"Santo Stefano, vero testimone del Signore"
Il nostro Vescovo, monsignor Dante Lafranconi, ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica nella festa liturgica del nostro patrono. Ne pubblichiamo l'omelia tenuta nel Duomo di Santo Stefano lo scorso 26 dicembre 2003.
da "Ritrovarci": anno XXVII - numero 1 - febbraio 2004

Mons. Dante Lafranconi

Quando celebriamo la festa di un santo, soprattutto se è il patrono di una comunità cristiana, noi vogliamo esprimere un sentimento di fede e anche un punto di riferimento in cui, in qualche modo, ritroviamo noi stessi, riconosciamo il senso della nostra fede, il significato della nostra adesione al Signore Gesù. Così è certamente la festa di Santo Stefano. Noi guardiamo a lui per dire: ci dai un insegnamento, ci offri un esempio, costituisci un modello di quello che anche noi umilmente, ma anche con convinzione vogliamo essere, nel seguire il Signore Gesù, nell'essere suoi discepoli.
Guardiamo a Santo Stefano con questa prospettiva: come colui che si offre a noi, alla nostra ammirazione, alla nostra venerazione, perché è stato un modello esemplare nel vivere la sua fede e ci rivolgiamo a lui anche per chiedere la sua intercessione, perché a nostra volta noi pure vogliamo essere dei cristiani che seguono con lealtà e con convinzione il Maestro.
Sotto questo primo profilo, mi pare che sia significativo già l'accostamento di queste due feste: il Natale ieri, e Santo Stefano oggi. Significativo perché? Perché vuol dire che il Signore Gesù, che ieri abbiamo contemplato nel mistero della sua incarnazione, ci offre una proposta di vita che è radicale. E oggi la figura di santo Stefano martire ci dice che questa radicalità è da vivere in una pienezza di donazione, di adesione al Signore Gesù, dovesse arrivare perfino alla morte, al martirio. Ecco perché c'è una sintonia stretta fra le due feste, di ieri e di oggi. Ieri il Signore Gesù ci si mostrava come colui che viene in questo mondo a condividere la nostra storia senza mezze misure. Potremmo dire, se il linguaggio non fosse irrispettoso, che si è buttato tutto dalla nostra parte: ha sperimentato che cosa significa nascere e che cosa significa morire, che cosa significano le amicizie e che cosa significano le ostilità, ha coltivato un affetto profondo nell'ambito della sua famiglia, nell'ambito dei suoi discepoli, ed ha sperimentato anche l'avversione più cruda e più sciocca dei suoi avversari. Si è buttato completamente dalla nostra parte. Ed è così che noi, discepoli del Signore Gesù, vorremmo dire con la nostra vita: che anche noi ci buttiamo completamente dalla sua parte. Non facciamo sconti sulla sua Parola, non annacquiamo il suo Vangelo, non riduciamo la sua esemplarità a quegli ambiti o a quelle situazioni o a quelle condizioni che ci tornano più accomodanti.
Così il mistero del Natale da una parte, il martirio di Santo Stefano dall'altra convergono per dirci: Stefano è uno che ha vissuto il mistero del Natale, accettando di essere completamente dalla parte del Signore Gesù e insieme al Signore Gesù dice a noi oggi: non abbiate paura, buttatevi anche voi con la stessa convinzione, con la stessa disponibilità, con lo stesso entusiasmo, con la stessa fermezza, a seguire il Signore Gesù.
C'è anche un altro significato. Se avete fatto attenzione, quando gli Atti degli apostoli, nel brano che è stato letto, parlano di Stefano, danno l'impressione di ricalcare l'intero Vangelo. Si dice infatti all'inizio: "Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e miracoli tra il popolo": come faceva Gesù, che operava grandi miracoli e prodigi tra il popolo. E poi si dice che "sono insorti contro di lui", ossia hanno messo in piedi una specie di complotto, persone che erano provenienti da culture diverse, che si sono messe a disputare con Stefano, ma non riuscivano a metterlo nel sacco. Quante volte anche il Vangelo dice la stessa cosa di Gesù: i suoi avversari, pur avendo concezioni e idee diverse, si erano uniti per