Non c'è dubbio che il cuore del discorso pronunciato dal card.
Ruini all'ultimo Consiglio permanente della Cei sia la "questione
culturale", o meglio - per dirla con il cardinale Ratzinger, il cui
libro Ruini ha esplicitamente citato - il rapporto tra "fede, verità
e tolleranza". Divagante astrazione, quando ben altro urge nelle
parrocchie italiane?
Nient'affatto, come spiega il filosofo Vittorio Possenti.
Professore, per quali percorsi passano quelli che Ruini definisce i "pre-requisiti
essenziali" al nodo del "rinnovamento missionario delle parrocchie
in Italia?
"La missionarietà è intrinseca al cristianesimo, ma
da tempo la comunità ecclesiale ha visto indebolita la sua capacità
di propagazione del Vangelo, e non solo in Italia. Per comprendere quanto
accade alla parrocchia, che resta il principale centro d'irradiazione
dell'annuncio cristiano, è indispensabile però una diagnosi
sullo stato culturale del Paese. Non si può eludere un confronto
con alcuni 'punti alti' del nostro tempo".
A quali allude?
"Anzitutto al grande perso relativo assunto dalla scienza, una sopravvalutazione
che prende il nome di scientismo: si tratta della pretesa moderna di considerare
soltanto la scienza capace di conoscere in modo certo. Se però
questo è vero, allora filosofia, teologia e rivelazione cristiana
non sono in grado di far conoscere alcunché perché 'non
scientifiche', e dunque fallibili, parziali, equivalenti a qualsiasi altra
opzione. Di qui nasce il relativismo: se solo la scienza conosce qualcosa
di certo, tutto il resto è mera ipotesi, teoria che nasce e si
esaurisce nel pensiero di chi la sostiene".
Ma questa analisi cos'ha a che vedere con la vita delle comunità?
"Non è difficile scorgere le ricadute esistenziali di una
cultura basata sullo scientismo e sul dubbio scettico, un impianto concettuale
che tutti - credenti compresi - finiscono con l'assorbire, propagandato
com'è dalle università come da giornali o tv. Lo definisco
'fallibilismo': tutte le nostre conoscenze sono provvisorie, eccetto quelle
scientifiche. E laddove nulla è stabile non ha più alcun
senso impegnarsi a determinare una differenza certa tra bene e male. Viene
spianata la strada al darwinismo sociale, con la spietata selezione del
più forte. Le pare poco?".
Tutt'altro. Ma c'è adeguata comprensione tra i cattolici di
questo "tarlo" che lavora nelle coscienze, fino a sfibrarle?
"Non ancora, anche se il Progetto culturale documenta il chiaro impegno
della Chiesa italiana nel rendere le comunità consapevoli della
sfida e della sua posta. E' indispensabile diffondere la coscienza che
la tesi fallibilista ha riflessi immediati sul tessuto ecclesiale. La
comunità cristiana non ha ancora riflettuto adeguatamente sulla
cosiddetta 'questione antropologica'. Dopo essersi appassionato ai grandi
temi sociali o istituzionali, l'Occidente deve comprendere che è
ora di volgersi verso le grandi questioni filosofiche: 'Uomo, chi sei?'.
La Chiesa che introdusse il 'principio-persona' come un cuneo nella cultura
classica si trova oggi a fronteggiare la 'filosofia del neutro' secondo
la quale l'uomo non è né un 'io' né un 'tu', ma un
anonimo esso. Di fronte a questa nuova sfida, è chiamata a ri-annunciare
il Dio personale che dialoga con l'uomo, cioè con una persona.
Eccoci tornati al rinnovamento missionario delle parrocchie, che rischia
però di restare un richiamo astratto se privato del suo contesto
culturale".
Da filosofo, ha un consiglio da offrire per 'tradurre' questi concetti
in pratica?
"Alle comunità spetta un compito in tutto simile a quello
del cristianesimo nascente. Allora si fu in grado di operare una rivoluzione
culturale perché si sostenne un dialogo coraggioso sulla verità
prendendo sul serio la filosofia antica. Fu dialogo fermo, del discernimento
e non dell'acquiescenza. Occorre esserne all'altezza".
Francesco Ognibene
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