La scelta di un Patrono è sempre legata al desiderio di un ideale.
Il Patrono non è semplicemente chi ci potrà aiutare, ma
anzitutto chi ci insegna a camminare. Ecco la prima ragione per cui qui
a Casalmaggiore si è scelto santo Stefano. Ogni paese ha un esemplare
davanti agli occhi. Certo, il primo esemplare è Lui, Gesù
Cristo; ma poi noi sentiamo il bisogno di vedere altri che hanno imitato
Gesù Cristo, qualcuno che sia nato nella nostra terra, che ci presenti
l'imitazione di Gesù Cristo più tangibile per noi. Di qui
allora la scelta di Santo Stefano. Ma la scelta del protettore è
legata intimamente anche al nostro modo di vedere l'uomo. Come lo vediamo?
Chi è l'uomo? Perché in base a questo sceglieremo il nostro
esemplare. Uno che è appassionato di sport - lo vediamo nei nostri
ragazzi - ha nella sua stanza l'immagine di un grande sportivo. Un altro
può avere l'immagine di un cantante, perché quello è
il suo ideale di vita. E' determinante, allora, il modo di intendere l'uomo
per capire la scelta del proprio ideale. E per noi credenti? L'uomo viene
al mondo per caso? Si costruisce lui il proprio destino? Chi è
l'uomo? Per noi credenti, sempre l'uomo è un chiamato: un chiamato
da Dio. E proprio ieri noi abbiamo ricordato il Santo Natale. Gesù
Cristo in tutta la sua vita diventa ai nostri occhi la rivelazione di
chi ha voluto essere Dio per noi, e nello stesso tempo la rivelazione
di chi dobbiamo essere noi per Lui. Quindi Gesù Cristo è
l'esemplare di ogni uomo che viene in questo modo, così che il
suo destino è proposto a noi perché diventi anche il nostro
destino. Tutta la vita del Signore è una "chiamata" per
l'uomo: è chiamata nella sofferenza, è chiamata nella gioia,
è chiamata nell'amicizia, è chiamata fino alla voce estrema
nella croce.
Comprendiamo allora come Santo Stefano diventa ai nostri occhi l'esemplare
della risposta alla chiamata di Gesù. E ne così chiara coscienza
la Chiesa primitiva, tanto che ci lascia la memoria della morte di Santo
Stefano con una descrizione molto simile alla morte di Gesù, per
dirci che Santo Stefano volle imitare Gesù. E non lo imitò
semplicemente nella parola, ma anche nella sua vita. Si osservi la conclusione
della prima lettura, quando Santo Stefano si consegna a Dio, come Gesù
sulla croce si consegnò al Padre; e, come Gesù sulla croce,
anche lui perdona ai suoi persecutori, tanto da dire: "Signore, non
imputare loro questo peccato". Santo Stefano è la realizzazione
più profonda dell'uomo, che si definisce "chiamato da Dio".
L'uomo riuscito è la risposta più piena alla chiamata del
Signore. L'uomo non riuscito è colui che non sa rispondere alla
chiamata del Signore: una chiamata che investe tutta la nostra esistenza,
una chiamata che condiziona il nostro futuro, una chiamata che permette
di valorizzare tutte le nostre vicende, se vissuta in una risposta d'amore
nei riguardi di Dio. Ecco l'esemplare che i vostri padri si sono scelti
per voi, per ogni famiglia.
Qual è allora l'ideale per i nostri ragazzi? Poter rispondere adeguatamente
a Gesù Cristo. E dove vediamo il cammino e lo stile di questa risposta?
Nella vita di Gesù Cristo. E Santo Stefano ce ne dà l'esempio.
Da qui un interrogativo che riguarda proprio il nostro tempo, un interrogativo
che viene ripresentato anche nel testo di Matteo che abbiamo ascoltato.
Un'esigenza emerge: salvaguardare la nostra identità. Un discorso
oggi molto diffuso, perché la televisione, i mezzi di comunicazione
sociale, il giornale, la presenza di persone che vengono da varie parti
del mondo stimolano in noi la domanda: noi chi siamo? Come mantenere la
nostra identità, in questa costante situazione di confronto, in
questo pericolo di essere sommersi e dominati? Il cristiano rinuncia alla
propria identità? Se c'è un uomo che afferma la propria
identità, è il martire. L'afferma in modo così forte
da dare la vita. Preferisce la morte alla rinuncia del suo essere più
profondo. Vedete come Santo Stefano ha questa profonda attualità:
mantenere l'identità. Ma il mantenimento dell'identità non
è suggerito da un sentimento di orgoglio, bensì da un sentimento
di amore e di fedeltà a Gesù Cristo: è Lui che tiene
in sé la verità della nostra vita. L'identità per
il cristiano significa fedeltà alla verità della propria
esistenza, significa il non essere disposti a barattare la verità
della propria esistenza per un qualche interesse contingente e provvisorio.
Ma noi troviamo nel mondo tanti altri che sono disposti a morire: sono
martiri, secondo la visione cristiana? Come muore il martire? Ecco il
paradosso del martire: il martire cristiano muore per la fedeltà
a Gesù Cristo. Ma la fedeltà a Gesù Cristo non lo
porta a dare la vita "contro" gli altri, non lo porta ad arrischiare
la vita per uccidere gli altri, non muore per opprimere gli altri. Il
suo gesto, il suo amore all'identità, è la fedeltà
allo stesso amore di Gesù Cristo, il quale, a differenza dei re
della terra - come direbbe Gesù - non conquista uccidendo e possedendo,
ma conquista donando.
Il martire allora dona la vita in fedeltà all'amore di Dio e per
questo dona la vita per la salvezza del suo prossimo, anche di chi lo
uccide. Ecco la qualità specifica del martire cristiano, ecco la
qualità di Santo Stefano: essere se stessi nella fede cristiana
significa non solo essere fedeli, ma saper amare, con un amore che raggiunge
perfino i nostri nemici. In modo significativo il nostro Papa ha voluto
scegliere per la prossima Giornata della Pace il 1 gennaio proprio questo
detto: Vincere il male con il bene. Il martire è uno che si impegna
in questo: vincere il male con il bene, vincere il male con il dono di
sé, perché il male è amare così tanto se stessi
da odiare gli altri, è essere preoccupati così tanto di
sé da opporsi a Dio. Il bene invece è amare così
profondamente Dio da seguirlo anche nella sua paternità universale,
da seguirlo anche nel dono di sé. Pur tornando molto indietro nei
secoli, noi ascoltiamo una lezione che è attualissima ancor oggi:
il richiamo alla fedeltà e insieme il richiamo alla solidarietà
e alla accoglienza. Non si tratta di due termini contraddittori, ma anzi
consequenziali: proprio perché si accoglie Lui, non si può
non accogliere di Gesù Cristo anche l'ampiezza del suo amore.
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