L'ORGANO, IL "RE DEGLI STRUMENTI I documenti ufficiali della
Chiesa hanno sempre affermato il valore liturgico dell'organo, cui è
stato affidato da secoli il compito sia di potenziare e sostenere il canto
sacro, sia di commentare i riti religiosi. Circolano, anche presso il
clero, opinioni difformi: ma per fare chiarezza basterà attingere
alle fonti, cioè leggere una buona volta quanto in merito decretò
l'art. 120 della Costituzione Sacrosanctum Concilium del Vaticano II:
"Nella Chiesa latina si abbia in grande onore l'organo a canne, strumento
musicale tradizionale, il cui suono è in grado di aggiungere un
notevole splendore alle cerimonie della Chiesa, e di elevare potente-mente
gli animi a Dio e alle cose celesti." Inoltre l'art. 112 affermò
fra l'altro: "La tradizione musicale della Chiesa costituisce un
patrimonio d'inestimabile valore". Tutte queste prescri-zioni furono
successivamente confermate in più occasioni dal Magistero Pontificio,
da Paolo VI a Giovanni Paolo II.
Dopo questa premessa, ricordiamo che l'arte organaria, le cui origini
risalgono all'antichità romana, a partire dal XIII secolo trovò
nella committenza ecclesiastica dell'Europa occidenta-le, cattolica o
riformata, l'occasione di un costante sviluppo. L'esperienza maturata
attraverso generazioni di geniali artigiani e il contemporaneo interesse
di musicisti, che trovavano in questi strumenti la possibilità
di nuove espressioni della loro arte, favorirono innumerevoli e spesso
anche monumentali realizzazioni dell'organo, prima barocco, poi romantico
ed infi-ne moderno, secondo i moduli tipici delle varie scuole nazionali,
soprattutto in Italia, Fran-cia, Germania, Paesi Bassi e Spagna.
Dalle cattedrali alle chiesette di campagna, gli edifici di culto ne furono
arricchiti per iniziati-ve di comunità dotate spesso di modeste
risorse; si costituì nei secoli un patrimonio non solo di grande
valore economico, ma di cospicuo contenuto storico-artistico, realizzato
da un arti-gianato ricco di genialità e di esperienza, supportate
da una manualità che in passato poteva giovarsi solo di rudimentali
supporti tecnologici.
Ogni organo a canne è uno strumento del tutto particolare per
originalità (non esistono organi uguali), aperto alle libere intuizioni
ed espressamente studiato in funzione dell'ambiente al quale è
destinato.
L'organo si presenta al profano con un prospetto di canne allineate ed
ordinate, di diversa altezza, racchiuse in una struttura lignea più
o meno elaborata: ma quanto si vede non è che una minima parte
dello strumento.
Il suono dell'organo è prodotto da aria "viva", insufflata
a mezzo di mantici in canne, stru-menti a fiato che producono ognuna un
solo suono, dipendente dalla tipologia della canna stessa: lunghezza,
diametro, forma, materiale ed altri piccolissimi dettagli costruttivi.
Lo strumento contiene numerose serie di canne (i cosiddetti registri)
e può quindi considerarsi come un'orchestra di diversi strumenti
a fiato che l'esecutore può selezionare ad uno ad u-no, ovvero
combinare assieme in tutti i modi possibili, ottenendo quindi una gamma
di suo-ni estremamente varia. Poiché gli organi possono avere più
tastiere, ognuna delle quali con proprie famiglie di canne, si moltiplica
la quantità e la qualità delle combinazioni foniche. Aggiungasi
che l'esecutore agisce con i piedi su di un'ulteriore tastiera, detta
pedaliera, de-stinata a generare i suoni più profondi. L'organista
di volta in volta deve saper scegliere le sonorità più adatte.
All'interno dell'organo si trova quindi una vera selva di canne, di lunghezza
variabile da qualche centimetro ad alcuni metri; la maggior parte sono
di metallo (lega di stagno e piom-bo), mentre quelle di maggiori dimensioni,
destinate a produrre i suoni più gravi, vengono costruite in legno.
Ogni canna poi, costruita manualmente e montata, deve essere perfezio-nata
nel timbro e nell'accordatura con pazienti micro-interventi di aggiustamento,
richieden-ti particolare abilità, orecchio e gusto da parte dell'operatore.
Nella cassa sono anche contenuti tutti comandi meccanici, costituiti da
alcune migliaia di pezzi, la cui precisione costruttiva ed efficienza
sono indispensabili per il corretto funzio-namento dell'insieme: oltre
alle canne, parti metalliche (tiranti, rinvii, perni, molle), parti lignee
di diverse essenze (tasti, valvole, tiranti, rulli, canalizzazioni per
l'aria, supporti, te-lai, contenitori), pellami (mantici, guarnizioni.
rivestimenti), eccetera.
I comandi elettrici, per qualche tempo usati in sostituzione di quelli
meccanici, sono oggi scarsamente apprezzati e, nel restauro di organi
antichi, assolutamente esclusi.
Un siffatto strumento per la sua natura e complessità è
sensibile alle variazioni termiche ed igrometriche; costituito da parti
deteriorabili, è soggetto alle insidie di insetti, roditori, pol-vere,
usura, accidentali guasti. Abbisogna pertanto di una continua manutenzione,
la cui mancanza a lungo andare provoca danni gravissimi.
Il moderno surrogato elettronico (impropriamente chiamato organo), ben
più vantaggioso dal punto di vista economico (essendo costruito
in serie, magari made in Taiwan), non ha nulla a che vedere coll'organo
a canne. Il suo suono, prodotto artificialmente e diffuso da altoparlanti,
è solo un'imitazione approssimativa del suono del vero organo,
così come qualsiasi riproduzione musicale elettrofonica, anche
di alta qualità, non è assolutamente pa-ragonabile ad un'esecuzione
musicale dal vivo.
