“Serenità al Paese
e scegliamo la vita”
 
da "Ritrovarci": anno XXIX - numero 1 - marzo 2006

di Don Alberto


Così riassumeva il quotidiano Avvenire la posizione del cardinal Ruini, lucidamente e succintamente espressa all’ultimo Consiglio permanente della Cei lo scorso 23 gennaio. Di fronte all’avvicinarsi dell’importante confronto elettorale per il rinnovo del Parlamento italiano, il Presidente dei vescovi italiani ribadisce anzitutto “quella linea di non coinvolgerci come Chiesa e quindi come clero e come organismi ecclesiali in alcuna scelta di schieramento politico o di partito”. Tale posizione, precisa subito Ruini, “non è frutto di indifferenza o di disimpegno, ma di rispetto della legittima autonomia della politica e ancor prima della genuina natura e missione della Chiesa”. E proprio perché la linea “neutralista” della Chiesa nei confronti delle scelte di schieramento non abbia il sapore amaro dell’indifferenza e del disimpegno - riducendo l’esperienza cristiana a vago e stanco spiritualismo, del tutto ininfluente nella vita concreta delle persone - l’invito di Ruini si fa preciso e circostanziato. Egli chiede - insieme ad un rasserenamento del clima - un “supplemento di attenzione” sui grandi temi umanistici che concorrono a far vivere e crescere una società, indicando nella “centralità della persona, nella difesa della famiglia fondata sul matrimonio e nel rispetto che si deve alla vita umana dal concepimento al suo termine naturale” quei “contenuti irrinunciabili” che è dovere della Chiesa “riproporre, con rispetto e chiarezza, agli elettori e ai futuri eletti”. Alla Chiesa non appartiene e non può appartenere la “politica in senso stretto”, e dunque la ricerca e la tutela dei legittimi interessi di parte, ma non è e non può rimanere estranea alla “politica nel senso alto”, qual è la difesa e la promozione della polis, della società umana.
La Chiesa, oltre che ai cittadini, intende richiamare alle loro responsabilità anche i futuri parlamentari, perché vogliano slegarsi dalle sirene di quel relativismo esasperato che svuota dal di dentro il tessuto che tiene insieme la nostra società e che volentieri scambia per “norme peculiari della morale cattolica” quelle che - parole di Benedetto XVI agli amministratori della Regione del Lazio, del Comune e della Provincia di Roma lo scorso 12 gennaio - “sono verità elementari che riguardano la nostra comune umanità”. E’ questo il terreno che la Chiesa sente come proprio per il dialogo con tutta la società: non per imporre la “morale cattolica” alla società (in tal caso, sì, apparirebbe legittima l’accusa di ingerenza), bensì per richiamare a tutti che la laicità dello Stato, se dice neutralità e rispetto nei confronti di ogni confessione ed espressione religiosa, non dice affatto indifferenza nel campo valoriale, laddove è in gioco la “questione antropologica”, che riguarda ciascuno, tutti e la stessa organizzazione dei rapporti sociali, in quanto la persona umana vive e sviluppa se stessa dentro il contesto della società. Si capisce allora l’accenno del card. Ruini al “rilievo crescente che vanno assumendo determinate problematiche antropologiche ed etiche anche in sede politica e legislativa”. Come a dire: nella misura in cui la politica e la legislazione incrociano le tematiche centrali della vita umana, il rischio di manomettere la cifra dell’umano e di abbandonarsi a logiche soggettivistiche e ideologiche (secondo cui ogni desiderio, di qualunque tipo, deve essere consentito e regolato dalla legge) è reale. La legislazione ha anche una funzione pedagogica e non può essere sganciata dai criteri etici: altrimenti la laicità degenera in laicismo, che è l’altra faccia del clericalismo. Uno Stato può prescindere dalla “morale cattolica”, ma non può affatto sposare una sorta di “indifferentismo etico”. La laicità significa dunque autonomia della sfera civile e politica da quella religiosa ed ecclesiastica, ma