In Grecia c'è un luogo ricco di fascino e di una bellezza toccante;
è Delfi, il luogo più sacro di tutta la Grecia: lì,
nella cornice naturale del monte Parnaso, divina sede delle Muse, a ridosso
di scoscese pareti di roccia, sorgeva il santuario di Apollo. Secondo
quanto ci riferisce lo storico del I secolo d.C. Plutarco, sulla facciata
del tempio, ricostruito in pietra alla fine del VI sec. a.C. dopo che
era andato distrutto, era incisa -al di sopra dell'ingresso- l'iscrizione:
Conosci te stesso (Gnóthi sautón). Come le rovine di quella
suggestiva area archeologica perpetuano nel tempo l'incanto di una storia
che non muore, così la voce del dio varca i secoli in tutta la
sua potenza.
Di questo precetto apollineo Socrate fece il perno della propria vita.
Vissuto ad Atene nel V sec. a.C., Socrate fu un filosofo sui generis,
nel senso che non lasciò scritto nulla; nel senso che la sua scuola
era la strada, il mercato, qualsiasi luogo frequentato dagli uomini; nel
senso che non insegnò mai nulla dogmaticamente, ma intratteneva
chiunque incontrava, giovane o vecchio, ateniese o straniero, facendo
domande e confutando le risposte, discutendo e movendo obiezioni. La sua
forza era l'ironia: un'ironia bonaria e indulgente con chi si metteva
in gioco per migliorarsi, un'ironia amara e sdegnosa con chi credeva di
avere una risposta per tutto. Per questo accadeva spesso che l' "allievo"
di turno si sentisse a disagio e si allontanasse confuso, se non addirittura
offeso. Provocatoriamente, invertiamo i ruoli e interroghiamo noi Socrate.
Cosa intendeva Apollo col motto: Conosci te stesso, posto all'ingresso
del suo santuario?
Il dio voleva dire: "Uomo, ricordati che sei mortale e che, da mortale,
tu ti avvicini al dio immortale". In altri termini era un invito
rivolto all'uomo a riconoscere la propria limitatezza e la propria finitezza,
e quindi a mettersi in rapporto con la divinità, che è sostanzialmente
diversa da lui, sulla base di questa precisa consapevolezza di fragilità.
Trasferito nella filosofia, e quindi nella vita dell'uomo, che significato
assume il messaggio delfico?
Il significato del messaggio è semplice: conoscersi vuol dire esaminare
se stessi. Ma è semplice solo in apparenza, in quanto esaminarci
vuol dire metterci in gioco, farci nascere dentro dubbi, incrinare le
nostre -spesso false- sicurezze, scoprire lati disturbanti del nostro
carattere. Inoltre l'esame del proprio io è possibile solo se strettamente
connesso con l'esame degli altri. Quindi l'insegnamento che deriva dal
messaggio è una esortazione alla educazione e formazione interiore
di sé insieme con gli altri.
Dunque la conoscenza di se stesso finisce per toccare anche l'ambito
sociale e politico?
Posto che per l'uomo greco dell'età classica il valore sociale
e politico non è mai disgiunto dal valore morale, conoscere se
stesso non può significare un ripiegamento su di sé, un
chiudersi alla vita della città; al contrario diventa il presupposto
di un'apertura efficace alla vita della città: chi conosce se stesso
conosce anche i pensieri e i bisogni degli altri cittadini, che si aspettano
un ordine giusto nella vita sociale.
In che modo ogni uomo deve sentirsi coinvolto in questo "sguardo
all'interno"?
"Una vita senza ricerca non vale la pena di essere vissuta":
sono parole che Socrate ripete, secondo la testimonianza del suo discepolo
Platone, anche durante il processo, che decreterà la sua morte
(Platone, Apologia di Socrate 38a). Ma ricerca di cosa? Socrate intende
la ricerca di ciò che è bene per l'uomo. Quindi investigare
se stesso per conoscersi significa prendersi cura non di ciò che
si ha, cioè del proprio corpo e dei beni materiali, ma di ciò
che veramente si è, cioè della propria anima. Per questo
i giovani devono essere educati a non preoccuparsi di quanto è
utile e conveniente, a non farsi schiavi della ricchezza e del guadagno;
devono essere fatti desiderosi di "costruirsi", sentendo discutere
e discutendo loro stessi i grandi temi che toccano l'uomo: la giustizia
e l'ingiustizia, la pietà e l'empietà, l'onestà e
l'abiezione, l'arte di governare lo stato e il ruolo dell'uomo politico.
E questo a cosa porta?
Porta al personale miglioramento, di cui poi anche gli altri potranno
beneficiare.
Non si può non essere d'accordo sull'importanza del conoscersi.
A questo punto però viene spontanea una domanda: quanto tempo deve
durare questa ricerca?
La risposta è impegnativa: la ricerca deve durare finché
l'uomo avrà vita e forze. Non saranno i capelli bianchi a fargli
dire concluso l'esame di sé e nemmeno, eventualmente, l'essere
ritenuto saggio.
Questa è la nobile lezione, eredità del mondo classico,
che il cristiano, in quanto uomo, deve fare propria, per poi sublimarla
alla luce della parola divina. Per il cristiano "conoscersi"
significa innanzitutto "riconoscersi" creatura di Dio; riconoscere
di essere sia oggetto dell'amore di Dio: "tu ami tutte le cose esistenti
e nulla disprezzi di quanto hai creato" (Sapienza 11,24), sia progetto
da portare a compimento nella più totale libertà: "Egli
da principio creò l'uomo e lo lasciò in balía del
suo proprio volere. Se vuoi, osserverai i comandamenti; l'essere fedele
dipenderà dal tuo buonvolere. Egli ti ha posto davanti il fuoco
e l'acqua; là dove vuoi, stenderai la tua mano. Davanti agli uomini
stanno la vita e la morte; a ognuno sarà dato ciò che a
lui piacerà (Siracide 15,14-17).
Occorre dunque che ci guardiamo dentro, perché, vedendo le nostre
debolezze, da un lato alziamo lo sguardo umile e fiducioso al Signore
Onnipotente e dall'altro lato guardiamo alle debolezze degli altri con
comprensione e indulgenza.
Maria Grazia Cavalca
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