(Ritrovarci, dicembre 2004)
"Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo, sulle tue labbra
è diffusa la grazia, ti ha benedetto Dio per sempre": così
si esprime il salmo 44, insieme all'antifona dell'Ufficio di letture nel
giorno di Natale. Il Figlio di Dio, che diventa anche il figlio di Maria
e di Giuseppe, è "il più bello tra i figli dell'uomo".
Nel linguaggio corrente questa espressione potrebbe suonare solo in senso
estetico e perfino ambiguo. Ma quel che la Sacra Scrittura e la tradizione
della Chiesa vogliono dire è ben altro e, in certo modo, anche
tutt'altro.
A Natale infatti noi contempliamo, in Cristo Verbo incarnato, la realizzazione
originale e originaria del progetto di Dio sull'uomo. Noi contempliamo
quel che Dio aveva intenzione di creare o aveva creato nell'Adamo prima
della caduta originale: un uomo perfetto, degno di questo nome, capace
di amare senza ambiguità e di conoscere senza possessività,
dotato di una dignità altissima, quella di poter essere interpellato
da Dio e di poter rispondere a Dio. Insomma, l'uomo viene costituito come
l'immagine terrena più alta e la somiglianza terrena più
adeguata - possibile ad una creatura - di quel che è Dio nell'intimo
della sua natura. Sappiamo che cosa poi è successo: non sappiamo
tanto il come (la Bibbia, nei suoi primi capitoli, ci narra, in forma
di racconto, quel che in realtà è la dinamica profonda del
rapporto fra Dio e l'uomo); sappiamo però che l'uomo è stato
ingannato dal male, sedotto dagli idoli, attratto dalle dominanti negative
e narcisistiche del vivere. E sono cominciati, fin dall'inizio della storia
umana, possiamo dire da sempre, i tanti guai, che hanno sviato e deturpato,
senza riuscire ad annullarla del tutto, l'immagine originaria, il soffio
vitale deposto da Dio nella sua creatura preferita.
Dio non si è mai rassegnato alla deriva dell'uomo. E l'uomo non
si è mai rassegnato alla sua lontananza da Dio: l'immagine di Dio
se la porta dentro, da sempre, come nostalgia, come rimpianto, come desiderio,
come sospiro, come sogno
Il Natale di Gesù è il punto di incontro di questi due itinerari:
Dio ha deciso, nella sua libera benevolenza, di prendere dimora tra noi
e di non abbandonarci più, qualunque cosa succeda! E l'uomo scopre
in Gesù il realizzarsi del proprio sogno: ritornare ad essere un
figlio di Dio, toccare con mano che la possibilità di ridiventare
"uomo perfetto" (lo ha detto Gesù: "Siate perfetti,
come è perfetto il Padre vostro celeste", Mt 5,48) non è
una delle tante utopie che costellano, illudono e deludono il cammino
dell'umanità, ma è diventato realtà in un figlio
della nostra terra, nato a Betlemme tanti anni fa e confessato e testimoniato
come Figlio di Dio, risorto da morte: una realtà che si è
continuamente inverata, lungo i 20 secoli che ci separano dalla nascita
e dalla Pasqua di Gesù, nella vicenda esistenziale di tanti uomini
e di tante donne, che si sono "conformati" a Gesù Cristo,
ossia hanno dato alla loro vita quella "forma" che è
apparsa nella vita stessa di Gesù, abbandonandosi nella fede a
Lui e traendo da Lui la forza e il coraggio di compiere le sue scelte
di vita.
Gesù è l'uomo perfetto, che ha saputo vivere l' esistenza
umana, anche con il suo carico di debolezza e di mortalità, nella
piena fedeltà al progetto di Dio, ponendo nell'obbedienza totale
al Padre il suo servizio più vero agli uomini e alle donne di tutti
i tempi. Un bel passo del Concilio Vaticano II afferma: "Solamente
nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo.
Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè
di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando
il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo
e gli fa nota la sua altissima vocazione. Egli è l'immagine dell'invisibile
Dio. Egli è l'uomo perfetto, che ha restituito ai figli d'Adamo
la somiglianza con Dio, resa deforme già subito agli inizi a causa
del peccato. Poiché in lui la natura umana è stata assunta,
senza per questo venire annientata, per ciò stesso essa è
stata anche in noi innalzata a una dignità sublime" (Gaudium
et spes, n. 22).
Certo, viviamo in un Occidente distratto, forse smemorato, sazio e stanco.
Le stesse feste natalizie sono state ormai catturate dalla logica pagana
di un consumismo disumanizzante, che mostra ormai i suoi segni di depressione
nel volto e nel cuore delle attuali generazioni, che non sanno più
il motivo, la radice, l'identità, la bellezza di questa grande
festa cristiana. Viviamo in un contesto sociale e culturale che fa sempre
più fatica a riconoscere un posto pubblico (nelle scuole, negli
ospedali, nelle piazze, negli areopaghi della comunicazione
) al
Signore Gesù. Verrebbe da dire, provocatoriamente, che se al cristianesimo
viene sempre meno riconosciuta, in nome di una falsa concezione della
laicità dello Stato, la legittimità ad una sua proponibilità
pubblica - lo si mette al confino, ossia lo si neutralizza nello spazio
interiore e individuale delle coscienze - allora si abbia il coraggio
di andare, coerentemente, fino in fondo. Il Natale - se non è quello
di Gesù - torni ad essere il 25 dicembre, ossia un giorno come
gli altri: si smetta di far festa, si vada a scuola e si vada al lavoro
come tutti gli altri giorni, perbacco! Si abbia anche il coraggio di smettere
di contare gli anni a partire dalla nascita di Cristo. Si contino gli
anni, che so?, a partire dalla fondazione di Roma, o dalla scoperta dell'America,
o dalla rivoluzione francese, o dalla nascita di Napoleone, o dalla caduta
dell'impero turco-ottomano
Non c'è che l'imbarazzo della
scelta! Basta chiedere parere a qualche ufficio di Bruxelles
Ai cristiani e a tutti coloro per i quali la visione cristiana della vita
appare ancora "bella", significativa, seduttiva, impareggiabile
e ineguagliabile, rivolgo l'invito: il Natale di Gesù ci aiuti
a riorientare lo sguardo del cuore, a riaccendere la luce dell' intelligenza,
a rinnovare le nostre energie di volontà, di libertà e di
responsabilità, riconsiderando e riaprendo la strada della nostra
vita, senza paure, al Signore Gesù.
A tutti rinnovo il mio augurio fraterno, insieme a quello di don Guido
e di don Davide, di incontrare nel santo viaggio della vita il Bambino
di Betlemme, morto e risorto, "il più bello tra i figli dell'uomo".
don Alberto
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