"Non è, costui, il figlio di Giuseppe?"
ovverosia, il gioioso scandalo cristiano
da "Ritrovarci": anno XXV - numero 4 - aprile 2003

di Don Alberto


E' la domanda dei giudei, espressa nel cap. 6 del Vangelo di Giovanni, in forma di mormorazione, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci e dopo la dichiarazione solenne di Gesù: "Io sono il pane disceso dal cielo".
E' anche la nostra stessa domanda, la domanda di ogni persona che si accosti al mistero di Dio apparso in Gesù: come può dire, un uomo, di essere venuto dal cielo? Gesù è e sarà certamente stato un grande personaggio, un maestro di vita morale, un grande taumaturgo, ma è pur sempre un figlio della nostra terra, non del cielo! Appartiene alla storia e alla geografia del nostro mondo, dunque non proviene da altri mondi. Come si fa a dire e confessare che Gesù è il Figlio di Dio, anzi è Dio lui stesso? Come può, insomma, un uomo essere Dio?
"Non è, costui, il figlio di Giuseppe?". Questa è la vera, grande, seria obiezione a Gesù e all'intero cristianesimo. Anche i primi secoli cristiani, tentati dall'arianesimo, hanno conosciuto questa difficoltà. Ma anche noi siamo tentati dall'arianesimo, ossia facciamo fatica a vedere nell'umanità di Gesù il luogo rivelativo della sua divinità. Riteniamo che Gesù sia in fondo inferiore a Dio, sia simile a Dio, ma non possa essere Dio. E sarà proprio il concilio di Nicea, il primo grande concilio ecumenico della Chiesa nel 325, a ribadire che Gesù "è Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, della stessa sostanza del Padre". Questa è l'originalità scandalosa del Cristianesimo, non solo in rapporto alle religioni politeiste, ma anche nei confronti delle altre due religioni monoteiste: l'Ebraismo e l'Islam; per le quali è inimmaginabile la umanizzazione, l'incarnazione di Dio in un uomo. Dio - esse affermano - non può essere visibile, e neppure nominabile. L'Antico Testamento stesso esclude qualsiasi raffigurazione di Dio, in quanto ogni immagine è per sua natura - in quanto visibile e radicata nel nostro mondo - assolutamente inadeguata per rappresentare Colui che è invisibile e abita nei cieli. Così come ogni nome porta in sé il rischio di una deriva idolatrica, di una cattura ideologica del Dio trascendente da parte dell'uomo. Lungo i secoli cristiani è potuto nascere anche un movimento - il movimento iconoclasta - che proibiva il culto delle immagini.
Anche noi cristiani non siamo immuni dalla tentazione ariana, ossia dalla tentazione di non considerare l'umano capace di rivelare il divino. Anche noi facciamo fatica ad accogliere nell'umanità di Gesù - che poi continua nell'umanità della Chiesa, dei sacramenti, della parola biblica, dei ministri della Chiesa - il mistero santo e trascendente di Dio. Anche noi cristiani pensiamo spesso a Dio come a Colui che è lontano, che abita nei cieli, distante dai nostri problemi quotidiani, dalle nostre preoccupazioni, dai nostri dolori.
E invece Dio è diventato, nella persona del Verbo, figlio di Giuseppe e di Maria, dunque a pieno titolo figlio della nostra terra. Ha vissuto una vita di relazione con gli altri, ha lottato per la verità e per la giustizia, ha incontrato persecuzione, sofferenza e morte. Dice un bel testo del Concilio Vaticano II: "Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo" (Gaudium et spes, n. 22). Gesù è l'icona umana di Dio, è la grammatica umana di Dio, è la narrazione umana del Dio invisibile. In lui "abita corporalmente tutta la pienezza della divinità", afferma con linguaggio ardito san Paolo nella lettera ai Colossesi (2,9). Da Cristo in poi diventa arduo cercare Dio negli spazi infiniti. Diventa faticoso pregare Dio come l'Essere supremo, ma anonimo. Diventa fuorviante adorare Dio nelle forze cosmiche della natura. "Solo il Dio che si è reso finito, per lacerare la nostra finitezza e condurla nell'ampiezza della sua infinità, è in grado di venire incontro alle domande del nostro essere" (J. Ratzinger). Solo un Dio personale, ossia Colui che si è rivelato come il Padre di nostro Signore Gesù Cristo, entrando così nella nostra carne mortale e nella nostra vicenda terrena, può affascinare l'uomo e meritare la nostra risposta adorante. Che ne faremmo di un Dio totalmente anonimo, prigioniero della sua alterità, rinchiuso nella sua dorata e irraggiungibile trascendenza? Certo, "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1, 18). E lo ha rivelato a tal punto che un bel giorno, di fronte alla richiesta di Filippo: "Gesù, mostraci il Padre!", Gesù risponderà: "Chi ha visto me, ha visto il Padre" (Gv 14, 9).
In questo sta il gioioso scandalo cristiano: Dio si è reso visibile in Gesù. Non solo: Dio ha cessato per sempre di essere puro spirito, perché la Santa Trinità divina è abitata per sempre da un uomo, quel figlio di Giuseppe, che ha sconfitto la nostra morte ed è entrato con i segni della nostra umanità povera e sofferente (il costato trafitto e le ferite della passione) nella gloria di Dio: insieme alla Madre, Maria, prefigurazione della Chiesa e dell'intera umanità redenta.
In Gesù, tutto l'umano è stato reso capace di rivelare il mistero di Dio. Ogni uomo e ogni donna di questo mondo, ogni fatica e ogni gioia, ogni conquista e ogni debolezza dell'uomo sono ormai rischiarati dalla gloria e dalla luce di Dio. Fra Dio e l'uomo, fra il cielo e la terra è iniziata, in Gesù, quella profonda comunione che diventerà stabile e duratura alla fine dei tempi.
Un nuovo anno di cammino comunitario sta cominciando. I nostri programmi parrocchiali non perdano mai di vista questi orizzonti e non siano mai soffocati da una pastorale fatta solo di affanni e, a volte, di angosce.

torna su