"Senza Dio
troppi inferni in terra"
Credenti e non credenti: un intervento del cardinale Ratzinger a Parigi in preparazione alla Pasqua. "I valori non possono sostituire la verità e rimpiazzare Dio". Della conferenza, pubblicata dal quotidiano francese "La Croix", riportiamo i passi più significativi.
da "Ritrovarci": anno XXVII - numero 2 - aprile 2004

di Joseph Ratzinger

Ho letto recentemente su una rivista le affermazioni di un intellettuale tedesco che riguardo alla "questione Dio" si professava agnostico aggiungendo che di Dio non si può né provare né escludere totalmente l'esistenza, sicché il problema rimane aperto. Per contro, costui si diceva fermamente convinto dell'esistenza dell'inferno: gli bastava accendere un televisore per constatarlo senza ombra di dubbio.
Se la prima parte di questa affermazione corrisponde in pieno al modo del sentire moderno, la seconda sembra bizzarra, perfino incomprensibile, almeno ad un primo esame. Infatti, come credere all'inferno se Dio non esiste? Considerate più attentamente, quelle parole incarnano però una logica. L'inferno- questa è la sua definizione - è vivere nell'assenza di Dio. Dove Dio non c'è e non penetra alcun barlume della sua presenza, ecco l'inferno. La prova, forse, non è data tanto dallo spettacolo quotidiano della televisione, ma piuttosto da uno sguardo sul secolo trascorso che ci ha lasciato parole come Auschwitz o arcipelago Gulag, e nomi come Hitler, Stalin , Pol Pot. (…) Questi inferni furono fabbricati per preparare un mondo futuro di uomini bastanti a se stessi, convinti di non aver più bisogno di Dio. (…) Dove non c'è Dio, spunta l'inferno, e l'inferno persiste semplicemente attraverso l'assenza di Dio. Ci si può anche arrivare attraverso forme sottili, quasi sempre affermando di volere il bene degli uomini. Quando oggi si fa commercio di organi umani, quando si fabbricano feti per disporre di organi di riserva o per fare avanzare la ricerca e la prevenzione medica, molti considerano come implicito il contenuto umano di queste pratiche, ma il disprezzo dell'uomo che è sottinteso - quando si usa e si abusa dell'uomo - conduce, lo si voglia a no, alla discesa agli inferi. Questo non vuol che non ci possano essere e che non ci siano degli atei dotati di grande senso etico, ma mi sento comunque di affermare che tale etica si basa su quella luce venuta un giorno dal Sinai e che continua a brillare, intendo dire la luce di Dio. (…) Però Nietzsche ha avuto ragione a sottolineare che quando la notizia della morte di Dio sarà conosciuta ovunque, quando la sua luce si sarà definitivamente spenta, quel momento non potrà che essere terrificante.
Perché dire questo nell'ambito di una riflessione su ciò che noi cristiani dobbiamo fare oggi, nel momento storico che viviamo all'inizio del terzo millennio? Perché, appunto, il nostro compito di cristiani ne risulti illuminato. E' compito ad un tempo semplice ed immenso: testimoniare Dio, aprire finestre sbarrate e velate così che la sua luce possa brillare tra noi, così che noi possiamo lasciare spazio alla sua presenza. Rovesciamo le cose: dove c'è Dio, c'è il cielo; pur al prezzo delle miserie della nostra esistenza, la vita si illumina.
Il cristianesimo non è una filosofia complicata, invecchiata con il trascorrere del tempo, non è un ammasso incommensurabile di dogmi e precetti; la fede cristiana consiste nell'essere toccati da Dio e testimoniare di lui. (…) Allora possiamo dire: la Chiesa c'è perché Dio, il Dio vivente, sia annunciato, perché l'uomo possa imparare a vivere con Dio, sotto i suoi occhi e in comunione con lui. La Chiesa c'è per scongiurare l'avanzata dell'inferno sulla terra e per rendere quest'ultima abitabile alla luce di Dio. Grazie a lui e solamente grazie a lui essa sarà umana.
