Perché l'oratorio non si renda complice della delega educativa
"L'oratorio e l'articolo 30"
L'articolo 30 della Costituzione Italiana dice che "È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio". E' una idea cara alla Chiesa. Quali le conseguenza per un Oratorio?
da "Ritrovarci": anno XXVII - numero 3 - giugno 2004

di don Davide

Il compito di educare i figli tocca in primo luogo ai genitori. Non solo ai genitori, ma principalmente a loro. E' questa una convinzione della Chiesa, da sempre attenta ai temi dell'educazione, che trova riscontro anche nella Costituzione italiana e che viene ribadita ogni volta che si celebra un matrimonio concordatario citando il Codice Civile.
Più volte, nei numerosi incontri promossi dalla parrocchia in questo anno pastorale, si è tornati su questo fondamentale concetto.
In riferimento all'oratorio, dire "la priorità educativa è e resta dei genitori" significa andare anche al di la della consueta tiratina d'orecchi agli adulti che periodicamente recita: "l'Oratorio non è un parcheggio".
Non si tratta più solo, infatti, di sgridare i genitori colpevolizzandoli di delegare o di aver delegato un loro diritto-dovere; si tratta, e la cosa è più seria, di puntare il dito sull'oratorio stesso che da anni spende energia per formare alla umanità e alla fede le giovani generazioni senza incidere più di tanto sul mondo genitoriale adulto.
Ad esempio. Quando i bambini iniziano il percorso dell'iniziazione cristiana, i genitori vengono convocati più volte nell'anno della celebrazione dei sacramenti e sono costantemente provocati ad un loro maggiore inserimento nella vita parrocchiale e oratoriana (S. Messa domenicale, catechesi degli adulti, incontri di Agorà, rosario per il mese di maggio…). La questione non è che i risultati non rispondano all'insistenza degli inviti (la fede non si impone, si propone). La questione è che il catechista, la parrocchia, l'oratorio sono sostitutivi della famiglia in ordine al percorso di formazione alla fede. Ed è come se la parrocchia, dopo aver detto che la titolarità dell'educazione è della famiglia, poi, nei fatti, si assumesse la titolarità dell'educazione alla fede. Si predica una cosa e poi si dà corso ad un'altra. E ai genitori tutto sommato sta bene così.
Gli esempi possono continuare: come è pensabile educare i ragazzi in un oratorio dove i genitori presenti si contano sulla punta delle dita? O come è possibile che un ragazzo frequenti l'oratorio e che l'educatore non conosca i genitori se non per un semplice saluto? Come è possibile accettare l'annuale farsa che i ragazzi, fatta la cresima, diradino la loro frequenza alla catechesi fino a scomparire?
Non si tratta solo di richiamare i genitori a scelte cristiane più conseguenti. Si tratta anche di richiamare la stessa comunità cristiana a non incentivare, mediante una sostanziale sostituzione di ruolo, il furto della titolarità dell'educazione.
Una riflessione merita anche l'oratorio nella sua versione feriale, la quale accoglie meglio che può ragazzi non interessati ad alcun cammino culturale o di fede. Un'opera preziosa di contenimento e ammortizzamento sociale non ben riconosciuta a livello politico e amministrativo, ma quanto mai efficace. Non sarà l'ora che i preti restituiscano ai genitori anche il primato nella scelta delle modalità di accostamento di questi "lontani": essi non frequentano in conseguenza di una scelta della famiglia. Però ci sono (eccome, e si fanno sentire). Se è vero che la titolarità è della famiglia, se è vero il motto family for family, se è vero che uno dei candidati sindaci intende "sostenere la famiglia come base fondamentale della nostra società", non è che tocca alle famiglie vicine farsi carico dei lontani invece di delegare all'operatore, al don Mazzi di turno?
Io penso di sì. In fondo si tratta di vivere l'istituto del padronato tra una famiglia e l'altra. Family for family, by the way, appunto!

Don Davide


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