Vogliamo celebrare anche con la santa messa - che rinnova, secondo la
fede cristiana basata sulla parola di Gesù, il sacrificio di Cristo
sulla croce - i caduti di tutte le guerre, in modo particolare vogliamo
far memoria delle vittime, di tutte le vittime di quel periodo particolare
della nostra storia nazionale che coincide con il movimento della Resistenza.
La preghiera per le vittime è doverosa, perché le vittime
ci ricordano che la libertà, che una vita civile feconda e operosa
può richiedere anche un prezzo molto alto. Ci ricordano che la
libertà e un certo benessere di cui l'Italia, diversamente da tanti
altri Paesi nel mondo, ha potuto godere in questi ultimi 60 anni, è
anche il frutto del loro sacrificio: il sacrificio di quegli italiani
e di quegli stranieri - ne sono testimonianza i numerosi cimiteri militari
- che hanno combattuto contro le dittature e contro quei totalitarismi
che avevano seminato macerie e drammi nell'Europa di quegli anni.
Siamo qui a pregare per tutte le vittime, senza distinzione di appartenenze
politiche e di schieramenti ideologici. Gli studi storici di questi anni
stanno faticosamente ricostruendo quel complesso periodo, che ha visto
anche episodi di barbarie e di violenza nelle nostre stesse terre, nella
nostra stessa Casalmaggiore.
Scriveva don Primo Mazzolari: "Come si può parlare di valori
della Resistenza se il nostro animo e il nostro modo di esistere non sono
superiori ai modi della violenza? In nome di chi e di quale morale si
può condannare il male, se non crediamo nel bene o se lo contorniamo
o pensiamo di dargli efficacia con i mezzi del male? Il bene ha una sua
propria strumentalità o corporeità inconfondibile. Volete
che siano uguali le strade del bene e le strade del male?". E' quel
che dice San Paolo: il male non si vince con il male, ma con il bene.
"Resistenza": è parola grossa, è proposito impegnativo;
perché a poco servirebbe far memoria delle vittime e dei sacrifici
di quel periodo se non trasferissimo anche nell'ora presente i valori
più alti e più nobili di quel movimento storico. Resistere
al male e operare il bene è il compito non solo di ogni cristiano,
ma di ogni uomo degno di questo nome.
E allora: quanta "resistenza" è necessaria anche oggi!
Per non cadere vittime di altre dittature che stanno minando la nostra
libertà e la nostra convivenza civile, prima fra tutte la "dittatura
del relativismo", come ebbe a dire il nuovo Papa proprio lunedì
scorso in San Pietro, prima di entrare in conclave. Dittatura del relativismo
significa non riconoscere nulla come definitivatamente valido, non riconoscere
una chiara e salutare differenza fra bene e male, fra verità e
menzogna, per cui è soltanto il proprio io ad essere considerato
la fonte dei valori, la misura di tutto. E a chi va sostenendo che il
relativismo etico è la condizione ideale delle società democratiche
- insofferenti di ogni "pensiero forte" - ricordo una considerazione
di Giovanni Paolo II, presente nella sua enciclica sociale Centesimus
Annus e ripetuta durante la sua storica visita al Parlamento italiano
il 14 novembre 2002: "Una democrazia senza valori si converte facilmente
in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia".
In questo modo il relativismo, dichiarando "opinione" ogni genere
di idee e di convincimenti, finisce per svuotare di senso ogni valore,
aprendo di fatto la strada a ogni genere di violenza e di sopruso.
Un'altra dittatura a cui oggi siamo chiamati a resistere è lo "scientismo",
ossia la pretesa che la scienza si arroga di poter risolvere le questioni
ultime e fondamentali dell'esistenza. In questo modo la persona umana
diventa proprietà del potere scientifico e tecnologico (vedi ad
es. le manipolazioni della vita umana nel campo delle biotecnologie);
viene anche vanificata la sua libertà, la sua volontà, la
sua responsabilità etica. Il delirio di onnipotenza dell'uomo di
oggi sembra non avere più confini e il desiderio del singolo (ad
es. nel campo dell'amore, della sessualità, del matrimonio e della
famiglia
) sembra essere diventato l'unico criterio di vita, che
pretende perfino una legittimazione e una sanzione giuridica e legislativa,
senza tenere in alcun conto il diritto naturale. Ancora una volta, sono
i violenti e i furbi a vincere, mentre i deboli e i poveri vengono abbandonati
al loro destino.
Un'altra dittatura, molto sottile ma la cui forza di persuasione occulta
è sotto gli occhi di tutti, è quella mediatica. Oggi i mezzi
di comunicazione sociale costruiscono e abbattono, esaltano e umiliano,
a piacimento di chi li detiene, e non sempre per nobili finalità.
Solo la forza della verità - da perseguire con ogni sforzo culturale,
educativo, esistenziale - può, come il giovane Davide, vincere
il gigante Golia. Altrimenti, ancora una volta, sono i più forti
a vincere.
E si potrebbe continuare. La tradizione cristiana, a cui si ispira una
parte considerevole del nostro popolo e che ha contribuito in misura determinante
a formare la visione della vita nell'alveo della nostra identità
nazionale, si ripropone ancor oggi in tutta la sua forza insopprimibile
e in tutta la sua dirompente novità. La figura, la vicenda, l'insegnamento
di Gesù, insieme alla testimonianza di coloro - i santi, compresi
quelli anonimi dei nostri paesi e delle nostre famiglie - che l'hanno
coraggiosamente e pubblicamente testimoniato senza complessi di sorta,
appaiono ancora come esperienza di verità piena sull'uomo e sull'eistenza
umana: ed è la verità che ci rende liberi, dice Gesù,
non altro!
La memoria dei nostri caduti, come di tutti coloro che cadono vittime
delle prepotenze e delle ingiustizie, ci impegni e ci aiuti a tenere alta
la misura della nostra vita, ci aiuti a coltivare il giardino del nostro
spirito, oggi diventato sempre più sfiorito e inospitale, ci aiuti
alla assunzione delle nostre responsabilità e dei nostri doveri,
in una società dove si predicano soltanto diritti.
Per chi di noi si riconosce ancora cristiano, la memoria dei caduti ci
apra alla contemplazione del Figlio di Dio, anch'Egli caduto crocifisso
sul Golgota, ma risorto a vita nuova: perché il mondo - come ricordava
Benedetto XVI ieri, nella messa di inizio del suo ministero - viene salvato
dal Crocifisso, non dai crocifissori. Di questo Crocifisso ora facciamo
memoria viva nella celebrazione dell'eucaristia, che offriamo a Dio perché
la nostra comunità ecclesiale e civile di Casalmaggiore ritrovi
le radici della sua storia e la forza per la sua crescita e per il suo
sviluppo, materiale e spirituale, civile e religioso.
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