"Cristo, mia speranza, è risorto". Così canta l'antica sequenza "Victimae pascalis". La risurrezione di Gesù è l'avvenimento di gran lunga più sconvolgente della storia, eppure è anche il più "ragionevole", ossia il più conforme alle attese e ai desideri - nascosti o espressi - dell'uomo, il più consono alla dignità di ogni uomo. Perché alla morte, e dunque alla sconfitta, allo smacco, al fallimento la ribellione costituisce da sempre l'atteggiamento appunto più ragionevole, più umano. L'uomo non si rassegna e non si rassegnerà mai alla morte, e ogni sua "voluttà di morte" (voluptas moriendi) appare come una delle patologie più gravi, ancorché presenti nella zona oscura della coscienza umana.
L'evento pasquale proclama anzitutto che il Figlio di Dio è realmente morto: dunque ha affrontato la solitudine drammatica di ogni figlio d'uomo che viene strappato a questa vita e a questo mondo - il luogo dove apprendiamo e sperimentiamo la relazione con Dio e con gli altri -, è disceso nelle regioni inferiori, ha compiuto una vera e propria escursione negli stati infernali dell'esistenza umana, è entrato fino in fondo nel nostro buio mortale: senza finzioni, senza commedie e senza sconti. Lo dice quel suo grido sulla croce: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". Un grido reale, quello di Gesù sulla croce: è il grido di tutta l'umanità quando vive qualunque forma di angoscia, che è sempre angoscia della morte imminente, perché la morte è sempre in agguato e arriva sempre all'improvviso, come il ladro nella notte.
Ma "colui che discese è lo stesso che anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per riempire tutte le cose" (Efesini 4,10). Ecco la novità. Il mondo nuovo ha preso inizio in Lui, in Cristo morto e risorto. Egli ha "riempito tutte le cose": le ha riempite di senso, di vita, di bellezza, di ordine, di pienezza. Tutto l'universo - ossia l'intera umanità con il suo habitat, creato da Dio per la felicità degli uomini - è riempito dalle energie del Risorto, fin dall'oggi della nostra storia ancora debole e fragile, che sperimenta ancora dolore, sofferenza e morte. Ma in questa nostra radicale fragilità è già entrata la potenza della risurrezione, ha già fatto breccia il fulgore della luce, come ci ha annunciato, durante il tempo quaresimale, l'evento della trasfigurazione di Gesù sul monte. Gesù, che diventa splendente sul Tabor proprio quando chiede ai suoi discepoli di seguirlo sulla strada impegnativa della croce, ci annuncia che il buio non è l'ultima parola della vita; che le sconfitte e le cadute non hanno la vittoria finale; che la nostra esistenza mortale è già rischiarata da squarci di luce.
L'esperienza cristiana della vita non è solo attesa della gloria futura, ma è accoglienza riconoscente per tutti quei bagliori di luce che il Signore già nell'oggi ci dona. C'è una bellezza sfolgorante nella vita, che è seminata nelle persone e nelle cose fin dal giorno della creazione, quando Dio, guardando compiaciuto ciò che aveva creato, gridò: ma che bello! L'esperienza della trasfigurazione - che anticipa quella piena e finale della risurrezione - è anche la nostra, ogni volta che ci è donato di vedere e di gustare la luce: che si accende nel nostro cuore, in una persona, in un incontro, in un avvenimento, in un'opera d'arte, nella esperienza estetica ed estatica del creato, perfino in una prova e in una tribolazione quando ci sentiamo amati e accolti da coloro che ci vivono accanto. Soprattutto nella celebrazione dell'eucaristia, che è il Tabor settimanale della nostra vita cristiana. Certo, la luce piena, la vita piena di Dio si riveleranno solo alla fine del mondo, solo al termine del cammino dell'umanità, ma, guardando agli eventi della trasfigurazione e risurrezione di Gesù, siamo invitati a guardare e a vivere la nostra esistenza e quella degli altri non come un lento cammino di disfacimento e di decadimento - questo è ciò che accade nel mondo vecchio, che si va corrompendo, così come il nostro uomo vecchio si va disfacendo - ma come un cammino di illuminazione progressiva, di gloria progressiva che pervade ogni giorno sempre di più la nostra esistenza quotidiana. E' l'esperienza che ha descritto san Paolo in modo impareggiabile: "Mentre il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore si rinnova di giorno in giorno. Infatti, il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione, ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria" (2 Corinti, 4,16-17).
Risorgendo, Gesù è diventato amore senza limiti, senza barriere. Noi, ancora sedotti dal peccato e in preda al leone del male, frantumiamo la nostra umanità in chiuse individualità, che si odiano e creano distanze. Questa frantumazione interiore si dilata e si prolunga negli odi collettivi, che scoppiano in guerre e violenze, come l'umanità del nostro tempo e di ogni tempo sperimenta. Chiusi nel nostro isolamento, non siamo che degli aborti!
Il Cristo risorto, invece, è una persona perfetta, matura, piena di vita divina. Egli è quel capolavoro d'uomo che Dio ha pensato fin dalle origini, quando ha creato Adamo ed Eva. E a quel capolavoro Dio ha pensato, quando ha creato ciascuno di noi. E a quel capolavoro Dio ci conduce, attraverso la sua grazia che interpella la nostra libertà e la nostra responsabilità, perché Dio già "ci ha risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Efesini 2,6).
Questo è il mio augurio pasquale, che cordialmente vi faccio, insieme a don Guido e a don Davide: che la risurrezione di Gesù diventi esperienza di vita nei giorni e nelle opere che Dio ci riserva nel tempo della nostra umana avventura.
Don Alberto
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