Qualche mese fa, ad un noto presentatore televisivo fu chiesto se in
Italia ci fosse un regime. L'intervistato, uno dei tanti guru che imperversano
dallo schermo, prima confermò e qualche giorno dopo smentì
se stesso, con la retro-marcia di chi si accorge di averla detta grossa.
La vicenda, ovviamente ripresa con enfasi dalla stampa, mi ha fatto riflettere
e sono giunto alla conclusione che in Italia un regime c'è, ma
a livello culturale.
Il regime è una struttura di potere che toglie la libertà
alla persona.
A livello politico le cose potrebbero andare assai meglio ma, tutto sommato,
è una eresia affermare che in Italia non ci sia libertà:
in Italia stiamo tutto sommato bene, nulla a che vedere con Stati talebani
o integralisti; in Italia, sulle reti televisive, si può prendere
in giro in capo del governo; in Italia si può anche commettere
qualche marachella e la giustizia, ingolfata come è, ce ne mette
prima di scovarti o di punirti.
Ma qui non interessa tanto il piano politico quanto il suo versante culturale
ed educativo. Allora ecco alcuni esempio a 360 gradi e poi una conclusione.
In Italia e, anche a Casalmaggiore, siamo tutti convinti che chi fa un
figlio ha del coraggio, chi ne fa due è un temerario, chi ne accoglie
tre è matto. Inoltre ad un figlio per la comunione dovresti regalare
il cellulare e fatta la terza media il motorino. Le adolescenti, e non
solo, "devono" scoprire la pancia e far vedere qualche centimetro
di pelle sotto l'ombelico, mentre i ragazzi "devono" invece
bucarsi le orecchie, il naso e il labbro con il piercircing. I ragazzi
delle medie "devono" andare in gita in Francia o in Inghilterra
(alla loro età io gita cercavo l'autogrill e un parco per giocare
a calcio e lo trovavo anche vicino a casa) e il genitore "deve"
mandarlo perché "io lo terrei a casa ma siccome vanno tutti
".
Per i ragazzi Mazzini (quando sanno chi è) è un patriota
(e non sanno che è stato anche un massone), Garibaldi è
un eroe (ma era anche un anticlericale). Nessuno sa che la rivoluzione
francese ha fatto polpette di monasteri, preti, e semplici credenti "non
allineati". In Italia il cattivo è Hitler mentre di Stalin
si sa a mala pena che esisteva. I giovani vanno in piazza a manifestare
per la pace con la maglietta del Che e pensano che fosse un capellone
che voleva difendere i deboli un po' come il Jesus Christ superstar degli
studenti del 68.
Tutti questi esempi hanno in comune una visione parziale e manipolata
della realtà: il comportamento, oggi, non è suggerito da
ciò che mi fa star bene e da ciò che risponde ai miei ideali
ma da ciò che fanno gli altri, da ciò che fanno gli altri
genitori, da ciò che fanno gli altri ragazzi. Oggi non c'è
lo spirito critico per distinguere il bene dal male, ma è bene
ciò che fa la maggioranza. E' qualora, in un momento di lucidità
si riuscisse a scorgere la sagoma del bene, dubito che ci sia la forza
morale per andarvi incontro. Oggi è vero ciò che mi va di
credere o ciò che è culturally correct o scolastically correct
credere, e non interessa di andare a verificare.
Questa sorta di appiattimento del pensiero nella massa e della volontà
che si abbandona alla corrente si chiama regime.
Leggendo il bel libro di Marta dell'Asta ("Una via per incominciare"
- Ed. La Matriona) sulla storia del dissenso in URSS nel secolo scorso,
ho trovato straordinarie analogie tra il lavaggio del cervello patito
da più di una generazione sovietica e l'appiattimento culturale
contemporaneo. Ora non so dare un nome agli artefici del regime culturale
di cui è vittima la nostra società
riesco tuttavia
a vederne e a pesarne gli effetti.
La Dell'Asta è venuta a parlare nella nostra parrocchia lo scorso
30 gennaio. A quell'incontro mi sono restato ammirato di fronte alla forza
dei dissidenti che pacificamente (ma per i nostri giovani il pacifista
è sempre e solo Gandhi) hanno criticato pagando con la vita il
regime. Ho pensato che oggi c'è proprio bisogno di una sorta di
dissenso culturale, di una piazza Majakovskj. E quella sera mentre i dissidenti
vedevano onorata la propria memoria tanti dei nostri contemporanei erano
impegnati e presi dall'allenamento, preoccupati dall'interrogazione del
giorno dopo, prostrati dalla stanchezza accumulata dalla dura giornata,
vinti dallo stress, o convocati inderogabilmente dal vatte-la-pesca
e, così, il regime avrebbe vinto un'altra volta. O così
almeno crede.
Don Davide
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