Lo scorso mese di aprile si è aperto con l'agonia di Giovanni
Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, e si è chiuso con i primi passi
del nuovo Papa, Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger: due uomini
di Chiesa legati da una singolare e lunga amicizia, che risale al secondo
conclave del 1978, dopo la morte di Giovanni Paolo I, quando l'allora
card. Ratzinger, giovane arcivescovo cinquantunenne di Monaco, si trovò
in sintonia con l'allora cinquantottenne card. Wojtyla, arcivescovo di
Cracovia. "Occorre ritrovare - furono le parole stesse di Ratzinger
- l'audacia di accettare, con cuore gioioso e senza tema di sminuirsi,
la follia della verità". La Chiesa in quegli anni del dopo
Concilio viveva al suo interno una stagione difficile, e nel suo rapporto
con la modernità era tentata di essere risucchiata dallo "spirito
dei tempi". Paolo VI visse nella sua carne quella stagione aspra
e aggressiva, che ebbe il coraggio di denunciare con toni perfino drammatici,
ma che non gli riuscì di sanare e di arginare.
I quasi ventisette anni di Giovanni Paolo II hanno affrontato e per certi
aspetti risolto quella crisi: il mondo, dopo le prime incertezze e i primi
sospetti circa il "Papa polacco", ha guardato con sempre maggior
rispetto e simpatia, trascinato anche dalla sua personalità vivace
e carismatica, a Giovanni Paolo II. La sua morte è stata la rivelazione
- se ne ce ne fosse stato bisogno - della gratitudine di tutta la Chiesa
e anche di una buona parte del mondo verso questo Papa, già definito
"magno", ossia "grande", che ha abbattuto muri, ha
denunciato i mali profondi del nostro tempo, ha ridato fiducia ai giovani,
ha aperto strade di dialogo non solo con gli altri cristiani, ma anche
con le altre religioni, ha difeso e tutelato - in tutti i modi - la dignità
della persona umana in tutte le stagioni della vita, dal concepimento
alla morte naturale, ha cantato la dignità del lavoro, la bellezza
del matrimonio e della famiglia, il genio femminile, la fecondità
del dolore e della sofferenza
Soprattutto ha avuto il coraggio di
riannunciare il Signore Gesù Cristo come il vero "Redentore
dell'uomo" in tutti gli angoli della Terra, con una dedizione infaticabile
e con una fede intrepida, alimentata quotidianamente da una intensa vita
di preghiera. E gli uomini di oggi hanno cominciato a guardare a Cristo
e al Cristianesimo con occhi nuovi, proprio grazie alla testimonianza
e alla personalità, umanamente così ricca e poliedrica,
di Papa Wojtyla: hanno capito, proprio grazie a lui, che l'essere cristiani
costituisce la fioritura, l'esplosione di tutto ciò che è
genuinamente umano. La sua lunga malattia, portata con dignità
fino alla fine e offerta a Dio e alla Madre di Dio ("Totus tuus"
era il suo motto episcopale) con perseverante abbandono, non gli ha impedito
di svolgere la sua missione di successore di Pietro, chiamato a confermare
e ad irrobustire la fede dei suoi fratelli fino all'agonia e alla morte,
vissute da centinaia di milioni di persone, unite al Papa morente anche
in diretta televisiva.
"Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II, i signori cardinali hanno
eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore":
queste le prime parole di Benedetto XVI, appena dopo la sua elezione,
martedì 19 aprile, avvenuta in uno dei conclavi più fulminei
della storia. Ha impressionato la celerità e dunque la pressoché
totale compattezza e la quasi unanimità dei cardinali nel trovare
un successore a Giovanni Paolo II, che volle accanto a sé Ratzinger
fin dal 1981, come suo "braccio intellettuale" nel campo della
tutela della "dottrina della fede". Ratzinger aveva partecipato
come esperto ai lavori del Concilio Vaticano II e viene considerato uno
dei teologi di maggior spessore della nostra epoca. Benedetto XVI è
dunque preparato ad affrontare le sfide più profonde per il cristianesimo
di oggi, riguardanti la conservazione e l'incarnazione della fede nella
modernità, di fronte ad una cultura - quale è quella occidentale
di oggi - pervasa dalla "dittatura del relativismo", dalle insidie
del potere della scienza e della tecnica, dalla forza seduttiva di quelle
ideologie idolatriche che fanno leva sul desiderio, anzi sul delirio di
onnipotenza dell'individuo.
Forse non era mai successo ad un Papa di pronunciare la sua omelia programmatica
il giorno prima dell'elezione, durante la messa "pro eligendo romano
pontifice", quando, con una franchezza e con un coraggio degni di
un grande Pastore, il card. Ratzinger ebbe, di fronte alla Chiesa e al
mondo, a chiamare per nome le onde che agitano oggi la barca della Chiesa:
"dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo
all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso;
dall'agnosticismo al sincretismo"; non fermandosi, però, alla
denuncia dei mali, ma suggerendo la terapia, ispirata ad una formula dell'apostolo
Paolo: fare la verità nella carità. Così come era
stata sorprendente la sua denuncia-confessione di un paio di settimane
prima, durante la Via Crucis al Colosseo, quando nella sua meditazione
sulla terza caduta di Gesù, il card. Ratzinger scriveva: "Quanta
sporcizia c'è nella Chiesa
quanta superbia, quanta autosufficienza!
Abbi pietà della tua Chiesa!". Ratzinger conservatore?
Si direbbe proprio il contrario, sulla linea di Giovanni Paolo II che
aveva avuto il coraggio, durante l'Anno Giubilare del 2000, di chiedere
perdono a Dio per i peccati dei figli della Chiesa lungo i secoli.
Benedetto XVI, il Papa della fede: così lo ha definito, a ragione,
Dino Boffo, il direttore di Avvenire: perché "solo la fede
- scrive Boffo - può dare alla morale ua consistenza non illusoria.
Solo la fede - con l'antropologia che essa illumina - può preservare
l'uomo moderno dalle auto-manipolazioni. Solo la fede può assicurare
l'humus da cui le civiltà traggono i grandi valori della pace,
della giustizia, della democrazia, senza che questi stessi valori ad un
certo punto impazziscano".
Questo è apparso ai cardinali il lavoro essenziale per la Chiesa
di oggi: rafforzare la fede. E credo che la rapidità stessa del
conclave sia da leggersi come un segnale che i cardinali abbiano scelto
l'uomo che, meglio di altri, potesse - per la sua prepazione dottrinale,
la sua profonda spiritualità, la sua stima della grande tradizione
ecclesiale, la sua conoscenza dei problemi della Chiesa universale, la
sua consonanza con Giovanni Paolo II - affrontare le sfide dell'ora presente,
senza cedimenti allo spirito del tempo, e traghettare la Chiesa verso
porti più sicuri. Insomma, con Papa Ratzinger la Chiesa non ha
scelto il minimo comun denominatore, non ha scelto di abbassare il livello:
piuttosto ha scelto di puntare al massimo, ossia di mettere al sicuro
la fede, che non è solo un patrimonio dottrinale, ma è soprattutto
la fedeltà al Signore Gesù Cristo, unico Salvatore del cosmo
e della storia, dentro al cammino avventuroso dell'esistenza, dove si
gioca il proprio eterno destino.
E' sempre tremendamente attuale la misteriosa domanda di Gesù ai
discepoli: "Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà
la fede sulla terra?" (Luca 18,8). Benedetto XVI ci aiuti, come Giovanni
Paolo II, a trovare la giusta risposta a questa provocazione del Signore.
Don Alberto Franzini
|