Quando celebriamo la festa di un santo, soprattutto se è il patrono
di una comunità cristiana, noi vogliamo esprimere un sentimento
di fede e anche un punto di riferimento in cui, in qualche modo, ritroviamo
noi stessi, riconosciamo il senso della nostra fede, il significato della
nostra adesione al Signore Gesù. Così è certamente
la festa di Santo Stefano. Noi guardiamo a lui per dire: ci dai un insegnamento,
ci offri un esempio, costituisci un modello di quello che anche noi umilmente,
ma anche con convinzione vogliamo essere, nel seguire il Signore Gesù,
nell'essere suoi discepoli.
Guardiamo a Santo Stefano con questa prospettiva: come colui che si offre
a noi, alla nostra ammirazione, alla nostra venerazione, perché
è stato un modello esemplare nel vivere la sua fede e ci rivolgiamo
a lui anche per chiedere la sua intercessione, perché a nostra
volta noi pure vogliamo essere dei cristiani che seguono con lealtà
e con convinzione il Maestro.
Sotto questo primo profilo, mi pare che sia significativo già l'accostamento
di queste due feste: il Natale ieri, e Santo Stefano oggi. Significativo
perché? Perché vuol dire che il Signore Gesù, che
ieri abbiamo contemplato nel mistero della sua incarnazione, ci offre
una proposta di vita che è radicale. E oggi la figura di santo
Stefano martire ci dice che questa radicalità è da vivere
in una pienezza di donazione, di adesione al Signore Gesù, dovesse
arrivare perfino alla morte, al martirio. Ecco perché c'è
una sintonia stretta fra le due feste, di ieri e di oggi. Ieri il Signore
Gesù ci si mostrava come colui che viene in questo mondo a condividere
la nostra storia senza mezze misure. Potremmo dire, se il linguaggio non
fosse irrispettoso, che si è buttato tutto dalla nostra parte:
ha sperimentato che cosa significa nascere e che cosa significa morire,
che cosa significano le amicizie e che cosa significano le ostilità,
ha coltivato un affetto profondo nell'ambito della sua famiglia, nell'ambito
dei suoi discepoli, ed ha sperimentato anche l'avversione più cruda
e più sciocca dei suoi avversari. Si è buttato completamente
dalla nostra parte. Ed è così che noi, discepoli del Signore
Gesù, vorremmo dire con la nostra vita: che anche noi ci buttiamo
completamente dalla sua parte. Non facciamo sconti sulla sua Parola, non
annacquiamo il suo Vangelo, non riduciamo la sua esemplarità a
quegli ambiti o a quelle situazioni o a quelle condizioni che ci tornano
più accomodanti.
Così il mistero del Natale da una parte, il martirio di Santo Stefano
dall'altra convergono per dirci: Stefano è uno che ha vissuto il
mistero del Natale, accettando di essere completamente dalla parte del
Signore Gesù e insieme al Signore Gesù dice a noi oggi:
non abbiate paura, buttatevi anche voi con la stessa convinzione, con
la stessa disponibilità, con lo stesso entusiasmo, con la stessa
fermezza, a seguire il Signore Gesù.
C'è anche un altro significato. Se avete fatto attenzione, quando
gli Atti degli apostoli, nel brano che è stato letto, parlano di
Stefano, danno l'impressione di ricalcare l'intero Vangelo. Si dice infatti
all'inizio: "Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi
prodigi e miracoli tra il popolo": come faceva Gesù, che operava
grandi miracoli e prodigi tra il popolo. E poi si dice che "sono
insorti contro di lui", ossia hanno messo in piedi una specie di
complotto, persone che erano provenienti da culture diverse, che si sono
messe a disputare con Stefano, ma non riuscivano a metterlo nel sacco.