L'ORGANO DEL DUOMO DI SANTO STEFANO.
Come in tutte le altre chiese di Casalmaggiore, a maggior ragione nella
principale Chiesa di S. Stefano, ove officiava un capitolo di canonici
e prestavano servizio un maestro di cap-pella ed una "schola"
fissa, non poteva mancare uno strumento musicale adeguato al ran-go del
tempio ed alla particolare solennità dei riti. Pertanto, all'inizio
del 1800, quando si pensava già di sostituire la vecchia parrocchiale
quattrocentesca con altro edificio più con-facente alla dignità
abbaziale recentemente riconosciuta, si ritenne opportuno eliminare subito
il vecchio strumento, del quale non si hanno notizie, e provvederne uno
nuovo.
Il nuovo organo, uscito dopo altri 324 dalla bottega dei bergamaschi Serassi,
i più famosi organari italiani di quel momento, fu completato nel
1812 e venne realizzato secondo la tradi-zionale tecnica di quella ditta,
celebre soprattutto per l'omogenea pastosità di un timbro tipico
dell'organo italiano: il ripieno.
Costruito il nuovo Duomo, nel 1860 venne previsto il trasferimento dello
strumento e, per adeguarlo alla maggiore ampiezza della nuova chiesa,
venne non solo restaurato, ma an-che notevolmente ampliato. Vi posero
mano i Bossi, altra celebre famiglia di organari bergamaschi che, integrando
opportunamente lo strumento serassiano, crearono un organo rinnovato di
oltre duemila canne: uno strumento di mole considerevole, collocato sulla
cantoria disegnata dall'architetto del duomo Fermo Zuccari.
La comunità di Casalmaggiore, ambiziosamente attenta a procurare
lustro alla propria città, affrontò anche questo onere,
che si aggiungeva a quelli gravosi assunti già per la costruzio-ne
del duomo, che impegnarono la Fabbriceria per un altro ventennio.
Nel 1862 si ebbe l'inaugurazione ufficiale, col collaudo effettuato da
una celebrità dell'epoca: il cappuccino padre Davide da Bergamo,
grande esperto dell'arte organaria ed applauditissimo esecutore.
Nel 1907, in occasione di un restauro, la ditta milanese Balbiani, seguendo
le mode del tempo, purtroppo intervenne infliggendo allo strumento gravi
mutilazioni eliminando intere sezioni ed introducendo innovazioni irrazionali
e deleterie.
Negli anni immediatamente successivi incominciarono poi a mancare anche
quei periodici indispensabili interventi manutentori che in precedenza
erano effettuati con puntualità.
Il maestro Vincenzo Germani, organista di Santo Stefano nel 1920-1922,
ma che anche in seguito, in occasione delle maggiori solennità,
non mancava di essere presente per trarre an-cora dallo strumento esecuzioni
degnissime, nel 1939 aveva invano presentato alla Fabbrice-ria alcune
proposte per porre rimedio non solo ai guasti di quella "rovinosa
riforma", come l'aveva definita nel suo articolo apparso su Ritrovarci
(n. 11 del 1949), ma anche all'abbandono in cui lo strumento veniva lasciato.
"Lo strumento è pervenuto ad uno stato di deperimento tale
che lo ha reso privo di un minimum di decoro e condannato a naufragare
irrimediabilmente.... Ma certo è un errore imperdonabile che si
lasci perire un'opera che i nostri avi hanno voluto degna del magnifico
Tempio e di cui erano ben a ragione orgogliosi: errore che si sconterà
rendendo completamente muti ed inespressivi i sacri riti che si svolge-ranno
pel nostro Duomo"
Molte chiese erano ormai prive della tradizionale figura dell'organista
che, anche se dotato di modeste competenze musicali, da attento custode
dello strumento non solo sapeva anche personalmente provvedere a quei
semplici interventi volti ad evitare danni maggiori, ma che poteva sensibilizzare
chi di dovere affinché la manutenzione dell'organo venisse considerata
nella sua giusta importanza onde evitare danni irreparabili.
Dallo scritto del maestro Germani è trascorso oltre mezzo secolo.
Che cosa scriverebbe og-gi, nulla essendo mutato? Sino a quindici anni
or sono, grazie a continui pazienti empirici ac-corgimenti, l'organo era
stato, in qualche modo, mantenuto in funzione, tanto che poteva sempre
accompagnare anche frequenti esecuzioni della corale. Poi, da allora,
rimasto muto è divenuto ormai inservibile.
Nel 1987 il maggior esperto italiano di arte organaria, il dott. Oscar
Mischiati, nella prefa-zione al volume "L'Organo del Duomo di S.
Stefano in Casalmaggiore" avvertiva: "La so-stanza dello strumento
è fortunatamente sopravvissuta, ad onta delle ingiurie e delle
sosti-tuzioni, e attende soltanto un paziente ed intelligente restauro
per riacquistare tutta la sua qualità, oggi latente."
Il restauro che ora sta rendendosi possibile richiederà un intervento
radicale e particolar-mente oneroso, regolamentato da specifiche regole.
Dovendo ripristinare l'organo Bossi del 1862, si imporranno le seguenti
operazioni: lo smontaggio ed il trasporto dello strumento in officina;
l'eliminazione delle improprie aggiunte e delle innovazioni novecentesche;
il re-stauro o la sostituzione delle parti danneggiate, secondo rigorose
regole; l'altrettanto fedele ricostruzione delle importanti parti eliminate
dall'improvvida riforma; infine la laboriosa accordatura generale e, ovviamente,
la ricollocazione nella sede originale.
Enrico Cirani
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