Briciole di sapientia antica
"Conosci te stesso"
 
da "Ritrovarci": anno XXVIII - numero 1 - marzo 2005

di Maria Grazia Cavalca

In Grecia c'è un luogo ricco di fascino e di una bellezza toccante; è Delfi, il luogo più sacro di tutta la Grecia: lì, nella cornice naturale del monte Parnaso, divina sede delle Muse, a ridosso di scoscese pareti di roccia, sorgeva il santuario di Apollo. Secondo quanto ci riferisce lo storico del I secolo d.C. Plutarco, sulla facciata del tempio, ricostruito in pietra alla fine del VI sec. a.C. dopo che era andato distrutto, era incisa -al di sopra dell'ingresso- l'iscrizione: Conosci te stesso (Gnóthi sautón). Come le rovine di quella suggestiva area archeologica perpetuano nel tempo l'incanto di una storia che non muore, così la voce del dio varca i secoli in tutta la sua potenza.
Di questo precetto apollineo Socrate fece il perno della propria vita. Vissuto ad Atene nel V sec. a.C., Socrate fu un filosofo sui generis, nel senso che non lasciò scritto nulla; nel senso che la sua scuola era la strada, il mercato, qualsiasi luogo frequentato dagli uomini; nel senso che non insegnò mai nulla dogmaticamente, ma intratteneva chiunque incontrava, giovane o vecchio, ateniese o straniero, facendo domande e confutando le risposte, discutendo e movendo obiezioni. La sua forza era l'ironia: un'ironia bonaria e indulgente con chi si metteva in gioco per migliorarsi, un'ironia amara e sdegnosa con chi credeva di avere una risposta per tutto. Per questo accadeva spesso che l' "allievo" di turno si sentisse a disagio e si allontanasse confuso, se non addirittura offeso. Provocatoriamente, invertiamo i ruoli e interroghiamo noi Socrate.

Cosa intendeva Apollo col motto: Conosci te stesso, posto all'ingresso del suo santuario?
Il dio voleva dire: "Uomo, ricordati che sei mortale e che, da mortale, tu ti avvicini al dio immortale". In altri termini era un invito rivolto all'uomo a riconoscere la propria limitatezza e la propria finitezza, e quindi a mettersi in rapporto con la divinità, che è sostanzialmente diversa da lui, sulla base di questa precisa consapevolezza di fragilità.

Trasferito nella filosofia, e quindi nella vita dell'uomo, che significato assume il messaggio delfico?
Il significato del messaggio è semplice: conoscersi vuol dire esaminare se stessi. Ma è semplice solo in apparenza, in quanto esaminarci vuol dire metterci in gioco, farci nascere dentro dubbi, incrinare le nostre -spesso false- sicurezze, scoprire lati disturbanti del nostro carattere. Inoltre l'esame del proprio io è possibile solo se strettamente connesso con l'esame degli altri. Quindi l'insegnamento che deriva dal messaggio è una esortazione alla educazione e formazione interiore di sé insieme con gli altri.

Dunque la conoscenza di se stesso finisce per toccare anche l'ambito sociale e politico?
Posto che per l'uomo greco dell'età classica il valore sociale e politico non è mai disgiunto dal valore morale, conoscere se stesso non può significare un ripiegamento su di sé, un chiudersi alla vita della città; al contrario diventa il presupposto di un'apertura efficace alla vita della città: chi conosce se stesso conosce anche i pensieri e i bisogni degli altri cittadini, che si aspettano un ordine giusto nella vita sociale.

In che modo ogni uomo deve sentirsi coinvolto in questo "sguardo all'interno"?
"Una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta": sono parole che Socrate ripete, secondo la testimonianza del suo discepolo Platone, anche durante il processo, che decreterà la sua morte (Platone, Apologia di Socrate 38a). Ma ricerca di cosa? Socrate intende la ricerca di ciò che è bene per l'uomo. Quindi investigare se stesso per conoscersi significa prendersi cura non di ciò che si ha, cioè del proprio corpo e dei beni materiali, ma di ciò che veramente si è, cioè della propria anima. Per questo i giovani devono essere educati a non preoccuparsi di quanto è utile e conveniente, a non farsi schiavi della ricchezza e del guadagno; devono essere fatti desiderosi di "costruirsi", sentendo discutere e discutendo loro stessi i grandi temi che toccano l'uomo: la giustizia e l'ingiustizia, la pietà e l'empietà, l'onestà e l'abiezione, l'arte di governare lo stato e il ruolo dell'uomo politico.

E questo a cosa porta?
Porta al personale miglioramento, di cui poi anche gli altri potranno beneficiare.

Non si può non essere d'accordo sull'importanza del conoscersi. A questo punto però viene spontanea una domanda: quanto tempo deve durare questa ricerca?
La risposta è impegnativa: la ricerca deve durare finché l'uomo avrà vita e forze. Non saranno i capelli bianchi a fargli dire concluso l'esame di sé e nemmeno, eventualmente, l'essere ritenuto saggio.

Questa è la nobile lezione, eredità del mondo classico, che il cristiano, in quanto uomo, deve fare propria, per poi sublimarla alla luce della parola divina. Per il cristiano "conoscersi" significa innanzitutto "riconoscersi" creatura di Dio; riconoscere di essere sia oggetto dell'amore di Dio: "tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato" (Sapienza 11,24), sia progetto da portare a compimento nella più totale libertà: "Egli da principio creò l'uomo e lo lasciò in balía del suo proprio volere. Se vuoi, osserverai i comandamenti; l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere. Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua; là dove vuoi, stenderai la tua mano. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà (Siracide 15,14-17).
Occorre dunque che ci guardiamo dentro, perché, vedendo le nostre debolezze, da un lato alziamo lo sguardo umile e fiducioso al Signore Onnipotente e dall'altro lato guardiamo alle debolezze degli altri con comprensione e indulgenza.

Maria Grazia Cavalca


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