Una ricostruzione parziale e settaria ancora svia e snatura il senso
della Resistenza italiana. Essa viene manipolata con impegno pesante,
con censure, deformazioni, amputazioni, da parte di storici faziosi, docenti
e memorialisti di dubbia - anzi, interessata - parzialità sino
a sfigurarne l'autentico significato. La Resistenza non fu nelle città,
valli e montagne del nostro Paese, nelle sue motivazioni, un moto omogeneo
che si nutrì unicamente della gloria, sovente crudele, delle Brigate
comuniste, ma un complesso e vario articolarsi di pensiero e di azione
di varie idealità. La Resistenza dunque va riscritta nella sua
storia essenziale e particolare, sia epocale sia episodica, nella sua
complessa varietà che è del tutto difforme dall'avvenuto
sequestro ad opera di una storiografia marxista, della narrativa strumentale
del PCI, delle cifre della sua partecipazione ingigantita. A quest'opera
di liberazione fornisce un contributo essenziale di informazione critica
e riflessione Ugo Finetti, con il libro La Resistenza cancellata, edito
dalla Ares con prefazione di Sandro Fontana (pagg 384, euro 21): una meditata
produzione di rigore e spessore alla De Felice.
In quel fatale tornante tra il settembre 1943 e l'aprile del 1945, il
nostro Paese visse una fase, uno spezzone di tipo post-risorgimentale:
tante e convulse furono le velleità, le speranze, le opposte determinazioni,
il conformismo e le volontà di rottura. Fra queste ci fu l'utopia
comunista: ma sostenere, come fanno gli storici pseudo-progressisti, che
essa fu egemone è un'usurpazione. Non solo l'esito delle prime
consultazioni elettorali amministrative e politiche del 1946 non consente
questa affermazione. Di fatto, il patrimonio politico-culturale nazionale
si mostrava non più incline al totalitarismo, fascista o di sinistra,
ma al suo contrario. Se un segno quest'epoca conquistò fu quello
di una pluralità di intenti, un'aspirazione diffusa non centralista,
un rifiorire di matrici socialiste democratiche e soprattutto cattoliche
ed ecclesiali, entrambe soccobbenti durante il Risorgimento di stampo
massonico. La Resistenza tutta "rossa" è perciò
un falso descrittivo, risulta un abuso storiografico, si rivela un'inconsistenza
oggettiva.
Finetti traccia con mano realistica l'uso politico della Resistenza come
appendice di proprietà del Pci, sua emanazione e domin io, un affresco
a tinte forti esaltanti il sacrificio proletario e il valore civlie e
militare. La modellistica è palese. Indulge alla "guerra patriottica"
dell'epopea sovietica e grande-russa, antinapoleonica e popolare. Un popolo
alla macchia è il titolo del libro declamatorio del 1947 di Longo,
vice comandante comunista del Corpo Volontari della libertà, già
ispettore generale delle Brigate Garibaldi in Spagna nel 1936-38. La Spagna
è infatti la grande ispiratrice della guerra partigiana d'Italia,
il suo prototipo, con il corteo d'orrori e di violenze comuniste. Soprattutto
contro i dissenzienti, i borghesi, intellettuali, anarchici e la gerarchia
cattolica più vicina alle masse popolari.
Tutta una schiera solerte quanto intollerante di addetti ai lavori ha
considerato e considera questa idolatria resistenziale "tutta comunista"
come una milizia cui dedicare le proprie forze intellettuali, didattiche
e professionali, il proprio giornalismo, la propria attitidine alla manualistica
scolastica. Finetti dcocumenta la penetrazione di quest'opera, l'acutezza
del trasformismo che escogita e persegue il continuo adattamento e costrizione
dei fatti alle necessità di partito, come nel caso stesso della
terminologia. Da Quazza a Rochat, da Pavone a Tranfaglia, ecco i crociati
della carta stampata di una guerra di religione d'oggi che non fa morti,
ma deturpa la memoria e falsifica le opere dei protagonisti, ne gonfia
le gesta o ne deprime la condotta se non accetta al Pci.
In nove capitoli il libro di Finetti indaga e documenta oltre 40 casi
esemplari in cui la storiografia filocomunista scarta la verità,
preferisce la montatura o l'esplicita contraffazione: dalla manipolazione
dell'antifascismo non comunista al patto Hitler-Stalin, al primo atto
della Resistenza militare ossia alla battaglia di Cefalonia in cui caddero
9436 militari italiani tra il 15 e il 22 settembre 1943, massacrati dalla
Wermacht.
Nell'immediato dopoguerra agì a Milano un'autentica banda di terroristi,
la "Volante Rossa", di chiara ed esibita estrazione comunista,
proveniente dalle fabbriche di Lambratee della Bicocca. La comandava un
militante e dirigente di Sezione che non faceva mistero della sua autorevole
milizia e dell'alta protezione di partito: il tenente Alvaro. Il Guardasigilli
Togliatti emanava allora circolari severissime contro il terrorismo, anche
di natura partigiana. Sta di fatto che la "Volante Rossa" continuò
ad agire indisturbata, aumentando il truce numero di delitti e vendette.
Il 15 aprile 1944 fu assassinato Giovanni Gentile, aggredito a morte da
quattro "gappisti" (appartenenti alle formazioni terroristiche
di area comunista) pubblicamente biasimati dal Cln fiorentino. Togliatti
definisce "traditore" l'esimio filosofo e sprezzantemente scrive
sull'Unità: "L'azione vendicatrice di un gruppo di patrioti
ha punto il traditore. Molto però avremo da fare per individuare
esattamente e distruggere senza pietà tutte le radici del tradimento".
Triste esempio di prosa monitoria e spietata. Il Guardasigilli Togliatti,
dal 1944 al 1946 farà di più. Protesse i colpevoli di strage.
La Resistenza cancellata completa e arricchisce il racconto di un periodo
strumentalizzato e controverso. L'autore lo fa con animo non indifferente,
ma con piglio di narratore e di analista misurato. Il suo non è
un pamphlet d'occasione. La Resistenza, infatti, non ne esce diminuita
o, peggio, sradicata. Ne esce ricomposta, riscattata dalle ingannevoli
disinformazioni dell'estrema sinistra, animata da quella tensione morale
e ideale che essa manifestò nelle sue componenti migliori, quelle
contro ogni tirannia.
Massimo Caprara
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