L'intervento prende le mosse da un orientamento emerso alla Scuola
per l'infanzia "Zucchi" di Cremona circa la decisione di far scomparire
ogni riferimento alla nascita di Gesù Cristo in occasione del prossimo
Natale. Richiesto di un parere da parte del Settimanale diocesano, don Alberto
ha risposto con questa riflessione, il cui testo è stato pubblicato
su "La Vita Cattolica" di giovedì 25 novembre 2004.
Per affrontare queste casistiche, che in futuro cresceranno sempre più,
bisogna approfondire questioni che stanno a monte, a partire dal pluralismo.
Un pluralismo serio, e non astratto, deve fare spazio a tutte le componenti
, a tutte le espressioni religiose di un popolo, non senza tener conto
del peso storico e culturale di queste rispettive tradizioni religiose.
Non tutte hanno il medesimo peso storico nei diversi Paesi. In Italia,
il peso della religione buddista è indubbiamente minore rispetto
a quello che ha la tradizione cristiano-cattolica. E' un dato di fatto.
Se si parla del Natale in un ambiente scolastico, ad esempio, non si può
non spiegare, non per una questione di fede, ma per una questione storico-culturale,
che si tratta del natale di Gesù Cristo e che persino nella scansione
del tempo il nostro Occidente da secoli conta gli anni a partire da quel
giorno. Mi pare giusto supportare l'informazione e l'istruzione dei nostri
ragazzi anche con questi dati. Occorre rispettare quindi tutte le tradizioni
non senza valutare il peso concreto che dal punto di vista storico-culturale,
oltre che religioso, queste hanno.
Altro punto da non sottovalutare, e sul quale mi sembra opportuno riflettere,
è la laicità dello Stato e anche la laicità della
scuola: è un concetto assolutamente giusto, ma dobbiamo sempre
intenderci bene sulle parole. Una laicizzazione del vivere che prescinda
dalle religioni concretamente vissute nella società civile, qualunque
esse siano, inevitabilmente sconfina nel laicismo, cioè in una
posizione ideologica che fa dello Stato la fonte dell'etica e dei valori.
Il laicismo rischia di diventare una forma di religione di tipo statale
che si basa sull'azzeramento delle fedi religiose di fatto esistenti,
confinandole tutt'al più nell'intimità delle coscienze e
privandole di proponibilità pubblica. E' una laicità che
chiamerei "alla francese". C'è però un altro tipo
di laicità, che definirei "all'italiana", perché
è ben descritta negli Accordi di revisione del Concordato dell'84,
che riconoscono il valore della cultura religiosa e tengono conto che
i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico e culturale
del popolo italiano. Lo Stato, quindi, riconosce che la tradizione cristiano-cattolica
è una componente essenziale del nostro patrimonio storico che,
come tale, non può non essere conosciuta, anche e soprattutto nelle
istituzioni scolastiche, dove si formano i cittadini. Lo Stato è
e deve restare laico, ma non perché prescinde da ogni religione
o perché censura ogni espressione pubblica dell'evento religioso,
qualunque esso sia. Lo Stato è laico proprio quando "riconosce"
e prende atto delle identità religiose e culturali di fatto esistenti
nella società civile. Quindi, se lo Stato non può essere
in alcun modo religioso, nel senso che non può far propria nessuna
confessione religiosa, questo non implica che esso debba essere antireligioso
o ateo, perché in tal caso è lo Stato stesso che, imponendo
un suo credo "religioso", che è il fondamentalismo laicista,
finisce per ostacolare la libertà religiosa dei cittadini. Se la
società civile presenta una gamma concreta di religioni, lo Stato
non può che prenderne atto.
Da ultimo, la questione del dialogo e dell'identità. Dobbiamo certro
essere tolleranti e rispettosi, a partire dalle scuole, nei confronti
di coloro che non sono cristiani. Ci mancherebbe! Ma attenzione: perchè
la tolleranza di minoranze che professano una religione diversa dalla
nostra non si tramuti in una intolleranza nei confronti della nostra tradizione
religiosa. Il dialogo deve tener conto delle minoranze, ma queste non
possono imporre né ad altre minoranze, né, tanto meno, ad
una maggioranza di occultare la propria identità religiosa. Questo
vale non solo nei confronti del cristianesimo. Forse che non posso parlare
del buddismo in una classe perché c'è un islamico? Non mi
pare corretto, come non è corretto che, per il medesimo motivo,
non si possa parlare del cristianesimo. Mi sembra che la soluzione di
togliere e di azzerare (perfino i segni e i simboli religiosi), in nome
di una falsa concezione della laicità, sia la peggiore. Non è
possibile un dialogo autentico senza il rispetto dell'identità
altrui, ma anche senza il rispetto e la stima della propria. Soltanto
nella consapevolezza delle due identità sia può davvero
dialogare, sia evidenziando gli elementi comuni, che uniscono, è
ovvio, ma senza sottacere anche le eventuali diversità, da rispettare
e da guardare con una sorta di "empatia intellettuale", quanto
meno. Il primo atteggiamento nei confronti di chi professa un'altra religione
non è di criticare, ma è quello di capire, di comprendere.
Mi si chiede se questo atteggiamento "anticattolico" diffuso
a vari livelli non sia tanto una strategia pianificata, quanto una sorta
di comodo disinteresse, di menefreghismo generalizzato. Può darsi
che anche questo aspetto culturale incida a suo modo
Siamo comunque
all'azzeramento delle nostre radici, complici anche tanti cristiani dell'Occidente
che rischiano di mettere tra parentesi la propria identità religiosa,
a volte perfino di provare vergogna a dichiararsi cristiani in pubblico.
Allora, come dice il cardinal Ratzinger, significa che l'Occidente è
arrivato ad odiare se stesso, rifiutando una parte importante della propria
storia. Non riconoscere quello che si è o quello che si è
stati è un errore madornale. Accogliere l'altro non significa essere
nudi, privi di valori e di identità. Credo che questa sia l'idea
culturalmente peggiore. Anche perché quale garanzia diamo di rispettare
l'identità religiosa altrui, se non abbiamo stima e rispetto della
nostra?
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