Non fosse altro che per tale ragione deve continuare ad esistere, in quanto un suo venir meno trascinerebbe l'umanità nel vortice delle tenebre, dell'oscurità, perfino della distruzione di ciò che fa l'uomo. (…) Perciò la Chiesa deve misurarsi con se stessa ed essere misurata secondo la maniera in cui vivono in lei la presenza di Dio, la sua conoscenza e l'accettazione della sua volontà. Una Chiesa che non fosse che un apparato che si autogoverna, sarebbe una caricatura di Chiesa. Tanto più ruoterà attorno a se stessa e non avrà occhio che per gli obiettivi da perseguire per la sua sopravvivenza, essa diventerà superflua e deperirà, anche se disponesse di grandi mezzi e fosse oggetto di un abile "management". Se il primato di Dio non è vivente in lei, essa non può vivere e fruttificare.
(…) Il tema dei valori prende oggi il posto del Dio scomparso ed è nel contempo la formula unificatrice che, al di là di tutte le differenze, potrebbe condurre ad una coesione universale degli uomini di buona volontà (e chi non ci starebbe?) e anche portare ad un mondo davvero migliore. Sembra seducente. Chi non si sentirebbe obbligato a perseguire l'obiettivo della pace sulla terra? Chi non avrebbe bisogno di lottare per il trionfo della giustizia e perché le ineguaglianze stridenti tra le classi, le razze e i continenti finalmente scompaiano? E chi non vedrebbe la necessità di difendere il creato contro le distruzioni moderne? Dio sarebbe diventato superfluo? Questi tre valori possono soppiantarlo? Ma come facciamo a sapere quello che è utile per la pace? Da dove ricaviamo il metro della giustizia e la distinzione tra il bene e il male? E come discerniamo il momento in cui la tecnica risponde alle esigenze del creato da quello in cui essa procura la sua distruzione? Chi si àncora a questi valori non può nascondersi che essi diventano presto il teatro di ideologie e non resistono all'assenza di una criteriologia coerente e corrispondente alla realtà stessa della creazione e dell'uomo. I valori non possono sostituire la verità, non possono rimpiazzare Dio, di cui sono la pallida figura e senza la luce del quale sono mal definiti.
Si torna daccapo: senza Dio il mondo non può illuminarsi; la Chiesa serve il mondo facendo in modo che Dio viva in essa, trasparente per lui, pronta a portarlo all'umanità. Così siamo arrivati ad un problema di ordine pratico: come fare? Come possiamo riconoscere Dio e comunicarlo agli altri? (…) La missione più urgente che io vedo per la Chiesa nel nostro secolo è quella di lottare per la nuova presenza dell'intelligenza della fede. La fede non deve ripiegarsi su se stessa, nel suo guscio, sulla base di una scelta non più giustificata. Non deve rattrappirsi in una sorta di sistema di simboli in cui rinchiudersi, il che rappresenterebbe alla lunga una scelta accidentale tra altre visioni della vita e del mondo. La fede ha bisogno del largo spazio della ragione, ha bisogno di apertura, di professare il Dio creatore. Senza tale professione di fede, la stessa cristologia si inaridirebbe e non parlerebbe di Dio che indirettamente, riferendosi ad una esperienza religiosa particolare per forza di cose limitata. Una esperienza tra le altre.
Un grande compito della Chiesa è il richiamo alla ragione, soprattutto oggi. Dove la fede e la ragione si dividono, entrambe soffrono. La ragione diventa fredda e perde i suoi criteri, si fa crudele poiché non ha più nulla sopra di sé. Allora l'intelletto limitato dell'uomo decide da solo come continuare la creazione, decide da solo chi abbia il diritto di vivere e chi debba essere escluso dalla tavola della vita: a quel punto la strada dell'inferno è aperta.
Ma anche la fede può diventare malata senza un vasto concorso della ragione, e i guasti gravi che possono derivare da una religiosità malata li abbiamo sufficientemente sotto gli occhi. Non per nulla nell'Apocalisse la religione malata che ha rotto con la grandezza della fede nel creato è presentata come il vero potere dell'Anticristo.

Joseph Ratzinger


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