Quante volte anche il Vangelo dice la stessa cosa di Gesù: i suoi
avversari, pur avendo concezioni e idee diverse, si erano uniti per tentare
di prendere in castagna il Signore, ma non ci riuscivano. E poi si dice
che gli avversari di Stefano hanno dovuto cercare delle testimonianze
false per poter trovare un pretesto per condannarlo. Esattamente come
è stato fatto nei confronti del Signore Gesù. Possiamo dire
che, quando gli Atti degli apostoli presentano la figura di Stefano, la
presentano con un'attenzione e anche con la preoccupazione di mettere
in evidenza come Stefano ricalca in qualche modo il cliché della
vita e delle opere del Signore Gesù. Gli Atti degli apostoli vogliono
dirci in poche parole che Stefano è stato un discepolo autentico
e fedele del Signore, non si è discostato da Lui. Anzi, potremmo
dire che Dio gli ha fatto la grazia di imitare in vita e in morte il Signore
Gesù. Di imitarlo in vita, perché anch'egli compiva dei
segni prodigiosi, perché anch'egli si trovava a disputare con degli
avversari che però non riuscivano a confonderlo. Stefano è
anche un discepolo fedele in morte, perché la sua morte in qualche
maniera è come la morte di Gesù, il frutto di un'invidia,
il frutto di una coalizione, il frutto di una menzogna messa in atto da
falsi testimoni. Soprattutto Stefano assomiglia a Gesù in morte,
perché anch'egli come Gesù perdona quelli che lo fanno morire.
Il martire è sempre stato presentato fin dagli inizi della letteratura
cristiana, fin da questa pagina degli Atti degli apostoli, l'imitatore
perfetto del Signore Gesù. Ecco perché il martire è
il testimone. Ecco perché un martire merita tutta la nostra credibilità.
Ecco perché il Signore non lascia mai mancare nella storia della
Chiesa i martiri. In un posto o nell'altro del mondo, per un motivo o
per l'altro, i martiri costituiscono il filo conduttore di tutta la storia
della Chiesa, quasi a dire a ciascuno di noi: guardate che bisogna essere
dei testimoni.
Allora è logico, di fronte alla figura di Stefano martire, nostro
patrono, che noi ci chiediamo: ma noi siamo dei testimoni? In realtà
le nostre condizioni sono meno tragiche, anche se forse non sono facili.
Sono meno tragiche forse perché non troviamo che l'esser testimoni
ci conduce alla soglia del dare la vita. Però non sono meno difficili,
perché essere coerenti con la nostra fede, nei nostri rapporti
personali, nella vita sociale, nell'ambito del lavoro, nella giustizia,
nella disponibilità al perdono, nel saper andare anche contro corrente
nei confronti di una mentalità e di una cultura invasiva, richiede
anche da noi la forza, la convinzione, la bellezza di essere innamorati
del Signore Gesù e di volerlo imitare nei suoi esempi e nella sua
parola, fino in fondo.
Vorrei concludere con un accenno alle ultime parole, dove si dice che
Stefano, "fissando gli occhi al cielo, vide la gloria di Dio, e Gesù
che stava alla sua destra". Anche ieri, nel vangelo della messa del
giorno, abbiamo ascoltato parole analoghe, quando ci è stato detto
che "noi abbiamo visto la sua gloria, gloria come dell'unigenito
dal Padre, pieno di grazia e di verità". Quando Giovanni scrive
queste parole, pur collocandole all'inizio del vangelo, nel prologo, testimonia
la fine del vangelo, quando Giovanni ha contemplato ai piedi della croce
la gloria del Signore. Stefano, giunto anche lui al suo Calvario, giunto
anche lui alla consumazione della croce, può dire: "Contemplo
i cieli aperti e il Figlio dell'uomo che sta alla destra di Dio".
E' bello anche questo ultimo tratto di così stretta somiglianza
tra il mistero dell'incarnazione, rivelativo della gloria del Signore,
e il martirio di Stefano, altrettanto rivelativo, per lui e per noi, della
stessa gloria del Signore. Questo per dirci che anche la nostra vita,
che cerca umilmente e coerentemente di essere una vita di testimoni del
Signore Gesù, pur dovendo attraversare delle difficoltà,
pur dovendo affrontare anche le croci, è una vita comunque destinata
a contemplare e a rivelare agli altri la gloria del Signore.
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