La libertà religiosa è ben lontana dall'essere ammessa. Vorrei che questi nostri fratelli facessero sentire la Chiesa ricca di martiri e quindi viva; una Chiesa che può presentarsi al mondo contemporaneo con tutte le sue credenziali, perché crocifissa come è stato crocifisso il Signore.
Poi vorrei pensare un attimo a noi. Da noi certamente nessuno crocifigge o uccide perché siamo cristiani. Eppure tante volte la coerenza con il Vangelo diventa difficile. Forse qualcuno di noi in cuor proprio potrebbe anche pensare: se oggi o domani mi venisse chiesto di rinnegare la fede, io sarei forte, sarei pronto anche a un gesto clamoroso. Poi nella vita quotidiana mi vengono chieste tante piccole testimonianze: e allora la mia coerenza vacilla. Non c'è, normalmente, un gesto clamoroso di testimonianza alla propria fede, se non c'è la testimonianza ordinaria nelle piccole scelte di ogni giorno. Il martire, insomma, non è la persona capace di un momento: è il cristiano capace di una vita. E penso allora a quella testimonianza ordinaria che mi viene chiesta anzitutto nella mia famiglia: "martire in casa", nel senso di una testimonianza semplice di ogni giorno che è gioia, ma che è anche sacrificio, nella fedeltà alla propria coscienza, nella fedeltà al sacramento del matrimonio, nella fedeltà all'educazione dei figli, nella fedeltà alla pazienza con gli anziani. Lì comincia la mia testimonianza di fede. E se questa non sorge, non cresce, ben difficilmente potrà avvenire un gesto clamoroso di fedeltà al Signore: la mia fedeltà è anzitutto quella quotidiana. E così anche nell'ambiente di lavoro, nell'incontro con gli altri: il non vergognarsi a dirci cristiani, ma non solo con le parole, bensì con la coerenza nella condotta. Penso al lavoro vissuto con sacrificio, penso al guadagno giusto, penso agli affari condotto in maniera equa, rispettosa degli altri. Il mio martirio è qui. E se qui faccio compromessi con la mia coscienza, non posso dire di aver dato la vita per il Signore. Ci può essere talvolta anche un piccolo martirio nella vita comunitaria, nella vita civile: il saper anteporre il bene comune al mio bene personale; ciò che è valido per tutti a ciò che avvantaggia me stesso. Così pure nella vita di parrocchia. La vita comunitaria comporta dei sacrifici, delle rinunce: prima, ciò che è la Chiesa, ciò che è comunità, e poi il mio vantaggio personale. Ma questo non perché mi venga imposto, nella vita civile e tanto meno nella Chiesa, ma perché io, liberamente, personalmente, spontaneamente sono capace di offrire me stesso. Esce fuori allora la vera caratteristica del martire: il cristiano che si è donato al Signore, l'uomo che ha deciso di non appartenersi per essersi dato a Dio. La mia vita è nelle mani di Dio. E' il ripetere ogni giorno, come Stefano: Signore Gesù, nelle tue mani rimetto la mia vita. Gesù l'aveva detto al Padre. Stefano lo dice al Signore Gesù. Stefano è l'esempio del cristiano che sente la vita non come propria, ma come donata, offerta a Dio secondo la sua volontà. In fondo la preghiera del martire è il Padre nostro. Sia fatta la tua volontà, o Padre, non la mia.
Da qui mi sembra che scaturisca un'altra riflessione. La mia identità cristiana, il mio sentirmi cristiano non è mai contrapposizione, ma, sull'esempio di Stefano, è mitezza, è preghiera per chi magari mi fa del male. La mia identità di cristiano non può essere una maschera che mi metto sul volto per contrastare altri. Non ho bisogno di contrapposizioni. La mia identità di cristiano è la coerenza della coscienza, deve essere la coerenza nella condotta, la decisione intima e profonda che mi spinge a vivere come Gesù è vissuto, mi spinge a vivere secondo il Vangelo. Allora esco fuori nella mia identità: non perché mi impongo, ma con dolcezza e rispetto, perché cerco, semplicemente, la coerenza col Signore, non altro. E' un senso di mitezza che credo oggi più che mai abbia il suo valore. Il cristiano si propone, e nel proporsi esprime se stesso. A quel punto, forse, è anche più facile che la testimonianza venga accolta, perché è più coerente con la testimonianza del Signore.
Sono semplici riflessioni che ho cercato di fare per me stesso e che lascio a voi, questa sera, nel ricordo di Santo Stefano. Stefano ci ricordi che anche oggi la Chiesa è Chiesa di martiri, che anche oggi la Chiesa ha bisogno di testimoni autentici. Stefano aiuti ciascuno di noi ad essere testimone del Vangelo nel proprio ambiente, con coerenza vera, sincera. Aiuti ciascuno di noi ad avere quella magnanimità che ci fa proporre a tutti senza mai volerci imporre a nessuno. E che la nostra testimonianza cristiana sia gradita a Dio e valida per i fratelli.


Dida: Mons. Mario Meini presiede la concelebrazione in Duomo in occasione della festa patronale di Santo Stefano.


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