non può significare autonomia dalla sfera morale: altrimenti sarebbe lo Stato, sarebbe la politica a diventare, pericolosamente (come insegnano le dittature), la fonte dell’etica. Lo Stato non può limitarsi neppure a convalidare ogni sorta di comportamenti, ma deve orientarli: in base a che cosa, se non al patrimonio di quelle “verità elementari che riguardano la nostra comune umanità”? Anche perché, come disse Giovanni Paolo II in visita al Parlamento italiano (14 novembre 2002), “una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia”. Da qui il richiamo costante, anche dell’attuale Pontefice, alla “questione della verità”, che impedisce di abolire i confini tra verità e menzogna, tra bene e male, come vorrebbe l’attuale “pensiero debole”, secondo cui ogni opinione e ogni comportamento sono uguali e indistinti. A questo proposito il Presidente della Cei ha parlato della “tendenza diffusa in molti Paesi e ben presente anche in Italia, come mostrano svariati segnali, ad introdurre normative che, mentre non rispondono ad effettive esigenze sociali, comprometterebbero gravemente il valore e le funzioni della famiglia legittima fondata sul matrimonio e il rispetto che si deve alla vita umana dal concepimento al suo termine naturale”. Sono parole asciutte, ma che si pongono sul crocevia dell’Italia attuale e vanno al cuore dei dibattiti odierni, in tema di rispetto della vita concepita e nascente (si vuole impedire perfino la piena osservanza della legge 194 sull’interruzione della gravidanza, soprattutto in quelle parti che tendono a salvaguardare la vita umana concepita), in tema di matrimonio e di famiglia (si vogliono equiparare all’istituto matrimoniale anche quelle “unioni di fatto” che, dunque, rifiutano, per loro scelta, i doveri e i diritti della famiglia fondata sul matrimonio naturale fra uomo e donna), in tema di rispetto della vita terminale (si vuole introdurre l’eutanasia come “diritto di libertà personale”, come se la vita e la morte fossero “disponibili” alle voglie soggettive).
E’ anche e soprattutto su questi temi che la non intromissione della Chiesa nelle scelte elettorali non può significare una “indifferenza” dei cittadini (cristiani e non) verso l’uno o l’altro schieramento politico, verso l’una o l’altra formazione politica, come se fossero interscambiabili ed equivalenti nelle grandi tematiche in questione. Bando alle ipocrisie. Il “supplemento di attenzione” proposto dal card. Ruini è un invito ai cristiani a discernere qual è la visione della vita, qual è l’orizzonte antropologico e culturale, quale idea di persona umana, di rapporti sociali, di libertà educativa sono sottesi agli schieramenti e, al loro interno, alle varie formazioni che li compongono: e a scegliere di conseguenza. Ne va del nostro futuro, del futuro dei nostri figli e della nostra società.
Ai cristiani può interessare meno chi esca vincitore dalla competizione elettorale; ma le loro scelte non possono essere indifferenti nei confronti di quei “contenuti irrinunciabili” che costituiscono oggi il crinale che divide la buona dalla cattiva politica. Anche perché va ricordato, a chi riceverà dai cittadini il compito di governare l’Italia, che essere vincitori in politica significa mettersi subito al servizio della comunità, e non insediarsi sulle poltrone che contano per estendere il proprio potere sulla società e per dirigere e occupare le coscienze dei cittadini: i quali debbono obbedienza, soprattutto nelle grandi questioni del vivere, alla legge morale, e, per chi è cristiano, a Dio e a quel patrimonio sapienziale quale si è venuto storicamente configurando nella dottrina e nell’insegnamento della Chiesa, oltre che nella prassi dei tanti testimoni del vangelo. Le cose del mondo - la moneta, con annessi e connessi - appartengono a Cesare. L’uomo invece appartiene a Dio. Non dimentichiamolo mai.

Don Alberto


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