"L'IMMINENTE RESTAURO DELL'ORGANO DI SANTO STEFANO"
Ottenuto il contributo dallo Stato di 140 mila euro, che risultano comunque insufficienti, date le condizioni dello strumento. Inizia ora la fase dei progetti da presentare alla So-vrintendenza per l'autorizzazione al restauro. Presentiamo qui alcune note illustrative e storiche.
da "Ritrovarci": anno XXVIII - numero 3 - ottobre 2005

di Enrico Cirani

L'ORGANO, IL "RE DEGLI STRUMENTI
I documenti ufficiali della Chiesa hanno sempre affermato il valore liturgico dell'organo, cui è stato affidato da secoli il compito sia di potenziare e sostenere il canto sacro, sia di commentare i riti religiosi. Circolano, anche presso il clero, opinioni difformi: ma per fare chiarezza basterà attingere alle fonti, cioè leggere una buona volta quanto in merito decretò l'art. 120 della Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II: "Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potente-mente gli animi a Dio e alle cose celesti." Inoltre l'art. 112 affermò fra l'altro: "La tradizione musicale della Chiesa costituisce un patrimonio d'inestimabile valore". Tutte queste prescri-zioni furono successivamente confermate in più occasioni dal Magistero Pontificio, da Paolo VI a Giovanni Paolo II.
Dopo questa premessa, ricordiamo che l'arte organaria, le cui origini risalgono all'antichità romana, a partire dal XIII secolo trovò nella committenza ecclesiastica dell'Europa occidenta-le, cattolica o riformata, l'occasione di un costante sviluppo. L'esperienza maturata attraverso generazioni di geniali artigiani e il contemporaneo interesse di musicisti, che trovavano in questi strumenti la possibilità di nuove espressioni della loro arte, favorirono innumerevoli e spesso anche monumentali realizzazioni dell'organo, prima barocco, poi romantico ed infi-ne moderno, secondo i moduli tipici delle varie scuole nazionali, soprattutto in Italia, Fran-cia, Germania, Paesi Bassi e Spagna.
Dalle cattedrali alle chiesette di campagna, gli edifici di culto ne furono arricchiti per iniziati-ve di comunità dotate spesso di modeste risorse; si costituì nei secoli un patrimonio non solo di grande valore economico, ma di cospicuo contenuto storico-artistico, realizzato da un arti-gianato ricco di genialità e di esperienza, supportate da una manualità che in passato poteva giovarsi solo di rudimentali supporti tecnologici.

Ogni organo a canne è uno strumento del tutto particolare per originalità (non esistono organi uguali), aperto alle libere intuizioni ed espressamente studiato in funzione dell'ambiente al quale è destinato.
L'organo si presenta al profano con un prospetto di canne allineate ed ordinate, di diversa altezza, racchiuse in una struttura lignea più o meno elaborata: ma quanto si vede non è che una minima parte dello strumento.
Il suono dell'organo è prodotto da aria "viva", insufflata a mezzo di mantici in canne, stru-menti a fiato che producono ognuna un solo suono, dipendente dalla tipologia della canna stessa: lunghezza, diametro, forma, materiale ed altri piccolissimi dettagli costruttivi. Lo strumento contiene numerose serie di canne (i cosiddetti registri) e può quindi considerarsi come un'orchestra di diversi strumenti a fiato che l'esecutore può selezionare ad uno ad u-no, ovvero combinare assieme in tutti i modi possibili, ottenendo quindi una gamma di suo-ni estremamente varia. Poiché gli organi possono avere più tastiere, ognuna delle quali con proprie famiglie di canne, si moltiplica la quantità e la qualità delle combinazioni foniche. Aggiungasi che l'esecutore agisce con i piedi su di un'ulteriore tastiera, detta pedaliera, de-stinata a generare i suoni più profondi. L'organista di volta in volta deve saper scegliere le sonorità più adatte.
All'interno dell'organo si trova quindi una vera selva di canne, di lunghezza variabile da qualche centimetro ad alcuni metri; la maggior parte sono di metallo (lega di stagno e piom-bo), mentre quelle di maggiori dimensioni, destinate a produrre i suoni più gravi, vengono costruite in legno. Ogni canna poi, costruita manualmente e montata, deve essere perfezio-nata nel timbro e nell'accordatura con pazienti micro-interventi di aggiustamento, richieden-ti particolare abilità, orecchio e gusto da parte dell'operatore.
Nella cassa sono anche contenuti tutti comandi meccanici, costituiti da alcune migliaia di pezzi, la cui precisione costruttiva ed efficienza sono indispensabili per il corretto funzio-namento dell'insieme: oltre alle canne, parti metalliche (tiranti, rinvii, perni, molle), parti lignee di diverse essenze (tasti, valvole, tiranti, rulli, canalizzazioni per l'aria, supporti, te-lai, contenitori), pellami (mantici, guarnizioni. rivestimenti), eccetera.
I comandi elettrici, per qualche tempo usati in sostituzione di quelli meccanici, sono oggi scarsamente apprezzati e, nel restauro di organi antichi, assolutamente esclusi.
Un siffatto strumento per la sua natura e complessità è sensibile alle variazioni termiche ed igrometriche; costituito da parti deteriorabili, è soggetto alle insidie di insetti, roditori, pol-vere, usura, accidentali guasti. Abbisogna pertanto di una continua manutenzione, la cui mancanza a lungo andare provoca danni gravissimi.
Il moderno surrogato elettronico (impropriamente chiamato organo), ben più vantaggioso dal punto di vista economico (essendo costruito in serie, magari made in Taiwan), non ha nulla a che vedere coll'organo a canne. Il suo suono, prodotto artificialmente e diffuso da altoparlanti, è solo un'imitazione approssimativa del suono del vero organo, così come qualsiasi riproduzione musicale elettrofonica, anche di alta qualità, non è assolutamente pa-ragonabile ad un'esecuzione musicale dal vivo.

