Chi, all'annuncio dell'esortazione apostolica "Ecclesia
in Europa", si aspettava soltanto l'ennesimo tenace appello asciutto,
perentorio e supplichevole del Papa perché nel Trattato costituzionale
europeo che si sta votando fosse inserito il richiamo al cristianesimo,
è rimasto felicemente stupito.
Il documento si svolge interamente alla luce della speranza. Ma di speranza
sembra ne occorra molta, poiché ci si misura con un'impresa ardua
e in un ambito per molti versi contaminato e scosso.
Il Papa non rinuncia a richiamare, con qualche fatica, gli aspetti positivi
dell'Europa quale si presenta oggi: la libertà religiosa conquistata
all'Est, il concentrarsi della Chiesa sulla missione spirituale, il suo
impegno di evangelizzazione, la presa di coscienza della responsabilità
di tutti i battezzati, l'aumentata presenza della donna nella società,
eccetera. Ma si mostra assai poco entusiasta quando evidenzia quelli che
giudica ostacoli all'Unione Europea: la diversità - addirittura
l'estraneità e qualche opposizione - tra le nazioni che sono chiamate
a formare l'Europa, una certa paura del futuro, una diffusa frantumazione
dell'esistenza, l'affievolirsi della solidarietà, un'antropologia
senza Dio e senza Cristo, per non parlare della disgregazione della famiglia,
della denatalità, del diffuso fenomeno dell'aborto procurato anche
farmacologicamente, della pratica della manipolazione genetica che si
va ampliando, eccetera.
Più a fondo, il Papa scorge un continente largamente demotivato
e profondamente depresso di fronte ai propri compiti: bisogna evangelizzare
le culture, ma spesso ci si imbatte in popolazioni di vecchia tradizione
di fede che quasi nulla sanno più del cristianesimo e si trovano
nella condizione di dover ricevere pressoché il primo annuncio
evangelico. Con un'aggravante: che molti, anche tra gli intellettuali,
si illudono di conoscere, ma di fatto ignorano il patrimonio di avvenimenti,
di certezze, di valori e di norme ecclesiali che hanno appreso durante
l'infanzia. Al punto che - afferma il Papa - "nel continente europeo
non mancano certo i prestigiosi simboli della presenza cristiana, ma con
l'affermarsi lento e progressivo del secolarismo, essi rischiano di diventare
puro vestigio del passato". Musi, archivi, raccolte di opere arte
che non si colgono più nella loro vivacità e bellezza per
la mancanza di una adeguata sensibilità: un certo estetismo non
è ancora mentalità e stile di vita. Praticanti, magari,
ma non credenti e senza memoria religiosa. Silenziosa apostasia.
Va da sé che Giovanni Paolo II disegna un'Europa che sia unita
non solo geograficamente, economicamente e politicamente, ma anche e innanzitutto
sotto il profilo spirituale. In una perfetta laicità che non si
corrompa in un "laicismo ideologico", dal momento che riconosce
una legge morale universale. A questo scopo il Papa chiama alla responsabilità
i cristiani - che non sono meno cittadini degli altri - e tutti gli uomini
di buona volontà. E presenta il Signore Gesù risorto come
causa, modello e fine dell'umanità rinnovata.
Il cammino da percorrere è lungo e irto, come si vede. Ma nulla
va lasciato intentato: la speranza è più necessaria nelle
tappe di difficoltà. Sta la enigmatica parola di Cristo: "Il
figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?".
E il Papa chiosa: "La troverà (la fede) su queste terre della
nostra Europa di antica tradizione cristiana?".
Dopodiché, specialmente nel capitolo sesto, Giovanni Paolo II torna
a domandare l'inserimento del Cristianesimo nella bozza di Costituzione
europea dal momento che non si ha Europa senza Cristianesimo. O meglio:
"Occorre qui ricordare lo spirito della Grecia antica e della romanità;
gli apporti dei popoli celtici, germanici e slavi, ungaro-finnici, della
cultura ebraica e del mondo islamico". Ovviamente ponendo il Cristianesimo
come "elemento centrale e qualificante", capace di accogliere,
purificare e integrare "i molteplici contributi arrecati dagli svariati
flussi etnico-culturali che si sono succeduti nei secoli".
Qui Giovanni Paolo II chiede un corretto rapporto con l'Islam, nella consapevolezza
del "divario esistente tra la cultura europea, che ha radici cristiane,
e il pensiero musulmano"; chiede anche la reciprocità dell'ospitalità
anche nell'ambito religioso: "Si comprende la sorpresa e il sentimento
di frustrazione dei cristiani che accolgono, per esempio in Europa, dei
credenti di altre religioni dando loro la possibilità di esercitare
il loro culto, e che si vedono interdire l'esercizio del culto cristiano
nei Paesi in cui questi credenti maggioritari hanno fatto della loro religione
l'unica ammessa e promossa". Libertà religiosa. E se i costituenti
europei vorranno accogliere l'invito papale faranno cosa giusta e logica.
Altrimenti si tengono i loro puntigli; ma i cristiani non si ritraggono
dai loro impegni.
C'è una parola anche sull'immigrazione. Essa va vissuta con un
senso di accoglienza e di ospitalità; le autorità devono
"esercitare il controllo dei flussi migratori in considerazione del
bene comune. L'accoglienza deve sempre realizzarsi nel rispetto delle
leggi e quindi coniugarsi, quando necessario, con la ferma repressione
degli abusi".
Nessuna esortazione a vanvera.
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