tentare di prendere in castagna il Signore, ma non ci riuscivano. E poi si dice che gli avversari di Stefano hanno dovuto cercare delle testimonianze false per poter trovare un pretesto per condannarlo. Esattamente come è stato fatto nei confronti del Signore Gesù. Possiamo dire che, quando gli Atti degli apostoli presentano la figura di Stefano, la presentano con un'attenzione e anche con la preoccupazione di mettere in evidenza come Stefano ricalca in qualche modo il cliché della vita e delle opere del Signore Gesù. Gli Atti degli apostoli vogliono dirci in poche parole che Stefano è stato un discepolo autentico e fedele del Signore, non si è discostato da Lui. Anzi, potremmo dire che Dio gli ha fatto la grazia di imitare in vita e in morte il Signore Gesù. Di imitarlo in vita, perché anch'egli compiva dei segni prodigiosi, perché anch'egli si trovava a disputare con degli avversari che però non riuscivano a confonderlo. Stefano è anche un discepolo fedele in morte, perché la sua morte in qualche maniera è come la morte di Gesù, il frutto di un'invidia, il frutto di una coalizione, il frutto di una menzogna messa in atto da falsi testimoni. Soprattutto Stefano assomiglia a Gesù in morte, perché anch'egli come Gesù perdona quelli che lo fanno morire.
Il martire è sempre stato presentato fin dagli inizi della letteratura cristiana, fin da questa pagina degli Atti degli apostoli, l'imitatore perfetto del Signore Gesù. Ecco perché il martire è il testimone. Ecco perché un martire merita tutta la nostra credibilità. Ecco perché il Signore non lascia mai mancare nella storia della Chiesa i martiri. In un posto o nell'altro del mondo, per un motivo o per l'altro, i martiri costituiscono il filo conduttore di tutta la storia della Chiesa, quasi a dire a ciascuno di noi: guardate che bisogna essere dei testimoni.
Allora è logico, di fronte alla figura di Stefano martire, nostro patrono, che noi ci chiediamo: ma noi siamo dei testimoni? In realtà le nostre condizioni sono meno tragiche, anche se forse non sono facili. Sono meno tragiche forse perché non troviamo che l'esser testimoni ci conduce alla soglia del dare la vita. Però non sono meno difficili, perché essere coerenti con la nostra fede, nei nostri rapporti personali, nella vita sociale, nell'ambito del lavoro, nella giustizia, nella disponibilità al perdono, nel saper andare anche contro corrente nei confronti di una mentalità e di una cultura invasiva, richiede anche da noi la forza, la convinzione, la bellezza di essere innamorati del Signore Gesù e di volerlo imitare nei suoi esempi e nella sua parola, fino in fondo.
Vorrei concludere con un accenno alle ultime parole, dove si dice che Stefano, "fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio, e Gesù che stava alla sua destra". Anche ieri, nel vangelo della messa del giorno, abbiamo ascoltato parole analoghe, quando ci è stato detto che "noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come dell'unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità". Quando Giovanni scrive queste parole, pur collocandole all'inizio del vangelo, nel prologo, testimonia la fine del vangelo, quando Giovanni ha contemplato ai piedi della croce la gloria del Signore. Stefano, giunto anche lui al suo Calvario, giunto anche lui alla consumazione della croce, può dire: "Contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio". E' bello anche questo ultimo tratto di così stretta somiglianza tra il mistero dell'incarnazione, rivelativo della gloria del Signore, e il martirio di Stefano, altrettanto rivelativo, per lui e per noi, della stessa gloria del Signore. Questo per dirci che anche la nostra vita, che cerca umilmente e coerentemente di essere una vita di testimoni del Signore Gesù, pur dovendo attraversare delle difficoltà, pur dovendo affrontare anche le croci, è una vita comunque destinata a contemplare e a rivelare agli altri la gloria del Signore.



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