Ogni anno la Pasqua ci annuncia il cuore del Cristianesimo: Gesù,
figlio di Giuseppe e di Maria, Figlio di Dio fattosi carne, è veramente
risorto, ossia non è rimasto prigioniero delle fauci della morte
e del buio di un sepolcro, ma ha sconfitto la morte per sempre. Non è
soltanto la sua anima o il suo spirito che è tornato a Dio: Gesù
ha fatto ritorno a Dio con tutta la sua umanità, ossia con la sua
corporeità e con tutto il bagaglio della sua esperienza storica.
Nulla, della vita di Gesù, è andato perduto. Il Risorto
siede alla destra del Padre non come puro spirito, bensì come uomo
che ha raggiunto la sua pienezza di gloria. I testi pasquali ci annunciano
che Cristo è risorto con i segni della sua passione che rimangono
per sempre: le mani forate e il costato aperto non solo costituiscono
i segni del suo "passaggio" nel nostro mondo, ma sono anche
la garanzia che nulla, della esperienza che viviamo in questo mondo, va
perduto. Non solo l'eterno è entrato nel tempo, ma il tempo stesso
ormai, a causa di Cristo, è già sfociato nell'eterno. E'
la nostra vita di tutti i giorni - e non solo la vita del mondo che verrà
- che è già abitata dalla luce e dalla vita di Dio.
Questo evento getta luce sul nostro modo di intendere la fede cristiana.
Si parla, di questi tempi, di una insidia per il cattolicesimo di oggi,
rappresentata dallo spiritualismo. Si tratta di un'insidia reale: pericolosa
perché sottile e quasi impercettibile, irriconoscibile nella vita
delle nostre comunità, eppure così presente.
Lo spiritualismo è sempre stato un'insidia per il Cristianesimo,
che fin dalle origini ha dovuto lottare contro le tendenze gnostiche,
fondamentalmente dualistiche, le quali oppongono la "verità"
dello spirito alla "menzogna" della materia. E' una tentazione
seducente, perché sembra sposare l'idea tutta "buona"
che il bene stia nell'invisibile e il male nel visibile, che il bello
stia nel cielo e il brutto sulla terra, che il vero stia nello spirituale
e il falso nel materiale. Anche i cristiani della primitiva Chiesa di
Corinto avevano sollevato alcune obiezioni contro la risurrezione di Cristo,
che derivavano proprio dalla antropologia greca: la quale attribuiva al
corpo una funzione negativa nell'espressione della persona, a tutto favore
di una spiritualizzazione dell'umano, di uno svuotamento della corporeità,
che Cristo invece ha assunto fino in fondo portandola alla gloria del
cielo.
Da questo rischio non siamo immuni nemmeno noi, cristiani di oggi: pur
vivendo in una cultura che sembra dare la prevalenza a ciò che
è materiale, in realtà l'insidia dello spiritualismo non
ci è estranea e condiziona la nostra stessa esperienza di fede.
Ad esempio, in nome del primato della coscienza - che costituisce uno
dei dogmi del pensiero contemporaneo - l'esperienza cristiana sarebbe
tutta da vivere nel sacrario del cuore, nell'intimità dei sentimenti,
nella fede soggettiva, nelle scelte private che mai possono pretendere
di assumere una forma pubblica e comunitaria. E' il Cristianesimo ridotto
ad esperienza mistica, che si risolve nel mondo interiore dell'anima,
senza alcun riferimento - né di fatto, né di diritto - alle
dimensioni ordinarie della vita, quali la famiglia, il lavoro e la professione,
i rapporti sociali e politici. La giusta distinzione fra fede e politica,
l'affermazione sulla autonomia delle realtà terrene - insegnata
anche dal Vaticano II, in termini ben precisi, ma non sempre conosciuti
da tutti - anche a fronte della nota posizione islamica di identità
pratica e teorica fra religione e società, fra fede e politica,
si trasformano in indifferenza reciproca, con la netta delimitazione dell'esperienza
cristiana nei confini della sfera intimistico-spirituale. La fede cristiana
appare, in tal modo, incapace di gettare luce sulla universalità
e sulla globalità dell' esperienza umana e viene inevitabilmente
valutata solo in funzione di un "piacere spirituale", che rimane
comunque nel chiuso della interiorità e quindi depauperato della
sua destinazione a tutti.
Questa insidia si può annidare anche nelle forme del culto, della
preghiera, della liturgia, della devozione, che sono certo momenti fondanti
della vita cristiana. Con il rischio, tuttavia, di aspirare ad una soddisfazione
di tipo estetizzante, che non cambia la qualità della vita e dei
comportamenti pratici, lasciati totalmente in balia della cultura e degli
ordinamenti della città secolare. In questo caso il fenomeno religioso,
compreso quello cristiano, è sequestrato dall'esoterismo, ossia
da una destinazione di esso per i soli iniziati, per i pochi intimi, oppure
per alcuni momenti privilegiati del nostro vivere, ma non per tutte le
dimensioni e le circostanze della vita. Ancora una volta il Cristianesimo
viene privato della sua proponibilità a tutti, perde il suo carattere
universale, riguardante l'esperienza umana come tale: accontenta e soddisfa
solo le "zone spirituali" della vita. E così ogni interpretazione
morale della verità cristiana viene sbrigativamente e negativamente
qualificata come moralismo, e ogni testimonianza pubblica della fede cristiana
come integrismo e fondamentalismo, indegni di cittadinanza in una società
"laica". Si riduce, così, la verità del Cristianesimo
a fruizione anestetizzante nei confronti dei dolori, degli impegni e delle
responsabilità della vita ordinaria. L'esperienza di fede si configura
soltanto come sogno, rifugio, sollievo, droga di fronte al disincanto
della realtà, vissuta sempre più come esperienza priva di
senso ultimo.
La Pasqua, ossia la risurrezione di Gesù da morte, impedisce ogni
tentativo di disincarnare l'esperienza cristiana, di collocarla fuori
dalla realtà, di ridurla - idealisticamente - a puro evento spirituale,
di ammansirla e di assumerla come pura consolazione del cuore, svuotandone
la portata fondamentale: che è di essere evento di salvezza per
e nella nostra carne e nel nostro sangue, non a prescindere dalla nostra
carne e dal nostro sangue, dentro - e non semplicemente accanto o, peggio,
oltre - le condizioni ordinarie della nostra vita, dentro lo scenario
della realtà sociale e storica in cui viviamo. Se è evento
di salvezza, il Cristianesimo non è riducibile a pura esperienza
dell'anima, ma entra in relazione - anche conflittuale - con le dominanti
e con le potenze che governano il mondo, e che pretendono di possedere
le chiavi del senso ultimo dell'esistere umano.
Sì, "surrexit Dominus vere!": il Signore Gesù
è veramente risorto, con tutta l'intensità e anche la drammaticità
della sua esperienza storica, con tutta la concretezza della sua e nostra
condizione umana. L'evento cristiano è questo. Altrimenti è
una cosuccia per anime belle.
Buona Pasqua a tutti!
Don Alberto
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