"In principio erat Verbum"
E' terminata la catechesi biblica del nostro parroco sul Vangelo di Giovanni, uno dei testi più significativi del Nuovo Testamento. Riportiamo le riflessioni di una partecipante.
da "Ritrovarci": anno XXVIII - numero 2 - maggio 2005

di Maria Grazia Cavalca

Con questa frase evocativa di un messaggio che vince qualsiasi altezza intellettuale dell'uomo e che all'uomo viene donato come grazia di Dio, comincia il vangelo di Giovanni. Un vangelo "poco racconto", difficile, spesso problematico, ma comunque affascinante e suggestivo.
Quando il nostro parroco ha annunciato che proprio il vangelo di Giovanni sarebbe stato l'argomento della catechesi di quest'anno, mi sono resa conto che ci veniva offerto un grande dono, un dono di cui appropriarci per crescere nella fede e per fare di Cristo, veramente, una presenza viva nella nostra vita. Mi sono perciò messa in ascolto con la mente e con il cuore, "come sul petto di Gesù" -come dice sant'Agostino-, cioè in atteggiamento di contemplazione e adorazione.
Il corso, tanto stimolante e coinvolgente, andrebbe rimeditato nella sua interezza, parola per parola, nel silenzio, perché una fredda schematizzazione finirebbe per togliergli colore e calore. Mi limito perciò, ripensandolo, a esprimere la risonanza che esso ha avuto dentro di me e a rimarcare, in modo inevitabilmente frammentario, quello che più mi ha colpito.
L'ampia e articolata introduzione, che è stata di per sé una lezione magistrale, ha fornito le chiavi di lettura necessarie ad una miglior comprensione di questo vangelo, così particolare rispetto ai sinottici:
" il termine "segno", così ricorrente, non significa tout court "miracolo", ma è da intendersi come evento che richiede di essere interpretato: Giovanni vuole farci capire che bisogna andare oltre l'evento in sé, perché più importante del segno è colui che fa il segno, in quanto è lui il vero miracolo;
" il vangelo di Giovanni presuppone una lettura in due tempi: una letterale, che costituisce la punta dell'iceberg, quello cioè che immediatamente cogliamo, e una simbolica: solo la fede pasquale ci permette di capire nella loro realtà più profonda i gesti e le parole del Gesù storico;
" la ricchezza di espressioni temporali e spaziali portano a dire che tutto il vangelo è sotto il segno dell' "ora" di Gesù (che è l'ora della croce, della gloria, del compimento) e del "dove" di Gesù, che è il mondo del Padre, da cui Egli è uscito per venire nel nostro mondo e a cui fa ritorno dopo aver lasciato il nostro mondo;
" Giovanni ci fa toccare con mano il retroterra di conflitti, contraddizioni, tensioni all'interno della chiesa e intorno alla chiesa, al suo tempo.
Se è straordinario leggere nel prologo di un Dio che si fa carne, fatto impensabile nelle altre religioni, forse è ancora più grandioso leggere che quel Dio "a quanti l'hanno accolto ha dato potere di diventare suoi figli" (Gv 1,12). Ma quale realtà terrena, quale situazione, quale persona può riconoscere e dare all'uomo altrettanta dignità e grandezza?
Nell'episodio delle nozze di Cana la festa nuziale non costituisce solo la cornice esteriore, è essa stessa già un contenuto: con Gesù, specchio che riflette il Padre, si aprono i tempi nuovi, i tempi di una relazione profonda tra Dio e il suo popolo; e, per descrivere l'intensità di questa relazione, l'immagine delle nozze appare, appunto, come la più adeguata.
Dio si era scelto un popolo e con lui ha viaggiato nella storia. Il santuario del tempio di Gerusalemme era l'icona di Dio in mezzo agli Ebrei, il luogo della sua presenza. Celebrare la pasqua, la più importante festa ebraica, implicava il sacrificio di animali nel tempio; quindi necessaria era la presenza di colombe, pecore, buoi nei cortili (quello dei pagani e quello degli ebrei) del tempio, così come necessari erano i cambiavalute, dal momento che lì giungevano "fedeli" da tutte le zone dell'impero romano. In questo contesto il gesto di Gesù di scacciare con la sferza i mercanti sembra dunque sconvolgente, ma esso va interpretato nel senso che è giunto ormai il momento in cui gli animali non servono più, perché è Gesù il vero agnello pasquale, sacrificato per tutti e una volta per tutte.
Il paradosso di Dio è quello di farsi uomo, per avere il pretesto di incontrare gli uomini; è quello di chiedere, per avere l'opportunità di dare: paradigmatico è l'incontro presso il pozzo di Giacobbe, in cui Gesù chiede da bere alla Samaritana, quando in realtà è proprio lei, senza saperlo, ad avere sete. Gesù, nei colloqui che ha via via con Nicodemo, la Samaritana, il funzionario regio, presenta dunque le sue offerte di fede: al di là dei tre interlocutori storici, i destinatari veri di queste proposte, sono i Giudei, il giudaismo eretico scismatico, i pagani.
Gesù è l'acqua, il pane, la via, la vita, la verità.
Quando leggiamo in Gv 8,32 le parole di Gesù: "La verità vi farà liberi", verità non vuole essere un'idea, bensì una persona: e quella persona è lui, il Cristo. È quindi per noi il momento di decidere da che parte stare: accettare Gesù crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1 Cor 1,21) rivela da che parte si sta. Perché essere cristiani vuol dire accogliere non tanto e non solo l'insegnamento di Gesù, quanto Gesù come persona; per credere al Verbo si deve passare attraverso l'uomo-Gesù. Possiamo dire che il Gesù-Dio è dentro la sua umanità, o, che è lo stesso, la sua umanità è dentro la sua divinità.
Lasciamoci dunque incontrare dal Cristo e poi, da discepoli, dimoriamo con lui, stringiamo con lui una relazione. Poiché la funzione di Maria è quella di condurci al Figlio, di farsi tramite tra noi e lui, preghiamola perché la nostra fede cresca e, credendo, possiamo divenire testimoni agli altri.

Maria Grazia Cavalca


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