Il compito di educare i figli tocca in primo luogo ai genitori.
Non solo ai genitori, ma principalmente a loro. E' questa una convinzione della
Chiesa, da sempre attenta ai temi dell'educazione, che trova riscontro anche nella
Costituzione italiana e che viene ribadita ogni volta che si celebra un matrimonio
concordatario citando il Codice Civile. Più volte, nei numerosi incontri
promossi dalla parrocchia in questo anno pastorale, si è tornati su questo
fondamentale concetto. In riferimento all'oratorio, dire "la priorità
educativa è e resta dei genitori" significa andare anche al di la
della consueta tiratina d'orecchi agli adulti che periodicamente recita: "l'Oratorio
non è un parcheggio". Non si tratta più solo, infatti, di
sgridare i genitori colpevolizzandoli di delegare o di aver delegato un loro diritto-dovere;
si tratta, e la cosa è più seria, di puntare il dito sull'oratorio
stesso che da anni spende energia per formare alla umanità e alla fede
le giovani generazioni senza incidere più di tanto sul mondo genitoriale
adulto. Ad esempio. Quando i bambini iniziano il percorso dell'iniziazione
cristiana, i genitori vengono convocati più volte nell'anno della celebrazione
dei sacramenti e sono costantemente provocati ad un loro maggiore inserimento
nella vita parrocchiale e oratoriana (S. Messa domenicale, catechesi degli adulti,
incontri di Agorà, rosario per il mese di maggio
). La questione non
è che i risultati non rispondano all'insistenza degli inviti (la fede non
si impone, si propone). La questione è che il catechista, la parrocchia,
l'oratorio sono sostitutivi della famiglia in ordine al percorso di formazione
alla fede. Ed è come se la parrocchia, dopo aver detto che la titolarità
dell'educazione è della famiglia, poi, nei fatti, si assumesse la titolarità
dell'educazione alla fede. Si predica una cosa e poi si dà corso ad un'altra.
E ai genitori tutto sommato sta bene così. Gli esempi possono continuare:
come è pensabile educare i ragazzi in un oratorio dove i genitori presenti
si contano sulla punta delle dita? O come è possibile che un ragazzo frequenti
l'oratorio e che l'educatore non conosca i genitori se non per un semplice saluto?
Come è possibile accettare l'annuale farsa che i ragazzi, fatta la cresima,
diradino la loro frequenza alla catechesi fino a scomparire? Non si tratta
solo di richiamare i genitori a scelte cristiane più conseguenti. Si tratta
anche di richiamare la stessa comunità cristiana a non incentivare, mediante
una sostanziale sostituzione di ruolo, il furto della titolarità dell'educazione. Una
riflessione merita anche l'oratorio nella sua versione feriale, la quale accoglie
meglio che può ragazzi non interessati ad alcun cammino culturale o di
fede. Un'opera preziosa di contenimento e ammortizzamento sociale non ben riconosciuta
a livello politico e amministrativo, ma quanto mai efficace. Non sarà l'ora
che i preti restituiscano ai genitori anche il primato nella scelta delle modalità
di accostamento di questi "lontani": essi non frequentano in conseguenza
di una scelta della famiglia. Però ci sono (eccome, e si fanno sentire).
Se è vero che la titolarità è della famiglia, se è
vero il motto family for family, se è vero che uno dei candidati sindaci
intende "sostenere la famiglia come base fondamentale della nostra società",
non è che tocca alle famiglie vicine farsi carico dei lontani invece di
delegare all'operatore, al don Mazzi di turno? Io penso di sì. In fondo
si tratta di vivere l'istituto del padronato tra una famiglia e l'altra. Family
for family, by the way, appunto! Don Davide |