L'ORGANO DEL DUOMO DI SANTO STEFANO.

Come in tutte le altre chiese di Casalmaggiore, a maggior ragione nella principale Chiesa di S. Stefano, ove officiava un capitolo di canonici e prestavano servizio un maestro di cap-pella ed una "schola" fissa, non poteva mancare uno strumento musicale adeguato al ran-go del tempio ed alla particolare solennità dei riti. Pertanto, all'inizio del 1800, quando si pensava già di sostituire la vecchia parrocchiale quattrocentesca con altro edificio più con-facente alla dignità abbaziale recentemente riconosciuta, si ritenne opportuno eliminare subito il vecchio strumento, del quale non si hanno notizie, e provvederne uno nuovo.
Il nuovo organo, uscito dopo altri 324 dalla bottega dei bergamaschi Serassi, i più famosi organari italiani di quel momento, fu completato nel 1812 e venne realizzato secondo la tradi-zionale tecnica di quella ditta, celebre soprattutto per l'omogenea pastosità di un timbro tipico dell'organo italiano: il ripieno.
Costruito il nuovo Duomo, nel 1860 venne previsto il trasferimento dello strumento e, per adeguarlo alla maggiore ampiezza della nuova chiesa, venne non solo restaurato, ma an-che notevolmente ampliato. Vi posero mano i Bossi, altra celebre famiglia di organari bergamaschi che, integrando opportunamente lo strumento serassiano, crearono un organo rinnovato di oltre duemila canne: uno strumento di mole considerevole, collocato sulla cantoria disegnata dall'architetto del duomo Fermo Zuccari.
La comunità di Casalmaggiore, ambiziosamente attenta a procurare lustro alla propria città, affrontò anche questo onere, che si aggiungeva a quelli gravosi assunti già per la costruzio-ne del duomo, che impegnarono la Fabbriceria per un altro ventennio.
Nel 1862 si ebbe l'inaugurazione ufficiale, col collaudo effettuato da una celebrità dell'epoca: il cappuccino padre Davide da Bergamo, grande esperto dell'arte organaria ed applauditissimo esecutore.
Nel 1907, in occasione di un restauro, la ditta milanese Balbiani, seguendo le mode del tempo, purtroppo intervenne infliggendo allo strumento gravi mutilazioni eliminando intere sezioni ed introducendo innovazioni irrazionali e deleterie.
Negli anni immediatamente successivi incominciarono poi a mancare anche quei periodici indispensabili interventi manutentori che in precedenza erano effettuati con puntualità.
Il maestro Vincenzo Germani, organista di Santo Stefano nel 1920-1922, ma che anche in seguito, in occasione delle maggiori solennità, non mancava di essere presente per trarre an-cora dallo strumento esecuzioni degnissime, nel 1939 aveva invano presentato alla Fabbrice-ria alcune proposte per porre rimedio non solo ai guasti di quella "rovinosa riforma", come l'aveva definita nel suo articolo apparso su Ritrovarci (n. 11 del 1949), ma anche all'abbandono in cui lo strumento veniva lasciato. "Lo strumento è pervenuto ad uno stato di deperimento tale che lo ha reso privo di un minimum di decoro e condannato a naufragare irrimediabilmente.... Ma certo è un errore imperdonabile che si lasci perire un'opera che i nostri avi hanno voluto degna del magnifico Tempio e di cui erano ben a ragione orgogliosi: errore che si sconterà rendendo completamente muti ed inespressivi i sacri riti che si svolge-ranno pel nostro Duomo"
Molte chiese erano ormai prive della tradizionale figura dell'organista che, anche se dotato di modeste competenze musicali, da attento custode dello strumento non solo sapeva anche personalmente provvedere a quei semplici interventi volti ad evitare danni maggiori, ma che poteva sensibilizzare chi di dovere affinché la manutenzione dell'organo venisse considerata nella sua giusta importanza onde evitare danni irreparabili.
Dallo scritto del maestro Germani è trascorso oltre mezzo secolo. Che cosa scriverebbe og-gi, nulla essendo mutato? Sino a quindici anni or sono, grazie a continui pazienti empirici ac-corgimenti, l'organo era stato, in qualche modo, mantenuto in funzione, tanto che poteva sempre accompagnare anche frequenti esecuzioni della corale. Poi, da allora, rimasto muto è divenuto ormai inservibile.
Nel 1987 il maggior esperto italiano di arte organaria, il dott. Oscar Mischiati, nella prefa-zione al volume "L'Organo del Duomo di S. Stefano in Casalmaggiore" avvertiva: "La so-stanza dello strumento è fortunatamente sopravvissuta, ad onta delle ingiurie e delle sosti-tuzioni, e attende soltanto un paziente ed intelligente restauro per riacquistare tutta la sua qualità, oggi latente."
Il restauro che ora sta rendendosi possibile richiederà un intervento radicale e particolar-mente oneroso, regolamentato da specifiche regole. Dovendo ripristinare l'organo Bossi del 1862, si imporranno le seguenti operazioni: lo smontaggio ed il trasporto dello strumento in officina; l'eliminazione delle improprie aggiunte e delle innovazioni novecentesche; il re-stauro o la sostituzione delle parti danneggiate, secondo rigorose regole; l'altrettanto fedele ricostruzione delle importanti parti eliminate dall'improvvida riforma; infine la laboriosa accordatura generale e, ovviamente, la ricollocazione nella sede originale.

Enrico Cirani


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