"Ripensare la modernità"
E' il titolo dell'ultimo libro di don Luigi Negri, che è stato ospite della nostra parrocchia nel febbraio 1999 per la presentazione dell'enciclica "Fides et ratio". I limiti delle ideologie del '900? Utopismo e illuminismo, che sono sfociati in una concezione astratta e anticristiana dell'uomo. Ma c'è una ragione "sana" che va difesa.
da "Ritrovarci": anno XXVI - numero 3 - maggio 2003

A.F.

E' possibile "ripensare" la modernità? E' possibile esercitare - sui fatti che negli ultimi tre secoli hanno delineato il nostro presente - una lettura originale, che sia insieme giudizio critico e fondazione di una visione nuova, viatico per un'antropologia più degna dell'uomo? Sì, secondo don Luigi Negri, docente di teologia e filosofia alla Cattolica di Milano, che ha voluto intitolare "Ripensare la modernità" il suo ultimo libro, un conciso ma deciso saggio edito da Cantagalli e introdotto da Ferdinando Adornato (pagg. 166, euro 8,80). Lo sfondo, attualissimo, su cui Negri conduce la sua rilettura è l'effettiva possibilità di un dialogo fra laici e credenti, la composizione dello storico dissidio sul terreno dei diritti della persona e della società, alla luce di un umanesimo vero, non ideologico. Lucidissima, impietosa è infatti la dissezione che l'autore opera sugli inviolabili tabù del moderno e della sua pretesa assoluta sull'uomo, identificandone i limiti, ossia quella concezione astratta dell'umano che dall'antropocentrismo rinascimentale passa al razionalismo, e di qui all'illuminismo e all'utopismo, ovvero alle grandi ideologie totalitarie del Novecento, insomma all'esito anticristiano, tragico e fatalmente violento del moderno. A fronte di tale dogmatica pretesa, Negri individua le radici della laicità "sana", le ragioni di una ragione che non è laicismo bensì elemento costitutivo della persona e della sua domanda costitutiva di senso e di verità. Come strumento di questo desiderio di bene che affratella ogni uomo agli altri, la ragione trova quindi il proprio coronamento e certifica al contempo l'origine cristiana della modernità: "Uno sguardo alla questione dei diritti dell'uomo potrebbe bastare per rilevare come essa sia fondata e sia emersa all'interno della concezione cristiana dell'uomo", afferma Negri. Proprio in questo Dna cristiano, rivendicato a chiare lettere, Negri rintraccia la vitalità di un pensiero laico moderno, non astratto ma realista e veramente "liberale" ovvero appassionato alla libertà, il cui testimone passa, per esempio, da Tocqueville a Rosmini alla dottrina sociale della Chiesa del '900. Partendo dal discernimento delle due componenti della modernità, il ragionamento di Negri porta lontano sul piano delle conseguenze pratiche, della prospettiva politica, richiamando concetti "sociali" e antistatalisti da sempre cari a Comunione e Liberazione, come la priorità dei corpi sociali sullo Stato, l'irriducibilità del religioso al politico e della persona (morale) allo Stato (etico). Ferdinando Adornato, nella sua prefazione che è un vero e proprio saggio parallelo, nota che "queste pagine di don Negri inseguono un tempo nuovo. Scrutano l'alba di un cambio di stagione. Egli scrive di sentimenti e di pensieri che stanno già cambiando molte coscienze senza però che la coscienza pubblica sia ancora in grado di certificarlo. Racconta i presupposti di una rivoluzione culturale che sta ancora scavando nel sottosuolo ma che, presto o tardi, troverà la sua epifania". Negri recupera quindi la valenza di una cultura veramente "cattolica", cioè universale in quanto basata sulla coscienza, che è bene comune di laici e credenti; una coscienza dialogante, perché non è più "schema astratto" bensì "sguardo realmente affezionato alla realtà".




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